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5 Novembre 2007 09:47

Al Sindaco di Roma, Walter Veltroni

844 visualizzazioni - 0 commenti

di NADIRinforma

Al Sindaco di Roma, Walter Veltroni > > e, p.c. all’Assessore alla Sicurezza del Comune di Roma, Jean Léonard > Touadi; al Presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo; > all’E.R.R.C. – European Roma Rights Center, Budapest; alla Sig. > Dimitrina Petrova, Equal Rights Trust, London > > Roma, 3 novembre 2007 > > Egregio Sig. Veltroni > > come cittadino che vive e lavora a Roma da oltre vent’anni, mi sento > in dovere di richiamare la Sua attenzione su alcuni comportamenti dei > funzionari dell’Amministrazione che sono tali da compromettere il > rapporto fra cittadini e istituzioni. > > Martedì scorso, 30 ottobre, mi trovavo al campo rom di via dei > Gordiani. Pareva una mattina come le altre; poi è giunta una vettura > dei vigili urbani, seguita da un’altra con la scritta “S.O.S. – > Autocentri Balduina”. Ne sono scese due giovani operatrici sociali. Da > loro abbiamo appreso che era in atto uno sgombero. > > Le auto continuavano ad arrivare, una dopo l’altra. Hanno fatto la > loro comparsa alcuni personaggi vestiti come /rangers/ americani. > L’atmosfera fra gli uomini del Comune – guardie municipali, funzionari > in borghese - si è fatta effervescente. Cameratismo, pacche sulle > spalle, risate e battute. > > Le confesso, sig. Sindaco, di aver provato l’impressione di trovarmi > sul set di un remake casereccio di qualche film di Hollywood. La > divisa dei /rangers/ è quella dei tiratori scelti che arrancano > all’assalto di un grattacielo di Chicago, in una scena dei /Blues > brothers/. Uno di loro ostentava una maglietta con la scritta: /FBI > Special New York City Department/ (Le allego via mail la foto, per Sua > personale documentazione). > > Osservavo incuriosito la scena, in silenzio. Ma i /rangers/ hanno > detto: chi non abita qui se ne deve andare. > > In diversi anni di frequentazione del “campo”, non era mai accaduto. > Si entrava e si circolava liberamente, come in qualsiasi angolo della > città. Ma i /rangers/ sostengono che quello non è un luogo come gli > altri. Un tale, che dice di essere il capo, si è messo a gridare: > “Questo è un luogo chiuso, un luogo chiuso... Portate la ruspa.” > > Quell’individuo non l’avevo mai incontrato, ma lo riconoscerei fra > mille. Ha gli occhi piatti, privi di espressione; lo guardi fisso, > cerchi di agganciare il suo sguardo e non trovi nulla su cui fare > presa. Nessun riflesso, nessuna sfumatura... > > Il soggetto in questione dichiara di avere poteri speciali, > conferitigli direttamente da Lei. E i vigili sembrano dargli retta, lo > seguono come ultracorpi. > > Un ragazzo mi ha mostrato un documento, consegnato dai vigili il > giorno precedente. È firmato da un dirigente del Comune di Roma, tale > dott. Alvaro. > > “La S. V. non è stata in grado di rispettare le norme che regolano la > civile convivenza tra gli ospiti del campo attrezzato di via dei > Gordiani. > > I comportamenti illeciti da Lei messi in atto escludono ogni > possibilità di considerare altre soluzioni che non quella > dell’allontanamento dal campo di tutto il suo nucleo familiare (...) > > Pertanto Lei è invitata a lasciare immediatamente il campo liberando > da persone e cose l’unità abitativa precedentemente assegnatole.” > > “Ospiti”, non cittadini. Liberare il container “da persone e cose”. La > punizione si abbatterà “su tutto il nucleo familiare”. Il documento > del dott. Alvaro ci svela che il “principio” della responsabilità > collettiva, alla base di tutte le rappresaglie fasciste, è l’assioma > che ispira l’operato dei /rangers/. > > Oltre agli altri poteri che Lei gli ha conferito, il capo dei > /rangers/ deve avere anche quello di intercettare i pensieri. Mentre > ho tra le mani il documento del dott. Alvaro, si mette a urlare: “Voi > non sapete nemmeno cosa sono i fascisti!” > > Intravvedo la figura di Lazaro, uno degli anziani del campo. Nel 1941, > a Kragujevac, la città da cui provengono i rom di via dei Gordiani, > Lazaro era bambino. I nazisti lo misero di fronte a un plotone > d’esecuzione, con la famiglia. > > Furono trucidate migliaia di persone, quel giorno. Fra essi, tutti gli > allievi di un liceo. Kragujevac è città martire, in Jugoslavia. Ma > Lazaro non sa cosa sono i fascisti... > > Tornando a noi, sig. Sindaco, converrà che la questione è controversa. > Come potremmo denominare un processo nel quale, per una categoria di > persone connotata “etnicamente”, le garanzie costituzionali vengono > sospese e si definisce uno spazio al cui interno i giudizi della > magistratura e l’esecuzione delle sentenze sono anticipati dalle gride > del dott. Alvaro e dallo sbrigativo intervento dei /rangers//?