La grande arte mantiene salda la sua radice tragica, il suo dedicarsi al reale impossibile da rappresentare. In che modo l’opera d’arte continua a implicare un’assenza a se stessa, una discontinuità, un’intermittenza e il silenzio come modalità del suo apparire?
Cosa significa concepire la tecnica, non come uno strumento, ma come la tendenza del nostro tempo, nell’età in cui tutti gli scopi dell’uomo diventano i mezzi di un unico fine, quello dell’indefinito potenziamento di techne?
Cosa accade, nell’epoca della fine dell’arte, all’opera che ha perso il suo valore cultuale? È possibile definire il fare artistico all’interno di un orizzonte che faccia a meno della rappresentazione estetico-sensibile dell’opera?
Cosa accade al lusso, in un’età caratterizzata dalla sistematica obsolescenza degli oggetti tecnologici e nella quale ogni cosa è a portata del compratore, assuefatto agli attuali ritmi convulsi dello shopping?