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19 Ottobre 2007 00:20

CAPITALISMO ORIENTALE CONTRO CAPITALISMO OCCIDENTALE. ALTRO CHE NUOVA GUERRA FREDDA.

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di pierluigi dattis

Ecch ci siamo. IL capitalismo orientale contro il capitalismo ocidentale. Russia e Cina, Voi sapete meglio di me, non sono più Paesi comunisti ma, sono la rappresentazione effetiva del capitalismo più spietato. Mentre noi in Italia stiamo ancora a discutere sulla legge criminale Biagi, questi paesi con lo sfruttamento, la precarietà, l'edonismo. il consumismo più frenetico, le loro mafie, i loro capitalisti e finanzieri senza scrupoli, ora vogliono dettare Legge. Capitalismo orientale contro capitalismo occidentale. Altro che Nuova Guerra Fredda. Il Capitale (Das Kapital) è l'opera maggiore di Karl Marx ed è considerata il testo-chiave del marxismo. Il Libro I del Capitale fu pubblicato quando l’autore era ancora in vita (1867), mentre gli altri uscirono postumi. Il Libro II ed il III uscirono a cura di Friedrich Engels rispettivamente nel 1885 e nel 1894, mentre il Libro IV venne pubblicato (1905-1910) da Karl Kautsky con il titolo di Teorie del plusvalore. Il sottotitolo dell'opera, Critica dell’economia politica, evidenzia chiaramente la contrapposizione esplicita di Marx all’economia politica di stampo liberista all'epoca dominante. Nonostante la critica netta nei confronti degli economisti classici, rei secondo lui di non aver portato alle logiche conclusioni le loro deduzioni, Marx tuttavia ne apprezza in più punti il valore. Tutto il pensiero di Marx può essere in certo qual modo visto come una riflessione in chiave critica sui temi sollevati da Adam Smith e David Ricardo, tra i massimi esponenti di quella scuola, e la teoria marxiana del valore è chiaramente incardinata nella teoria del valore-lavoro degli economisti classici, tanto che alcuni considerano Marx l'ultimo grande esponente della scuola classica. Marx critica aspramente l'utilitarismo di Jeremy Bentham. Di Bentham stesso ha occasione di dire: « ...l'arcifilisteo, Jeremy Bentham, questo oracolo del senso comune borghese del XIX secolo, arido, pedante e chiacchierone banale (leather-tongued). Bentham è tra i filosofi quello che Martin Tupper è tra i poeti: l'uno e l'altro solo l'Inghilterra poteva fabbricarli. » (Il Capitale, Libro I, p.666) Della sua teoria poi dice: « Il principio dell'utile non è stato un'invenzione di Bentham, il quale non ha fatto che riprodurre senza nessuno spirito quel che Helvétius ed altri francesi del secolo XVIII avevano detto con spirito. Per esempio se si vuol sapere che cos'è utile ad un cane, bisogna studiare a fondo la natura canina. Ma questa natura stessa non si può dedurre dal "principio dell'utile". Applicato all'uomo, se si vuol giudicare ogni atto, movimento, rapporto, ecc., dell'uomo secondo il principio dell'utile, si tratta in primo luogo della natura umana in generale, e poi della natura umana storicamente modificata, epoca per epoca. Bentham non ci perde molto tempo. Egli suppone, con la più ingenua banalità, che l'uomo normale sia il filisteo moderno e in specie il filisteo inglese. » (Il Capitale, Libro I, p. 749 nota) Parole non meno dure riserva a John Stuart Mill, che riprende e sviluppa l'etica utilitaristica di Bentham: « Il Signor J. St. Mill riesce, con la logica eclettica che lo contraddistingue, ad essere dell'opinione di suo padre James Mill e contemporaneamente di quella opposta. Se si confronta il testo del suo compendio, Principles of Political Economy, con la prefazione (della prima edizione), dove egli si annuncia come l'Adam Smith del tempo presente, non si sa se ammirare più l'ingenuità dell'uomo o quella del pubblico che in piena buona fede gli ha creduto. » (Il Capitale, Libro I, p.157 nota) Il Capitale non può essere considerato soltanto un trattato di economia in quanto - parlando del sistema economico - Marx espone anche le caratteristiche generali della società capitalistica e dei rapporti che ci sono tra i suoi componenti. Alla base del Capitale c'è la tesi del materialismo storico, secondo cui le condizioni e le caratteristiche della vita materiale, incidono inevitabilmente sugli altri aspetti della vita sociale. Marx analizza il sistema capitalistico per capire come questo sia nato e in modo particolare come si sia sviluppato. L'autore è convinto che le caratteristiche delle diverse società storicamente esistite dipendano essenzialmente dai mezzi di produzione e dalle tecniche produttive utilizzati, nonché dei rapporti sociali di produzione. Per rapporti sociali di produzione si intendono i rapporti tra le varie classi che si fronteggiano nel processo produttivo. Per esempio il sistema schiavistico era basato sullo schiavo non libero e su un rapporto del tutto dispotico tra padrone e schiavo. La società feudale invece aveva sciolto questo vincolo ferreo, ma pur tuttavia le classi sfruttate erano tenute a effettuare prestazioni lavorative (ad esempio le corvè) per le classi dominanti in virtù di vincoli determinati da leggi, da regole religiose ecc. In sostanza neppure nel medioevo gli uomini erano tutti uguali di fronte alla legge. Con le rivoluzioni borghesi, invece, nelle società evolute si è affermato il modo di produzione capitalistico, in cui gli uomini sono tutti