20 Luglio
di Luigi Boschi
La realtà non la si studia più: si dà per scontato di sapere, di intuire, di rappresentare. Ma studiare è un?altra cosa. Le città, come ogni altro organismo vivente, sorgono, costituiscono gradualmente un?identità propria, si ammalano, possono essere curate o distrutte o abbandonate, morire con la civiltà che le ha espresse, o morire ammazzate dai bombardamenti oppure, nella città moderna, possono essere soffocate dalla congestione del traffico, lacerate da assurdi interventi urbanistici, disintegrate da un moltiplicarsi di circoscrizioni, di città-strada. Ne è un esempio la via Emilia. Le città, per i vorticosi cambiamenti che le attraversano, stanno tutte lentamente cambiando faccia: ad esse qualcuno vorrebbe rubare l?anima. Per Mike Davis, le città muoiono quando le comunità che le animano sono ridotte a comunità passive, incapaci di iniziativa, in balia di forze esterne che non sono più in grado di contrastare o condizionare. Studiare la realtà, applicarsi con pazienza ad essa ?nelle sue dimensioni locali o internazionali, economiche o culturali, al fondo non fa differenza- significa percepire innanzitutto la dimensione dei nodi ai quali i decisori si applicano? I problemi non si risolvono da soli, la maggioranza di essi non si risolve affatto, ma non per questo sopportano la pubblica indifferenza. Tutti richiedono un?applicazione umile e tenace, per essere circoscritti, limati, accompagnati nel loro evolvere: richiedono ?sit venia verbis- della politica. La politica che si fa dentro istituzioni limitate e con principi di democrazia: questo ordito è tutto da ricostruire (A. Melloni). Se le città come tutte le organizzazioni sono costituite per la felicità dell?uomo e per il raggiungimento di obiettivi comuni, oggi ci si trova di fronte alla sclelorotizzazione e all?incapacità di risposta della politica rispetto alla trasformazione sociale e all?innovazione tecnologica. Una politica incapace di innovare, ma che protegge posizioni conservatrici. Il neo liberismo senza responsabilità sociale o minima, porta a rivedere, purtroppo, le finalità delle organizzazioni e del ruolo delle città. Città rese invivibili, non partecipate politicamente, preda dell?affarismo. Un esempio? Lo sviluppo urbanistico. Si è arrivati ad assembramenti di case senza un vero progetto urbanistico, se non quello della speculazione immobiliare. Città senza spazi di dimensione collettiva dove l?unico luogo di aggregazione è il supermercato. Le città han poi mutato identità intrinseca, la propria anima. I cambi di destinazione d?uso hanno trasformato residenze civili in residenze commerciali; il centro storico è divenuto city: banche uffici, luoghi di consumo, negozi. Nel contempo si è dimenticato il significato di casa e la difficoltà di possederla; solo l? usufruirne ha assunto costi proibitivi. Le aree sono divenute oggetto di speculazione immobiliare crescente e lottizzate dalla prepotenza economica. Speculazione d?area e immobiliare sono divenute merce di scambio col potere politico. I bilanci dei comuni trovano risorse ingenti proprio nelle concessioni edilizie. Fino ad arrivare a dire in consessi pubblici che il piano urbanistico non lo fa la Pubblica Amministrazione, ma è dominio delle grandi imprese di costruzione. E? percezione comune che la città vive oggi un periodo critico, celato dalle piccole dimensioni demografiche: frammentata in quartieri, periferie spesso anonime, mal collegate (il trasporto pubblico voluto inefficiente), senza vita, dove la socializzazione avviene nel supermarket. I parchi verdi considerati un complemento. Un inferno urbanistico progettato dai professionisti dell?architettura, voluto dalle lobbies e dagli amministratori pubblici, realizzato dalla speculazione immobiliare affaristica. In questo contesto inospitale all?individuo e alla collettività, funzionale alle pratiche economiche, si manifestano le difficoltà della convivenza e di espressione delle singolarità. Bauman: la modernizzazione è la più prolifica e meno controllata linea di produzione di rifiuti di esseri umani di scarto. La sua diffusine globale ha sprigionato e messo in moto quantità enormi e sempre crescenti di persone private dei loro modi e mezzi di sopravvivenza. I reietti, i rifugiati, gli sfollati, i richiedenti asilo sono i rifiuti della globalizzazione. Ma non sono i soli rifiuti: vi sono anche le scorie che hanno accompagnato fin dall?inizio la produzione. (Parma, 10 luglio 2006) luigi.boschi@libero.it