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19 Gennaio 2009 15:43

Non poltrone, ma posti di responsabilità

641 visualizzazioni - 0 commenti

di Associazione Sacerdoti Lavoratori Sposati

Tempo di scelte, di nomine, di nuovi incarichi, di trasferimenti. Anche nella Chiesa. Non è una novità di questi giorni, dal momento che il suo assetto istituzionale, quello gerarchico, muta in continuazione, con un costante rinnovamento che non conosce sosta e che merita di essere osservato con attenzione. Certo, solo l'avvento di un nuovo papa assume la caratteristica dell'epocalità, ma nel loro piccolo anche gli avvicendamenti dei suoi collaboratori nei molteplici ruoli di responsabilità all'interno della Curia vaticana e delle Conferenze episcopal inazionali meritano attenzione e considerazione. Il continuo ricambio della geografia umana all'interno della Chiesa (quasi ogni giorno il bollettino della sala stampa della Santa Sede annuncia rinunce e nomine negli incarichi pastorali di tutto il mondo) non significa che non possano essere riconosciuti dei veri e propri "cicli", come quello che – tanto per fare l'esempio più facile e a portata di mano - indiscutibilmente ha segnato gli ultimi due decenni della Conferenza episcopale italiana. Un "ciclo", peraltro, che solamente una visione parziale può pensare essersi concluso con il mero avvicendamento al vertice fra il cardinale Ruini e il suo successore Bagnasco. Ma al di là delle singole persone, delle loro caratteristiche umane, pastorali e culturali, sulle quali ognuno – nell'unità di intenti che caratterizza sempre la Chiesa, o almeno che la dovrebbe caratterizzare – potrà avere le sue opinioni, può essere utile riflettere sul significato che, almeno per chi si dice cristiano, ha l'esser chiamato ad un ruolo di potere o di responsabilità. E se partire dal Vangelo è la regola, allora varrà la pena ricordarsi che l'elenco dei prescelti da Gesù, quelli che lui volle a sé più vicini, quelli sui quali si fonda la fede della Chiesa, fa davvero venire i brividi. Nessuno di noi, oggi, probabilmente, avrebbe scelto quei dodici come operatori parrocchiali, nessuno ne avrebbe nominato uno solo nel Consiglio Pastorale. Gli apostoli, a prima vista, sono uno dei gruppi più sconclusionati della storia: c'è un pescatore come Andrea, ce n'è un altro – piuttosto istintivo – come Simon Pietro, c'è un giovane letterato come Giovanni, quasi un intellettuale, c'è un pubblico peccatore e traditore del proprio popolo come Matteo, c'è un conservatore come Giacomo, un estremista sobillatore come Simone lo zelota, per non parlare dei caratteri di gente come Tommaso (Gesù in persona ci avrà a che fare…), Filippo o Bartolomeo. Insomma, un vero minestrone dal quale, sulla carta, non poteva venire proprio nulla di buono. Come dire: se vi foste messi in testa di "creare" una religione e di dare ad intendere al mondo che siete nientemeno che il "Figlio di Dio", vi sareste forse affidati a gente come questa? No, decisamente no. Il che, a ben vedere, aggiunge un piccolo motivo al credere che Gesù non è stato un impostore, ma davvero colui che ha detto di essere. Ma, a parte tutto questo, ecco quale è il punto: che Gesù, dopo aver pregato tutta la notte, chiama questi dodici, e solamente lui riesce a tenerli assieme e, dopo il tradimento di uno, a fare in modo che gli altri facciano conoscere al mondo intero la sua Resurrezione. Come i dodici apostoli, anche le nostre comunità, le nostre parrocchie, le nostre case, i nostri luoghi di lavoro, le nostre famiglie, i nostri seminari, anche la nostra Chiesa, quella fatta di religiosi e laici, di sacerdoti, frati, monsignori, vescovi, cardinali, papi, è fatta di persone diverse, con sensibilità opposte, con caratteri complessi amalgamati, uniti, solamente da una cosa: la fede in Dio. Amalgamati e uniti, pur nelle differenze a volte abissali di cultura, pensieri e opinioni, da una fede che è esperienza, che non è adesione fredda ad una religione, ad un insieme di regole o comandi piovuti dall'alto arbitrariamente, ma è rapporto unico e personale con un Dio che ama e che questo amore te lo fa sentire addosso. Lo capiamo questo tutti noi? Lo capiamo, con le nostre comunità sempre divise in gruppuscoli l'un contro l'altro (devotamente) armati, pieni di distinguo, con le etichette sempre pronte ad appiccicarsi sulla fronte? Con i progressisti da un lato e i conservatori dall'altro, con i tradizionalisti, gli amanti della liturgia antica, con quelli che invece la vogliono innovare, e poi con tutte le differenze che troppo spesso sono vere e proprie divisioni fra questo e quel gruppo, fra questo e quel movimento, fra questa e quella realtà ecclesiale? Buon lavoro a chi è stato posto in un ruolo di responsabilità. Che sia, nella chiarezza delle idee, un portatore di unità, e non di divisione.

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