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11 Agosto 2008 09:06

Maurizio Chierici: GAS E PETROLIO: IL RESTO NON CONTA

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di Maurizio Chierici

Tutti d’accordo con l’indignazione di Bush che si arrabbia con Putin al quale piace governare come Stalin e vivere come Abramovich, magnate compra tutto: < la sovranità di un paese è sacra >, parola del presidente degli Stati Uniti. Quando gli eserciti di un paese attraversano le frontiere di un altro paese, calpestano i diritti di ogni cittadino, qualunque sia il pretesto. La comunità civile ne è scandalizzata; la Washington dei repubblicani, addolorata. Quegli aerei in picchiata su Tiblisi e carri russi che sgretolano villaggi e città. Bush inorridisce anche perché la tradizione petrolifera della famiglia non sopporta minacce alle vene delle pipelines. Dall’Asia centrale, attraverso Georgia e Turchia, riversano l’oro nero nel Mediterraneo. Tranquillizzano i mercati, borse che respirano. Bush ha diritto ad arrabbiarsi perché gli Usa non si sono mai osato entrare in armi in altri paesi per trasformare l’ indipendenza di una patria sovrana nella dipendenza cortigiana alla quale Putin sta lavorando. Lasciando perdere Iraq e Afghanistan o l’operazione Pace in Galilea dello Sharon 1982 - sgretola il Libano sperimentando sul campo, quindi sulla gente, l’efficienza delle bombe ad implosione fornite dagli Stati Uniti che generosamente azzerano il debito bellico - insomma, lontani dal passato, si può notare che proprio nelle stesse ore le frontiere possono essere scardinate in altro modo: cancellate da dentro. Il problema è sempre energetico: gas e petrolio. In Bolivia, per esempio, si stanno contando i voti di un referendum dalle regole non chiare. I quattro governatori ( prefetti ) delle quattro regioni che custodiscono petrolio e sterminate riserve di gas, pretendono come l’Ossezia meridionale dell’impero sovietico, un’autonomia che è quasi indipendenza, rifiutando il < populismo antropologico > del presidente Evo Morales. Il quale, mezzo indigeno eletto dalla maggioranza indigena, annuncia una nuova costituzione considerata < sovversiva e comunista >. Vorrebbe eliminare xenofobia e razzismo: emarginano milioni di diseredati per rassicurare i latifondi controllati dallo 0,63 per cento della popolazione che possiede il 67 per cento delle terre fertili. Le quattro regioni ricche- agricoltura e idrocarburi – non sopportano che lo stato centrale posa adeguare le imposte sulle esportazioni agli standard internazionali quando per mezzo secolo le multinazionali se la cavavano con pochi centesimi e nessun controllo sulla quantità pompata. In due anni entrate fiscali quadruplicate e nuovi capitali che alimentano sussidi agli anziani: con trenta dollari al mese si sentono finalmente ricchi. E ad ogni bambino, due dollari per libri e quaderni nella scuola dignitosamente aperta a tutti. L’opposizione delle oligarchie sta impedendo l’approvazione della costituzione: vorrebbero continuare a decidere, regione per regione, a quale prezzo e con quali controlli esportare le risorse. Lega boliviana. Le quattro regioni paperone avevano chiesto un referendum revocatorio: se Morales perde deve andarsene. Morales non si è opposto. Facendo un po’ di conti gli oppositori ci hanno ripensato: non vogliono più votare. Ripetono che questo voto < è un’insulto alla democrazia >. Non voci isolate. Esperti Usa guidano campagne alle quali inconsapevolmente partecipano grandi giornali, anche di casa nostra. Agenti della Dea ( agenzia antinarcotici degli Stati Uniti ) vengono sorpresi con le mani del sacco: finanziavano funzionari e campagne antigovernative. Espulsi mentre Washington concede l’asilo politico all’ex ministro della difesa Sanchez de Losada. Quando il paese era governato da un presidente dalla doppia nazionalistà ( passaporto Usa, passaporto boliviano ) aveva ordinato all’esercito di sparare sui minatori in sciopero nella protesta che appoggiava la protesta di Evo Morales. Massacro che il sollecito umanitario dell’ambasciatore Usa a La Paz, Philip Goldberg, trasforma < in legittima difesa delle istituzioni >. Quindi benevolenza nell’aprire le porte dell’asilo come per i fantasmi del Darfur, o a Solgenitzin, in fuga dai gulag. Si rimprovera a Morales di allargare l’istruzione ai popoli indigeni. Non sanno leggere e non possono maneggiare gli strumenti della modernità. Fuori per sempre. Invece Morales apre tre università in lingua quetchua, aymara e guarany. D’ora in avanti potranno votare coscienti della scelta. Il pericolo diventa inaccettabile. Chissà cosa risponderanno le urne. Morales verrà probabilmente confermato ma anche i governatori delle regioni ribelli resteranno al loro posto. Forse si esagera evocando lo spettro di Allende costretto a morire appena annuncia il referendum che lo avrebbe visto trionfatore. Pinochet e gli altri lo impediscono con i carri armati. Anche i militari