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14 Luglio 2008 10:22

Maurizio Chierici: IL ROMANZO DI UN PAESE

856 visualizzazioni - 1 commento

di Maurizio Chierici

Paolo Borsellino moriva il 19 luglio 1992. Tremo pensando a come lo ricorderanno le autorità: presidente regione Sicilia, senatore Cuffaro, onorevoli affiliati al governo, qualche ministro. Speriamo limitino il cordoglio ad una presenza decorativa. Tremo, immaginando il loro distinguere tra magistrati impegnati a combattere la criminalità e magistrati che <fanno politica> perché scavano nelle italiche vergogne. Tremo perché alle nostre spalle crescono generazioni che sanno poco o niente. Disinformate, distratte. Ogni messaggio ambiguo le allontana dalla concretezza che potrebbe aiutare la speranza mentre il silenzio li condanna all'indifferenza programmata da chi non sopporta la memoria. Ecco perché Borsellino dovrebbe essere ricordato mandando in onda solo le sue parole: intervista con domande e risposte. Nessuna retorica. Ultima voce del giudice coraggioso assieme alla voce di chi vuol sapere. Ricominciamo a sciogliere la matassa affari-politica dalla pazienza che ci ha insegnato. Il colloquio è del 19 maggio '92 con i giornalisti francesi Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscati. Nove giorni dopo Giovanni Falcone viene ucciso a Capaci. Borsellino capisce che gli è rimasto un tempo ormai contato. Nel maxiprocesso aveva inchiodato il gotha della mafia assieme a Falcone lasciando intendere a Cosa Nostra che non avrebbero mai smesso di frugare negli interessi di una società in parte segreta e in parte quotata nelle borse dell'economia e della politica. <Devo fare in fretta. Adesso tocca a me>. Appena due mesi e la sua vita brucia. Nel 2000, Rai News di Morione manda in onda una sintesi di 30 minuti dopo aver tentato di convincere i Tg a presentarne almeno una parte. Niente. Santoro lo fa nel Rosso e il Nero e il Cavaliere e il senatore di casa, Paolo Guzzanti, scatenano la bagarre. Fumo senza arrosto. Sono passati dieci anni ed è il momento di informare i ragazzi quale paese si nasconde dietro il paese delle promesse che suonano. Ascoltiamo Borsellino dando modo a chi ne è coinvolto di rispondere ma lasciando che la gente possa decidere da sola quale verità sia credibile. Radio24- Sole 24 Ore lo sta facendo, microfoni non rivoluzionari della Confindustria. Chissà la Rai. La curiosità francese insisteva nell'avere notizie a proposito di Vittorio Mangano, stalliere nella Arcore di Berlusconi, assunto per la calda raccomandazione del senatore Dell'Utri. Racconta Borsellino: <Avevo conosciuto Mangano prima degli anni '76-'80. Ho istruito nei suoi confronti un procedimento per estorsione ad alcune cliniche private nel palermitano>. Buscetta e Contorno, padrini doc, lo indicavano <uomo d'onore di Cosa Nostra>. d- Uomo d'onore legato a Pippo Calò? <Falcone ne aveva intercettato le telefonate. Mangano risiedeva a Milano, era un terminale dei traffici di droga che riconducevano alle famiglie palermitane. Annuncia al telefono ad un mafioso sotto controllo l'arrivo di una partita di magliette e cavalli ‘, gergo dal significato ormai accertato: lo avevamo decifrato in altre istruttorie e ogni istruttoria venuta dopo ne ha confermato l'interpretazione. Parlavano di stupefacenti>. d- Dell'Utri c'entra? <Credo sia aperta a Palermo un'indagine col vecchio rito processuale nelle mani di un giudice istruttore, ma non me ne sono interessato>. d- Si tratta di Marcello o del fratello Alberto Dell'Utri, entrambi Publitalia? <Si>. d- Nell'inchiesta di San Valentino c'è un colloquio tra Vittorio Mangano e Dell'Utri in cui si parla di cavalli? <Nelle intercettazioni ascoltate nel maxiprocesso si parla di cavalli da consegnare in albergo. Non credo potesse trattarsi effettivamente di cavalli. Se qualcuno deve recapitare un cavallo lo porta all'ippodromo o al maneggio. Non in albergo>. d- Le sembra strano che certi personaggi, protagonisti dell'economia come Berlusconi e Dell'Utri, siano collegati con uomini d'onore tipo Vittorio Mangano? <All'inizio anni '70 Cosa Nostra comincia a diventare un impero nel senso che attraverso l'inserimento quasi monopolistico nel traffico di stupefacenti, gestisce una massa enorme di capitali per i quali cerca uno sbocco. Questi capitali in parte vengono esportati e depositati all'estero e allora si spiega la vicinanza tra Cosa Nostra e certi finanzieri>. d- Mangano era un pesce pilota? <Apparteneva a quei personaggi teste di ponte dell'organizzazione mafiosa nel nord Italia>. d- Si