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Giancarlo Bertoncini su Cronache di poveri amanti di Vasco Pratolini

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Ed eccoci finalmente al capolavoro”, ebbe a dire Giorgio Pullini, uno dei maggiori critici italiani. Cronache di poveri amanti, una delle opere più rappresentative della stagione neorealistica immediatamente successiva alla seconda guerra mondiale, esce nel 1947, ma Pratolini dichiara di avervi lavorato per venti anni. È un romanzo d’impianto corale, sul modello verghiano de I Malavoglia, però (a differenza di questo) con una forte e importante presenza del narratore. In esso si dipana una molteplicità di storie intime e pubbliche di una ricchissima pluralità di personaggi, quasi una coralità, costituita in primo luogo dagli abitanti di Via del Corno, la stretta e corta via fiorentina a ridosso di Palazzo Vecchio. Sullo sfondo animato delle tradizioni fiorentine (la rificolona, la fiera di quaresima, la colombina) la storia del romanzo intreccia l’educazione sentimentale e l’evoluzione ideologico-politica dei giovani abitanti della via nelle coppie che fra di loro si vengono formando (Bruno e Clara, Mario e Bianca, Alfredo e Milena, Ugo e Gesuina, Aurora e Otello). Le vicende dei giovani si incrociano con quelle socio-politiche degli anni in cui si svolgono gli eventi, la lotta fra fascismo e comunismo nella Firenze del 1925-1926 che vede la seconda ondata del fascismo; in questo ambito si colloca uno degli episodi centrali della narrazione, l’uccisione ad opera di una squadra di fascisti del maniscalco comunista Corrado, detto Maciste per la stazza e la somiglianza con l’omonimo personaggio cinematografico. A Maciste fa da pendant il dispotico e perverso personaggio di grande potenza espressionistica della ‘Signora’ (non altrimenti denominata nel romanzo). Attraverso la rappresentazione di una contrada nella molteplicità di personaggi ed episodi e con il sapiente dominio di una tessitura composita della narrazione Pratolini ricostruisce la dimensione storica degli anni suddetti.

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