/ > > Mentre vengo sospinto fuori dal campo, incrocio la ruspa. Si dirige > verso il container di Ghina. > > Ghina non c’è, è in ospedale. Di ragioni per stare male, ne ha parecchie. > > Signor Sindaco, Lei conosce la sua storia. O almeno dovrebbe. > > Ghina è una non-cittadina (ossia: abitante senza diritti). È nata in > Italia e cresciuta a Roma, dove ha vissuto e frequentato le scuole. > Come accade a molti giovani rom, a 18 anni non le è stata riconosciuta > la cittadinanza italiana. Per non rimanere in un limbo, per poter > avere un documento di identità e un permesso di soggiorno, Ghina ha > richiesto il passaporto del paese dei genitori, la Jugoslavia – un > paese dove non aveva mai messo piede e del quale non parla la lingua. > > In virtù delle normative sull’immigrazione attualmente in vigore (a > partire dalla Turco-Napolitano del ’98) per ottenere un permesso di > soggiorno è richiesto un impiego regolare. Per Ghina, come per molti > altri rom, adempiere a questo requisito si è rivelato impossibile. È > scattata la trappola: un passaporto fittizio le appiccicava > l’etichetta di “straniera” e si è ritrovata clandestina nel paese in > cui era nata e cresciuta. > > Per fortuna, la legge italiana impedisce l’espulsione di uno straniero > che conviva con un parente (entro il quarto grado) cittadino italiano. > È il caso di Ghina, che vive (o meglio viveva - prima dell’intervento > dei /rangers/) con il nipote Alex, cittadino italiano. Ghina è > inespellibile, ai sensi di legge. Eppure... > > Lo Stato, che attraverso i suoi rappresentanti ci invita > insistentemente al rispetto della legalità, a volte mostra di > infischiarsene - delle proprie leggi. Un giorno di primavera di due > anni fa, polizia e vigili urbani hanno prelevato Ghina dal container > che le era stato assegnato. Insieme ad altri ragazzi – come lei nati e > cresciuti in Italia – è stata rinchiusa nel Centro di Permanenza > Temporanea di Ponte Galeria. Dopo qualche giorno, Ghina è stata > scaricata dalle forze dell’ordine sulla pista dell’aeroporto di > Belgrado. Malata, senza un centesimo in tasca. > > Mentre portavano a termine la brillante operazione, i funzionari di > polizia non hanno dato peso a un dettaglio. Ghina è una ragazza madre, > sul suo passaporto era registrata la figlia Jessica, di quattro anni. > L’espulsione ha separato Jessica dalla madre, e la bimba è rimasta > sola, in Italia. > > Nessuno (fra le autorità dello Stato e gli innumerevoli operatori di > cui dispone la Sua amministrazione, sig. Sindaco) si preoccupò di > questo trascurabile particolare. > > Per fortuna esistono i nonni. La madre di Ghina, seriamente malata, > decise di prendersi cura della bambina. > > Alcune persone (le stesse che i /rangers/ hanno cacciato l’altro > giorno dal campo, per non avere testimoni) denunciarono l’accaduto. La > RAI si interessò alla questione, e in una trasmissione andata in onda > in fascia di massimo ascolto, l’allora dirigente dell’Ufficio > Stranieri della Questura di Roma, dott. Cardona, ammise che era stato > compiuto un abuso, al quale andava posto rimedio. Intervenendo in > diretta, l’Assessore alle politiche sociali del Comune di Roma, > Raffaella Milano, promise a Ghina il sostegno e la solidarietà > dell’Amministrazione comunale (la registrazione è a Sua disposizione, > sig. Sindaco, se ritenesse opportuno ascoltarla). > > Come spesso accade, l’attenzione dei media non è durata a lungo. Le > promesse sono rimaste tali, e Ghina è rimasta in Serbia. > > Alcuni mesi più tardi, incapace di reggere a un esilio ingiusto e > all’ancor più ingiusta separazione dalla figlia, Ghina è rientrata in > Italia, clandestinamente. > > I due anni successivi sono stati un incubo costante. Viveva chiusa nel > container, svegliandosi all’alba, con il terrore di un nuovo blitz > della polizia e dei vigili urbani. > > Poco più di un anno fa, i suoi amici le trovarono un avvocato. In > questo modo fu possibile far ricorso in Cassazione contro l’espulsione > del 2005, e oggi Ghina (che non ha precedenti penali ed è imputata di > un unico reato, il rientro clandestino in Italia) è in attesa di