uguali davanti alla legge. Pur tuttavia i proletari sono costretti a lavorare per i proprietari dei mezzi di produzione a causa di una dipendenza che è tutta economica. Infatti la concentrazione della proprietà dei mezzi di produzione e dei mezzi di sussistenza dei lavoratori nelle mani di alcuni, costringe chi non ha niente a dover vendere le sue prestazioni lavorative per poter sopravvivere e mantenere la famiglia. Marx tenta di spiegare come avviene che - in una società in cui tutti sono liberi e uguali e in cui ogni merce, compresa la forza-lavoro, viene venduta secondo il suo valore - si determina lo sfruttamento dei lavoratori. Nel primo libro del Capitale viene trattato il problema della merce, la quale presenta un duplice aspetto: è un valore d’uso in quanto è utile a qualcosa (alla soddisfazione di un bisogno attraverso il consumo o a produrre altre merci) ed è valore di scambio perché deve poter essere scambiata con altre merci. Secondo la sua teoria del valore, un prodotto (in base all’equazione valore = lavoro, ripresa dall’economia classica e rielaborata) ha tanto più valore quanto più tempo di lavoro viene impiegato dalla società per produrlo. La caratteristica che differenzia il capitalismo dalle altre forme di economia è il fatto che i capitalisti non producono al fine di consumare la merce, ma al fine di accumulare ricchezza. Alla base di questo sistema economico c’è il capitalista, che investe denaro in merci, le quali vengono usate nel processo produttivo per poi venderne il prodotto e ricavarne una somma di denaro maggiore di quella investita. Ciò è possibile soprattutto grazie al plusvalore che proviene dal pluslavoro dell’operaio, cioè una eccedenza di lavoro prestato rispetto a quello che sarebbe necessario per produrre i beni di consumo dei lavoratori o, ciò che è lo stesso, rispetto al lavoro rappresentato dai salari dei lavoratori. Questo lavoro in più, gratuitamente prestato, rimane a disposizione del capitalista ed è l'unica fonte del profitto. Viene poi spiegata la differenza tra capitale variabile (quello investito nei salari) e capitale costante (quello impiegato per i macchinari e per eventuali acquisti di merci necessarie alla produzione). In modo particolare si evidenziano i rapporti che intercorrono tra i due tipi di capitale, e tra questi e il plusvalore. Nel secondo libro Marx analizza la circolazione, la rotazione e la riproduzione del capitale, mostrando come e a quali condizioni esso può riprodursi e espandersi. Nell'ambito di questa analisi vengono presentati gli schemi di riproduzione, poi divenuti famosi, che dimostrano come, nell'ambito di una economia di mercato, le condizioni che assicurano una crescita senza crisi possono verificarsi solo casualmente. Tali condizioni coincidono con la necessità che tutta la ricchezza prodotta e non consumata venga impiegata (investita) per dare luogo ai successivi cicli produttivi. Si tratta della stessa condizione Risparmi = Investimenti formulata successivamente da John Maynard Keynes, di cui Marx ha anticipato diverse idee. Nel terzo libro Marx introduce i molteplici capitali e la concorrenza tra di loro, mostrando che a questo nuovo livello di analisi, più vicino alla realtà delle cose, i prezzi delle merci oscillano attorno ai loro valori, cioè dal lavoro in esse contenuto. I prezzi vengono fatti derivare dai valori attraverso un processo denominato trasformazione dei valori in prezzi di produzione. Sempre nel terzo libro Marx formula la nota legge della caduta tendenziale del saggio del profitto in base alla quale - con lo sviluppo della produttività, che richiede sempre meno lavoro per produrre la stessa quantità di merci, e dell'accumulazione del capitale, che determina l'espansione in valore del capitale sociale - a una determinata quantità di lavoro si contrappone un valore del capitale crescente. Poiché il lavoro è l'unica fonte del profitto, il saggio del profitto, che è il rapporto tra plusvalore e valore del capitale impiegato, è soggetto a una tendenza storica a ridursi, tendenza contrastata da "cause antagonistiche". La dialettica tra queste tendenze è un'ulteriore causa delle crisi. Infine, nello stesso libro, Marx esamina le forme di capitale non produttivo (capitale mercantile, capitale dato a prestito, ecc.) e la rendita. Marx da un lato riconosce un ruolo storico propulsivo al progresso svolto dal capitalismo, che ha liberato gli uomini dai vincoli personali di dipendenza giuridica e ha liberato le forze produttive dai vincoli che ne ostacolavano lo sviluppo nei precedenti sistemi. Nel contempo egli dimostra l'aspetto critico del capitalismo, tant'è che evidenzia le sue contraddizioni, che si manifestano nelle crisi, che porteranno ad un’altra struttura economico-sociale: il comunismo, in cui anziché essere la mano invisibile del mercato a determinare le scelte economiche, saranno gli uomini liberamente associati a stabilire cosa e come produrre, e come ripartire i beni prodotti. Il testo fu tradotto in italiano nel 1886 e pubblicato per la prima volta, seppur in versione incompleta, dalla Unione Topografico-Editrice di Torino (UTET) allora diretta dal genovese Gerolamo Boccardo che riunì 43 dipense pubblicate in precedenza. Resterà l'unica taduzione italiana fino al secondo dopoguerra.

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