dice abbia lavorato per Berlusconi … (al momento dell'intervista la notizia non era ufficialmente confermata). <Non lo saprei. Come magistrato ho una certa ritrosia a dire cose di cui non sono certo. So che esistono indagini in corso…>, per scoprire se Mangano era stalliere nella villa di Arcore <…ma è una vicenda che non mi appartiene>. d- Può confermare se l'inchiesta è aperta? <C'è un'inchiesta ancora aperta>. La seconda intervista risale a cento giorni fa. Vigilia delle elezioni. Berlusconi raccoglie e rafforza lo sdegno di Dell'Utri. Senza spiegare la ragione, il senatore esplode nella difesa di Mangano. Non si capisce come mai, quando il voto è vicino, Mangano sepolto da tempo, l'improvvisa frenesia dell'incensare il passato di un protagonista per le meno controverso. Analisti maligni lo hanno interpretato come messaggio tranquillizzante ad amici siciliani. Può essere un'ipotesi al veleno, nervi elettorali elettrici. <Vittorio Mangano era il fattore di Arcore, non uno stalliere>, precisa Berlusconi. <Pur essendo in carcere malato e sollecitato dai pubblici ministeri, eroicamente non inventò mai nulla contro di noi. Sarebbe uscito di prigione se ci avesse accusati>. Uomo di vero onore, insomma. Il risultato elettorale siciliano gliene dà gloria. Ma ricordare per un giorno, una settimana, magari un mese la lealtà di Borsellino non può bastare. Che i ragazzi non sappiano come si sono formati i gestori dell'Italia 2000 lo hanno capito gli spettatori di una certa età nelle sale dove si proietta <Il divo>, misteri cangianti di Giulio Andreotti raccontati da Paolo Sorrentino che è poi la storia politica dagli anni ‘70 ad oggi. Sussurri nel buio di trentenni e quarantenni che perdono la bussola: <Sindona? L'ho già sentito nominare>. <Perché Moro si è arrabbiato quando il ministro degli esteri Andreotti va a trovarlo di nascosto a New York>.<Gelli, so chi é. È scappato da una prigione svizzera e si è fatto crescere i baffi. Ma lo hanno preso>. <Cosa c'entra la P2 con Piazza Fontana?>. Berlusconi piduista come i generali argentini? Cicchitto piduista come il capo del suo partito Berlusconi?>. <Adesso ti dico un nome del giornalista P2 che non ti aspetti…>. Cinema-brusio. Ripassi frettolosi inseguendo le immagini, ma appena casa i ragazzi non più ragazzi accendono la Tv e ritrovano gli uomini incappucciati che fanno la morale. Sbaglia il film o l'indulgenza dei giornalisti tappeto accompagna la decadenza dei tempi? Rispondo al professore di un lice milanese, padre con due figli fra i banchi: bella l'idea rivisitare assieme agli studenti la storia d'Italia attraverso i film. Aggiungo all'elenco che è arrivato: <Le mani sulla città>, di Francesco Rosi. Spiega la Napoli di oggi e le fortune dei palazzinari. <Un eroe borghese>, di Michele Placido ispirato dallo straordinario romanzo-verità di Corrado Staiano. È la storia dell'avvocato Giorgio Ambrosoli nella Milano da bere, anni craxiani. Viene ucciso da un killer che Sindona manda da New York. L'avvocato stava scoprendo pagine che inquietavano non solo il fallimento della Banca Privata del finanziere siciliano, ma gli intrecci tra mafia e P2, Ior vaticano di Marcinkus, scalata al Corriere della Sera, insomma l'Italia i cui protagonisti galoppano ancora. Ambrosoli apparteneva alla borghesia della Milano di una volta: ogni impegno era un impegno, proibito l'imbroglio. Anche <Il giudice ragazzino> di Alessandro de Robillant, ricostruzione di Nando Dalla Chiesa della morte violenta di Rosario Livatino, procuratore ad Agrigento. E <Il caso Moro> di Giuseppe Ferrara, e <I banchieri di Dio>, P2, Vaticato e Roberto Calvi che si impicca nel ponte dei frati neri di Londra. E <La classe operaia non va in paradiso>, tanto per far capire come quarant'anni dopo a perdere sono sempre gli stessi, stretti tra gli egoismi del potere e l'infantilismo della sinistra visionaria. Sullo sfondo l'eterno Andreotti e chi ne ha preso il posto con le apposite Tv: identificazione completa della politica in quanto scienza del potere. I successori hanno solo aggiunto gli affari. Attraverso le ombre dello schermo la storia si trasforma nel romanzo di un paese, aiutando gli incolpevoli malinformati a capire cosa nascondono le parole che una pattuglia di politici ancora distribuisce per sfumare il loro passato. Le ultime parole di Borsellino possono diventare il primo film di un'educazione senza ipocrisia; immagini che aiutano a sfogliare libri e giornali. Aspettiamo che la Rai faccia la scelta giusta, naturalmente. mchierici2@libero.it La cortesia dell'Unità

