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7 Settembre 2022 18:06

Curia genovese censura lettera di Paolo Farinella, prete

71 visualizzazioni - 0 commenti

di Paolo Farinella, prete


CRONACA CURIALE
DI UNO SBANDAMENTO EPISCOPALE
   Invio cronaca e testo della lettera mia al settimanale cattolico della diocesi di Genova, «Il Cittadino» che rifiuta di pubblicarla, CENSURANDOLA. È un atto di prevaricazione perché il Giornale diocesano non è organo personale del vescovo o dei suoi vicari, allegra brigata, ma è il foglio ufficiale della Chiesa che è in Genova e dunque deve dare spazio a tutte le voci, anche le più critiche. Censura è roba della Russia di Putin o della Turchia di Erdogan o della Cina di Xí Jìnpíng o delle Filippine di Rodrigo Duterte o dell'Inquisizione ecclesiastica o di qualsiasi staterello dittatoriale. Noi siamo la Chiesa del III Millennio, la Chiesa del concilio Vaticano II, la Chiesa di papa Francesco, la Chiesa di Gesù di Nàzaret e di Paolo di Tarso. Non è la chiesuola di una manica di servi volontari. 
   Ciò che è accaduto è grave che aggrava la decadenza della chiesa genovese nel «regno» francescano (!) di Marco Tasca. 
  Come dimostro nell'allegato (vedi Bottone, qui sotto, dal titolo CENSURA), la diocesi di Genova ha cominciato ledendo la buona fama e la dignità di Mons. Carlo Sobrero. Siamo tutti ancora in attesa delle scuse pubbliche, il reintegro di lui nella sua funzione, accompagnato da una parola scritta (decreto) di risarcimento giuridico, canonico e legale. Ora l'allegra brigata vicariale prosegue con la censura su di me. Ho inviato una lettera al settimanale diocesano «Il Cittadino» (ironia del titolo?) che rifiuta di pubblicarla. Il Direttore non mi spiega le ragioni «obbligatorie», ma esse sono evidenti: Il vescovo, attorniato dalla sua cortigiana consorteria, si può solo lodare, inneggiare, osannare, tripudiare, incensare, ma non si può criticare, nemmeno se mente spudoratamente.
   Il giornaletto adulatore mette tutto in pubblica evidenza. Nonostante il direttore, homo quidam Silvio Grilli, mi abbia detto: «ci vediamo la settimana prossima e ti spiego perché non ho pubblicato», sono passati otto giorni senza alcun segnale. Di conseguenza, pubblico ogni cosa perché tutto sia trasparente.   Nel III Millennio d.C., pensavo che la censura fosse un ricordo del trapassato remoto (inquisizione, ecc.), ma mi devo ricredere con orrore. Però non demordo, perché chi ha più filo, tesse: e io di filo abbondo «ad abundantiam» (Totò). La mia forza è il principio teologico e giuridico che la Chiesa locale non è proprietà privata del vescovo con cappello a punta o dei vicari che giocano senza concludere nulla e per giunta a loro insaputa.
   Non c'è uno senza due e quindi mi sto attrezzando e impavido aspetto che vescovo e la curia, fatta a sua immagine e somiglianza, ordinino il mio omicidio (o suicidio assistito, magari per mano di un monsignore travestito da satrapetto persiano del sec. VI a.C. e munito da aspersorio avvelenato).
   In subordine sono pronto ad andare anche in carcere, che magari è stato rinnovato nell'episcopio ristrutturato. Sono graditi ceppi artistici «epoca Ikea».
   In sub-subordine, se la benevolenza di sua eccellenza reverendissima e colendissima, volesse corroborarmi con la tortura, sappia che attendo a petto nudo e in fuori, prontissimo a porgere la guancia e il fianco, ma non la schiena che resterà dritta come un fuso, a difesa della libertà che il concilio Vaticano II ha garantito come costitutiva della natura della persona e come condizione della Chiesa.
  I funzionari episcopali e curiali hanno dimenticato le parole di Paolo: «Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Ecco, io, Paolo, vi dico:... siete decaduti dalla grazia» (Gal 5,1-4).
   È proprio così, non imporrete il giogo della schiavitù. Pubblicamente dichiaro che m'inginocchierò sempre davanti al sacramento dell'episcopato, ma resisterò con altrettanta forza davanti alla protervia saccente e alla incompetenza agghiacciante. Se il vescovo e i suoi palafrenieri arrivano alla censura, significa che sono deboli, hanno paura e danzano sul vuoto. Non pubblicate la mia lettera? State dimostrando che ritenete la chiesa e anche il Cittadino come velina curiale, ma il giornale diocesano, pro quota, appartiene anche a me: perché pago l'abbonamento e perché la diocesi e tutto quello che contiene è pure di mia pertinenza, in ragione del diritto battesimale che nessuno può conculcare, né un qualsiasi direttorello occasionale né un vescovo per caso, incapace di governare, né altri perché ad essi «Non licet!».
   Rispedirò la lettera ogni settimana, finché non sarà pubblicata.
   Nell'allegato (vedi Bottone, qui sotto, dal titolo CENSURA), troverete la cronaca dettagliata e il testo della lettera censurata.
   Genova 07-09-2022
  Con amicizia e affetto.
Paolo Farinella, prete - San Torpete GE

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