giudizio. > > Presentato il ricorso, Ghina si fece coraggio e provò a riprendere una > parvenza di “vita normale”. Curava il proprio aspetto, usciva per il > quartiere, si è trovata un fidanzato. > > Il ragazzo di Ghina era giovane come lei. Anche lui rom, anche lui > poverissimo. Anche lui clandestino in patria: nato in Francia da > genitori di origine serba, e cresciuto a Roma, Paolo non era stato > registrato all’anagrafe. Un altro “cittadino invisibile” dell’Europa > di Shengen. > > La primavera non porta fortuna a Ghina Marinkovic. Nel marzo di > quest’anno, due anni esatti dopo il blitz che si era concluso con la > deportazione di Ghina, Paolo è scomparso. I genitori lo hanno rivisto > cadavere, all’Istituto di medicina legale del Verano, una decina di > giorni più tardi. > > Quella mattina, era apparso sui giornali un comunicato del garante dei > Diritti delle Persone Private della Libertà del Comune di Roma, > Gianfranco Spadaccia: «Un rumeno, detenuto nel carcere di Regina > Coeli, è morto questa notte per cause imprecisate nell'ospedale Santo > Spirito, dove era stato ricoverato con urgenza nell'estremo tentativo > di salvarlo. Il cittadino rumeno, tossicodipendente, era detenuto per > rapina, aveva numerosi precedenti penali ed era sotto osservazione > psichiatrica per aver incendiato in passato la propria cella. Si > trovava per questo in una cella dove era sorvegliato a vista». > > In tutto questo, l’unica cosa vera è che Paolo, a Regina Coeli, lo > conoscevano bene. Vi aveva trascorso alcuni anni, scontando un cumulo > di condanne relative a una serie di piccoli furti commessi da > minorenne. Lo conoscevano a tal punto da affidargli il ruolo di cuoco, > nella cucina del carcere. E conoscevano perfettamente i suoi problemi > di salute, visto che, durante la detenzione, era stato più volte > operato per la grave patologia che lo affliggeva dalla nascita e che > lo ha costretto a oltre 20 interventi chirurgici, per regolare la > valvola e il catetere che collegavano il suo cervello ai reni. > > Allo stesso modo, non era un mistero l’origine di Paolo. Il magistrato > che dispone l’autopsia scrive a chiare lettere che Paolo è nato in > Francia, 26 anni fa. > > L’autopsia fu effettuata in fretta e furia, senza aspettare che > venisse notificato ai genitori il diritto di nominare un perito di > fiducia, e il corpo di Paolo fu inumato a Prima Porta a tempo di > record. Salvo poi scoprire, alcuni giorni dopo, che sulla lapide > qualcuno aveva cambiato la data della morte, anticipandola di un giorno. > > Fra le tante balle date in pasto al pubblico attraverso il comunicato > del garante, c’è anche il fatto che Paolo sarebbe “morto per cause > imprecisate nell'ospedale Santo Spirito”. > > I referti parlano chiaro: al S. Spirito, Paolo è giunto cadavere. > Quell’imprecisione sull’ora del decesso (e sulla data della morte, > avvenuta il giorno prima di quello dichiarato ai parenti) pare fatta > apposta per sviare l’attenzione da eventuali responsabilità > istituzionali nella vicenda. > > In tutto questo, non è chiaro il ruolo del garante dei Diritti delle > Persone Private della Libertà del Comune di Roma. Non c’è stata, > infatti, nessuna rettifica del vergognoso comunicato iniziale, e > nessuno sforzo - a quanto è dato sapere - per chiarire le ragioni che > avevano indotto le autorità carcerarie a fornire al garante > informazioni fuorvianti. Eppure, su iniziativa degli amici di Ghina, > la stampa aveva sollevato la questione della strana fine di un > detenuto “invisibile” - espropriato, anche da morto, del diritto a > un’identità riconosciuta. > > Qualche mese fa incontrai nuovamente l’assessore Raffaella Milano. Fu > all’Università, in un’assemblea a cui partecipavo insieme ad altri > amici di Ghina. Oltre a richiamare l’attenzione dell’assessore sulle > singolari circostanze della morte di Paolo Jovanovic, le consegnammo > un dossier sulla situazione di Ghina. Ci rispose sorridendo. Vedremo > cosa possiamo fare. > > Il 30 ottobre abbiamo visto cosa potete fare. > > Signor Sindaco, una delle foto che Le allego ritrae una ruspa che > distrugge il container di Ghina. Quando uscirà dall’ospedale, questa > ragazza non avrà più un tetto che la ripari. Inoltre, dal momento che > la ruspa ha raso al suolo anche il container del nipote Alex, Ghina > non potrà far appello alla sua condizione di convivente con un > congiunto italiano, al fine di ottenere un permesso di soggiorno. > > Quella ruspa, che