COMMENTI

14 Luglio 2008 16:19

Caro Maurizio, non si tratta di avere fiducia nei Media pubblici e privati, così omologati e partecipi degli affari loro, nè di far conoscere i "fatti" alle nuove generazioni. Quanti hanno il tempo e i soldi per arrivare a "certe" notizie e "certi" siti? Mio nipote di 17 anni mi ha detto che se non avesse avuto la sottoscritta zia, nè lui nè tantomeno i suoi amici di periferia romana sanno niente di Genova nel 2001, conoscano i "fatti" dell'11 settembre del 2001. Una smemoratezza sconfinata al punto di non conoscere neanche veramente cosa si vuole, ha acchiappato l'Italia. Ci si tiene stretti a quello che abbiamo, a ciò che abbiamo vissuto ieri e speriamo di avere anche domani. Noi magari più in là con gli anni, abbiamo una qualche ansia, chi è giovane, molto giovane, vive questo presente. Non si vive al presente con coscienza individuale e nè tantomeno collettiva, perchè non si sa cosa è successo nel passato prossimo...la chiamano memoria. Stanno nei sotterranei i documenti secretati, gli scandali sommersi, le stragi mai finite, i debiti che non hanno mai pagato... Comunicare e divulgare per chi di professione o per passione lo fa, è un'emergenza. Farlo in tutti i modi, capillarmente, tirando fuori tutti i dubbi, assillando e intervenendo, anche in quel Fuori Luogo e Fuori Tema, così caro a quei movimenti-governi - amici che non lo sono mai stati. E parlare e far chiedere e raccontare la vita anche se i risultati possono far molto male. Ebbi modo di sentire alla Rai, interviste a giovanissimi, che conoscevano tutto l'albero genealogico delle Famiglie Mafiose. Li ri-conoscevano e gli riconoscevano, possibilità di vita e lavoro. Quali erano i personaggi istituzionali che avrebbero dovuto invece additargli, quali collusi, sordi, muti e ciechi si sarebbero potuti elencare? un abbraccio Doriana

Doriana Goracci

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