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4 Agosto 2008 09:40

Maurizio Chierici: GIUSTIZIA IN ITALIA PER L’UOMO DI PINOCHET

1652 visualizzazioni - 1 commento

di Maurizio Chierici

Non è proprio una buona notizia, ma è una notizia che consola. Quando la memoria non muore e insiste per la verità, i colpevoli non hanno scampo. Il delitto politico o l’imbroglio della finanza corrotta alla fine non pagano. Il censo, le amicizie, le complicità finiscono in niente. Non importa il tempo: questa volta ci sono voluti 35 anni e un incrocio di fortuna per chiudere in galera uno degli assassini in doppiopetto del generale Pinochet. Alfonso Podlech Michaud è un signore elegante che apre il passaporto al poliziotto di Madrid, frontiera d’ Europa per chi arriva dal Cile. Per Podler, la moglie e due nipoti, la Spagna è solo il cambio d’aereo nel viaggio verso la vacanza di Praga. Ma il computer dice qualcosa e il poliziotto li fa accomodare in una stanza dalla porta chiusa. Podlech è inseguito dal mandato di cattura internazionale firmato dal procuratore romano Giancarlo Capaldo: fra le persone che ha fatto sparire, quattro italiani sono finiti in niente. Podlech é persona a modo. 84 anni portati con la sicurezza di chi protesta sottovoce: < Sono un procuratore militare in pensione. Se a Santiago mi hanno aperto la porta augurando buon viaggio, vuol dire che ho un passato trasparente. Mi guardi bene. Voglio parlare con la mia ambasciata…>. I poliziotti osservano il signore dai capelli troppo neri per l’età. Dietro gli occhiali aria gran borghese. Respirano il dopobarba delicato. Insomma, deve aver ragione, ma la formalità li obbliga ad avvisare l’Audiencia Nacional, procura generale. Quando i sospetti affondano nella politica e il sospettato è solo di passaggio, a volte lasciano perdere per non sopportare impicci che finiscono in niente. Ma il destino incrocia il giorno sbagliato: quel 29 luglio è di turno un certo giudice. Deve decidere se l’ avvocato Podlech può essere arrestato o libero di volare a Praga. L’ufficio di guardia all’Audiencia Nacional è l’ufficio del procuratore Baltazar Garzòn, proprio il dottore che ha congelato il generale Pinochet nell’esilio rosa di Londra. Garzon dà un’accelerata: l’avvocato deve essere consegnato alla giustizia italiana. Non è necessaria una richiesta di estradizione, la sottintende l’ ordine di cattura internazionale. Forse Podlech arriva a Roma domani, forse a ferragosto. Intanto resta in carcere a Madrid mentre moglie e nipoti si nascondono a Praga. La signora non é tranquilla. Sospetta che < la mafia di chi difende i diritti umani stia tramando qualcosa contro di lei >. Non solo perché seconda moglie del procuratore militare che inventava sedizioni inesistenti per far sparire chi non gradiva il regime; anche il suo passato nei servizi segreti di Pinochet magari nasconde qualche scheletro dalla Dina, polizia che organizzava le squadre della morte. Lei e il suo Alfonso si sono conosciuti così. Operazione Condor galeotta; è nata una famiglia di spie che organizzavano i killer. Per quale < follia > il magistrato Capaldo sta rovinando le vacanze dell’ avvocato Podler ? Storie di un’ altra America Latina. Il racconto di due donne fa capire cosa è successo a Temuco, sud di Santiago, dopo l’11 settembre 1973 quando il generale Pinochet fa morire il presidente Salvador Allende. All’università cattolica di Temuco insegnava Omar Venturelli Leonelli, sacerdote che aveva lasciato l’abito talare per fare i professore. Abbraccia la politica della solidarietà nelle file dei Cristiani per il Socialismo. La famiglia Venturelli viene dal modenese. Contadini con la piccola fortuna di un mulino nella colonia Capitan Pastene dove si raccolgono gli italiani sbarcati in Cile. parlando solo il loro dialetto. Siciliani, veneti, liguri, piemontesi: lo spagnolo riunisce la babele. Omar Venturelli aveva studiato in seminario, studiato come gli altri quattro fratelli che il padre ha preteso diventassero ingegneri e chirurghi. Il suo sogno americano era questo. Alla Cattolica di Temuco l’ex sacerdote incontra un’ insegnante, bella, molto giovane, stesso impegno sociale: Fresia Cea Villalobos. Si sposano, nasce una bambina. Quell’11 settembre ’93 Maria Paz ha tre anni. L’11 settembre, quando ancora Allende non è morto, lungo le strade di Temuco incollano manifesti con gli elenchi delle persone pericolose da catturare vive o morte. Anche Omar e Fresia diventano sovversivi da impacchettare. Omar si rifugia nel mulino del padre, lontanissimo dalla città: vi si arriva con un trenino preso in prestito dalle miniere. E il padre lo convince a seguirlo nella caserma del reggimento carabineros. < E’ solo una formalità. Ti spieghi e torni in cattedra >. Si spiega e sparisce. Freisa non si nasconde, ma è terrorizzata. L’arrestano; due giorni in caserma dove la sala mensa è trasformata nell’aula di un tribunale speciale. Si firmano le prime condanne a morte mentre passano i camerieri con piatti fumanti destinati al pranzo ufficiali, una porta in là. < Volevano farmi dire che ero comunista, quindi fuori dalla nuova legge imposta dai militari che