boliviani vengono invitati a difendere dalla < marionetta di Chavez > l’orgoglio della nazione. Il paese deve riallacciare i fili con le compagnie straniere in modo < da garantire un futuro tranquillo all’economia >. All’economia di chi ? Con pudore si tace. Consiglieri e ricercatori Usa accorsi in Bolivia sono d’accordo. Un pareggio è l’ipotesi probabile: non violenta ma che nel tempo accenderà nuove violenze. Governo paralizzato e conferma dei prefetti ultras che non rinunciano alla disobbedienza e all’autonomia. Si impegneranno ad impedire la nuova costituzione per i due anni e mezzo che mancano alla scadenza del governo Morales. Il quale già nei giorni del referendum non è riuscito a concludere la campagna nella capitale Sucre, ad uscire dall’aeroporto di Santa Cruz, a ricevere la visita di Chavez e di Cristina Kircher: folle minacciose e ben equipaggiate lo hanno impedito con una specie di assedio. Appena sotto le Ande, un passo oltre il confine, il 15 agosto, il presidente Fernando Lugo si insedia ad Assuncion. Ex vescovo dei poveri, eletto dalla galassia dei movimenti contadini e cristiani, ma anche dai partiti della destra anti-colorado, e costretto dai numeri a governare il parlamento assieme al generale Oviedo scarcerato senza il processo che doveva accertare le responsabilità a proposito di un delitto politico eccellente e il tentativo di colpo di stato. Lugo ha gli stessi problemi di Morales: latifondo e povertà disperata e il tesoro di un’energia che non risale dalle viscere della terra. Soia transgenica. Dilaga come un cancro. Ruba pane e speranza a centinaia di migliaia di contadini. Transnazionali con profitti alle stelle e vagabondi senza lavoro accampati attorno alle città Come in Bolivia e in ogni altra America, le parole magiche sono < riforma agraria >, ma dopo 60 anni di dittatura e autocrazia del partito Colorado alleato disciplinato di Washington, rimettere in dubbio proprietà e guadagni delle imprese straniere equivale al suicidio. Oliver North, colonnello che ha mentito al congresso Usa per nascondere i finanziamenti dell’Iran-gate ( guerra dei contras contro il sandinismo al potere in Nicaragua ); North, ha aperto ad Assuncion un’agenzia < per la difesa personale di uomini d’affari, politici, possidenti >. Milizia privata, agli ordini di chi ? Lugo vuole ridiscutere la concessione della base militare Usa a ridosso delle tre frontiere con Bolivia, Brasile e Argentina. Insomma, non è un presidente di fiducia. Tanto per capire come le frontiere possano essere minacciate dall’interno, due anni fa, appena il vescovo chiede a Roma la riduzione allo stato laicale per candidarsi alla presidenza, il diplomatico James Cason viene immediatamente nominato ambasciatore in Paraguay. Arriva dall’Avana dove per quattro anni ha governato la delegazione d’affari Usa istigando polemiche e la protesta delle folle forse guidate dal regime unico, sicuramente indignate per i giochi di prestigio di un uomo che aveva diretto da Miami il comitato per la democratizzazione di Cuba. Lugo non è Fidel. Cason non deve provocare ma sedurre chi conta ed anche chi conta poco ma incanta la gente. Per toccare le corde dei sentimenti popolari, si esibisce su un palcoscenico cantando in guarani. Nessuno aveva mai visto un ambasciatore cantare. Il nome Cason non dice gran che ai giovani lettori. Ecco due righe di biografia. Per caso la sua presenza diplomatica é sempre segnalata in posti non tranquilli: Salvador, Nicaragua, Panama prima dell’invasione, Perù di Sendero Luminoso. Ma la prima uscita internazionale é in Italia: Milano, dal maggio al dicembre ’69. Se ne va dopo le bombe di piazza Fontana. L’amico americano descritto da Luigi Fappanni, neofascista che racconta i retroscena delle brigate nere clandestine ad un giornalista del Giorno /( direttore Italo Pietra ) e a Gian Luigi Melega ( Panorama di Lamberto Sechi ); questo amico dal nome di fantasia, ricorda James Cason con una goccia d’acqua. Fronte spaziosa, occhiali con montatura severa, faccia innocente da american boy. Abitava dietro il Duono, cinquanta metri dalla piazza del massacro. Accompagnava il manipolo dei ragazzi neri in visita alla base Nato di Verona. Insomma, simpatico, alla mano e < innamorato di Mussolini >. Amore d’occasione per entrare nelle grazie di chi doveva alimentare la tensione. Comincia l’Italia delle bombe e degli agguati. Anche in quell’ Italia la sovranità nazionale era sacra. Quarant’anni dopo, i discorsi di Pechino non acquietano la realtà. La violenza restano un dettaglio appena sfiorato da parole di circostanza. Le parole sono comode: è possibile rovesciarle. E chi è sfiorato dal petrolio deve essere comprensivo. Vite umane e la disperazione hanno importanza relativa: conta solo l’energia che accende le luci di tutti. Delle olimpiadi, dei frigoriferi e della chitarra dell’ambasciatore James Cason. mchierici1@libero.it Cortesia dell'Unità

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