ho incrociato mentre mi cacciavano dal campo, quella > ruspa che avanzava scortata da individui in uniforme in atteggiamento > ilare e scherzoso, mi ha richiamato alla mente una fotografia scattata > 65 anni fa, in un villaggio jugoslavo. Due militari italiani ridono, > mettendosi in posa davanti a una casa appena data alle fiamme. > All’epoca, per questo genere di rituali, si usava il fuoco. Oggi – > Sharon docet – si preferisce il bulldozer. > > Sebbene non possa vantare altrettanta esperienza, nel campo della > semeiotica fascista, di quella del capo dei /rangers /del Comune di > Roma, mi pare indubbio che fra i numerosi semi di intolleranza che si > stanno allegramente spargendo in questi giorni vada annoverata la > distruzione esemplare del container di Ghina. Che bisogno c’era di > accanirsi su una ragazza malata e indifesa, i cui diritti di > cittadinanza non sono riconosciuti, i cui diritti umani vengono > sistematicamente calpestati? > > Non La conosco personalmente, sig. Sindaco. Non ho ragione di mettere > in dubbio la Sua correttezza e la Sua sensibilità. Mi tornano in mente > le parole di un grande artista, Roberto Benigni, mentre dichiara che > l’idea del film “La vita è bella” è stata “del suo amico Walter > Veltroni”. Accadeva qualche anno fa. > > Oggi, la crescita esponenziale delle ambizioni politiche /del > medesimo/ Walter Veltroni si accompagna alle decine e decine di > sgomberi e deportazioni di rom che si succedono a Roma. Dal > Campidoglio, si teorizza tranquillamente che “i rom devono essere > spostati al di fuori del raccordo anulare”. Inoltre, /il medesimo/ > Walter Veltroni rivendica, il giorno in cui viene spianato il > container di Ghina, “tutta la responsabilità, storica, morale e > politica” per quell’azione. Che gli ultracorpi siano davvero calati in > città? > > Sig. Sindaco, non è bello vivere sapendo che per le strade si aggirano > squadre di /rangers/ che si sostituiscono alle forze dell’ordine e > alla magistratura e, agendo in Suo nome, comminano punizioni esemplari > a persone che non sono state condannate per alcun reato. > > A proposito di reati, qualche illegalità mi pare sia stata commessa, > il 30 ottobre. A parte le automobili sequestrate perché non avevano il > contrassegno di assicurazione (ma non erano posteggiate in un “luogo > chiuso”, dove non si può circolare?), le ruspe del Comune hanno > distrutto oggetti, documenti, effetti personali di alcuni abitanti del > campo (allego alcune foto che lo comprovano). > > Sono stati spianati diversi container, senza altra motivazione che > “dare un esempio”. Quei container erano in buone condizioni. Ammesso > (e non concesso) che i legittimi assegnatari fossero indegni di > occuparli, potevano essere usati per ospitare altre famiglie rom > (funzionari e operatori del Comune sanno bene che, a causa del > naturale incremento demografico e dell’indisponibilità di altre > soluzioni abitative, i container di via dei Gordiani sono cronicamente > sovraffollati). Oltretutto, acquistare e installare i container > comportò una spesa considerevole; allo scopo di “mostrare i muscoli”, > i /rangers/ hanno arrecato un danno cospicuo al pubblico demanio. > > Mi è stato riferito che un ragazzo, a malapena maggiorenne, in > precarie condizioni di salute (un anno fa precipitò dal terzo piano di > un edificio, entrò in coma e venne operato alla testa), sarebbe stato > malmenato nel corso dell’operazione. > > Infine, sono stati violati i diritti dell’infanzia (Le allego le foto > dei libri di scuola di Alex Amati fra le macerie del container in cui > abitava). > > A quanto pare, il 30 ottobre in via dei Gordiani è stata infranta in > più punti la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Nello > specifico, mi pare incontestabile che la persecuzione reiterata e > continuata nei confronti di Ghina Marinkovic configuri un’esplicita > violazione dell’art.3 della Convenzione, che vieta di sottoporre le > persone “a trattamento disumano e degradante”. > > Sig. Sindaco, come cittadino indignato per questi fatti, e come > testimone dell’accaduto, mi permetto di ricordarLe che è Suo dovere > istituzionale intervenire con tempestività affinché le responsabilità > vengano accertate, gli eventuali colpevoli puniti e i danni (materiali > e morali) adeguatamente risarciti. > > RingraziandoLa per la cortese attenzione, Le porgo distinti saluti > > Roberto Pignoni, Roma >

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