avevano rovesciato la democrazia >: il suo racconto di oggi. Non era comunista ma assieme al marito appoggiava l’occupazione di terre abbandonate nei latifondi larghi come nazioni. Gli occupanti erano ( e sono: poco è cambiato ) indigeni mapuche: gli agrari li trattavano come animali. < Sei comunista e devi confessarlo >: la trascinano nei corridoi davanti alle stanze di tortura. Escono uomini e donne disfatti. Signori in borghese di Patria Libertà - neonazisti cari a Pinochet, uno dei capi ha sposato Lucia Pinochet, figlia maggiore - vanno e vengono armati. Portano via i prigionieri come pacchi: nessuno sa dove, ma è un posto dal quale non tornano. < Confessa, ti conviene. Altrimenti, guarda… >. Nel grande cortile rotolano dai camion degli agrari ragazzi massacrati. < Scappate, siete liberi> e i ragazzi provano a correre mentre i carabinieri si esercitano al tiro al piccione. La signora si sente chiamare. A terra, con un filo di voce, uno studente mormora: < sono fratello di un suo allievo. >. Del marito non sa nulla. Omar è sparito. Gli ultimi testimoni lo ricordano mentre legge la Bibbia ad alta voce o conforta i compagni di cella con una speranza che non si realizza. Torna dagli interrogatori coperto di sangue. I giorni che seguono il colpo di stato hanno un’altra faccia. Nei corridoi della caserma si aggira l’avvocato Alfonso Podlech Michaud. Tuta mimetica, truppa d’assalto. Distribuisce ordini ripetendo:< Qui dentro da oggi comando io >. Il 12 settembre ’93 annuncia all’ordine degli avvocati che per qualche tempo dovrà allontanarsi dalla professione. Pinochet lo ha personalmente nominato procuratore militare, ma non solo: la delega riguarda anche l’ordine pubblico e ordine pubblico vuol dire tante cose. Insomma, diventa il guardiano della nuova disciplina. Gli amici convincono Freisa a scappare a Santiago: rifugio nell’ambasciata italiana. Ma non assieme alla figlia. Polizia e carabineros ricattano i genitori quando i bambini sono nelle loro mani. Tremando per i figli, padri e madri si consegnano: spesso per sempre. Maria Paz viene nascosta in un convento di suore. Solo al momento di partire passa il muro dell’ambasciata. Del padre, niente. Freisa riprova a vivere in Italia. La sua laurea non è riconosciuta. Rifà gli esami con una borsa di studio. Sceglie il sole caldo di Palermo, ma è la Palermo dei massacri anni ’70. Meglio Bologna. Quando Maria Paz diventa maggiorenne e Pinochet lascia la Moneda, Freisa vuol portare la figlia a Temuco. Ma Maria Paz non può andare: è ancora < clandestina >. Sandro Pertini riceve madre e figlia. Il suo impegno permette il viaggio nel tempo ma anche nella rabbia. Perché- raccontano Freisa e Maria Paz – le gerarchie sociali non sono cambiate. Chi comandava, continua a comandare. Attorno al monumento che ricorda centinaia di ragazzi e padri di famiglia inghiottiti dalle squadre della morte, passeggiano i protagonisti di quei massacri. L’avvocato Podlech cammina con l’aria dire: spostati che devo passare. Gli anni della procura militare lo hanno reso miliardario. Le inchieste pretese dai parenti delle vittime hanno suggerito di sbriciolare le proprietà in una rete di società anonime, galassia dei prestanome. Grandi proprietari e autorità militari gli si rivolgono col riguardo dovuto a un piccolo padre della patria. Vent’anni di transizione e di democrazia non hanno cambiato una virgola. L’avvocato si salva con macabri giochi di prestigio. In tribunale nega di conoscere le donne violentate quand’erano ragazze nella caserma dove imperava. E loro insistono e il tribunale se ne lava le mani: impossibile procedere. Falso anche il documento che testimonia la < liberazione > di Omar Venturelli: < il 4 ottobre 1973 è tornato in libertà ed è stato trattato bene >: la sua firma è il sigillo della morte. Freisa si ristabilisce a Temuco: lavora contro la violenza alle donne e si impegna per scoprire la verità del passato. Maria Paz è ormai italiana. Quando arriva in Cile si commuove nell’abbracciare i fratelli del padre, ma li scopre diversi di come li immaginava: non pinochettisti, per carità, ma conservatori attenti agli equilibri che gli interessi professionali suggeriscono. Omar è morto ed è sepolto nel loro ricordo. Non vogliono sapere di più. Freisa e la figlia scavano fra i documenti; stringono i rapporti con le famiglie di altre vittime. Un giorno si presentano coi risultati delle ricerche al giudice Capaldo il quale valuta le testimonianze ed emette l’ordine di cattura. Che vale in ogni parte del mondo, ma in Cile non ne tengono conto. L’avvocato Podlech attraversa la frontiera come un angioletto. Anche gli Stati Uniti fanno finta di niente. Intoccabile fino a quando il 28 luglio mette piede in Europa e trova Garzon giudice di turno. Freisa Cea Villalobos è tornata a Bologna per curare una malattia. La lunga rincorsa non l’ha stancata: < Voglio vivere fino a quando un tribunale condannerà Podlech e tutti gli assassini come lui >. Cortesia dell'Unità

COMMENTI

6 Agosto 2008 22:33

E quanti altri assassini mancano ancora all'appello della giustizia!!?

Lorenzo

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