Già dagli anni Ottanta, la scrittrice e attivista statunitense Rebecca Solnit usava la parola come strumento per dare spazio agli oppressi, alle minoranze e agli invisibili della società. Definita dal New York Times "la voce della resistenza", l'autrice del Connecticut ha saputo trattare nelle sue opere i più disparati temi: dal troppo comune e spiacevole fenomeno del mansplaining (Gli uomini mi spiegano le cose) fino al comportamento delle comunità durante i disastri (Un paradiso all'inferno) o all'uso fuorviante della comunicazione nei centri di potere (Chiamare le cose con il loro nome).