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17 Marzo 2009 14:17

ACQUA BENE COMUNE: storia, civiltà vita. Intervento di Paolo Rumiz

1705 visualizzazioni - 5 commenti

di Matteo Martinelli

ACQUA BENE COMUNE: storia, civiltà vita Facoltà di scienze politiche 12 marzo 2009 Intervento Paolo Rumiz E' un peccato che non possa parlarvi a voce. Solo a voce avrei potuto comunicarvi l'urgenza, la rabbia e l'indignazione legate al tema primordiale dell'acqua. Sono un professionista della parola scritta, ma so che solo il racconto orale sa trasmettere sentimenti forti. Questo scritto è dunque solo un ripiegamento, dovuto a forza maggiore. E sappiate che gli uomini che avrei dovuto affiancare in quest'incontro sono i responsabili della mia passione per la questione idrica. Dunque perfetti per accendere anche la vostra. Mi sono occupato di molti temi nel mio mestiere. Guerre etniche e planetarie, crolli di sistemi e di alleanze politiche, esplorazione dei territori e viaggi alle periferie del mondo. All'acqua sono arrivato solo pochi mesi fa, quasi per caso, grazie a una segnalazione di Emilio Molinari. Era successo che era stata approvata una legge che rendeva inevitabile la privatizzazione dei servizi idrici. La svendita di un patrimonio comune, mascherata da rivoluzione efficentista. Tutto questo era avvenuto nel mese di agosto, alla chetichella, senza proteste da parte dell'opposizione. Il popolo era rimasto tagliato fuori da tutto. Gli interessi attorno all'operazione erano così trasversali che i giornali avevano taciuto, i partiti e i sindacati pure. Mi sembrava inverosimile che una simile enormità potesse passare sotto silenzio. Così ne ho scritto. E la pioggia di lettere attonite che ho ricevuto in risposta hanno confermato l'assunto. L'Italia non ne sapeva niente. Non entro nello specifico di questa scandalosa ruberia inflitta agli italiani. Altri lo faranno meglio di me. Dico solo che occupandomene, dopo 35 anni di mestiere, ho provato lo stesso brivido della guerra dei Balcani. Come allora, ho avuto la certezza che cadesse un sipario di bugie, e si svelasse la verità nuda di una rapina ai danni del Paese e dei suoi abitanti, l'ultimo assalto a un territorio già sfiancato dalle mafie, dalle tangenti e dalla dilapidazione del bene comune. Pensiamoci un attimo. I giornali pompano mille emergenze minori per non farci vedere quelle realmente importanti. La tensione etnica aumenta. Ci parlano di clandestini, di rumeni stupratori, di terroristi annidati nelle moschee. Ci infliggono ronde per tenere testa a una criminalità che - stranamente - non include la camorra, la speculazione edilizia o lo strapotere degli ultras. Televisione, telefonini. I-pod costruiscono una cortina fumogena che incoraggia il singolo ad arraffare e impedisce al gruppo di reagire. E' così evidente. Noi non dobbiamo sapere che esiste un'altra e più grave emergenza: la distruzione del territorio. Un'emergenza così grave che la lingua dell'economia non basta più a descriverla. Oggi serve la lingua del Pentateuco, o dell'Apocalisse di Giovanni, perché viviamo un momento biblico. "E verrà il giorno in cui le campagne si desertificheranno e la boscaglia invaderà ogni cosa, i ghiacciai entreranno in agonia e l'aria diverrà veleno. Il tempo in cui la natura sarà offesa nelle sue parti più vulnerabili". Se i nostri padri ci avessero fatto una simile profezia non li avremmo creduti. Invece succede. Siamo in guerra. Una guerra contro i territori. In Italia è iniziata la guerra per l'accaparramento delle ultime risorse. Sta già avvenendo: Cementificazione dei parchi naturali..Requisizione delle sorgenti.. Privatizzazione dell'acqua pubblica.. Discariche e inceneritori negli spazi più incontaminati del Paese. Ritorno al nucleare Grandi opere imposte con la militarizzazione dei territori e la distruzione di interi habitat Fiumi già in agonia, disseminati di ulteriori centrali idroelettriche Impianti eolici che stanno cambiando i connotati all'Appennino Tutto conduce su questa strada: La ricorrente invocazione di poteri forti ai danni del parlamento Il fallimento del pubblico e l'invadenza del privato La sottrazione delle risorse ai Comuni Lo smantellamento della democrazia diretta La corsa a un federalismo irresponsabile che assomiglia tanto a una licenza di sperpero La deregulation legislativa La crisi della scuola e delle università La visione speculativa e finanziaria dell'economia E' come negli anni Trenta: crisi del capitalismo, opposizione inesistente, criminalità diffusa. Ma con in più (e in peggio) la desertificazione dei territori, lo spopolamento della montagna. Il "Paese profondo" si è talmente indebolito che oggi l'atteggiamento predatorio che abbiamo rivolto prima verso la Libia o l'Etiopia e poi verso l'Est Europa, può essere rivolto verso l'Italia medesima senza il rischio di una rivoluzione. Anche noi diventiamo discarica, miniera, piantagione. E anche da noi i territori deboli sono lasciati completamente soli di fronte ai poteri forti. Come le tribù centro-africane. Guardate cosa succede con l'eolico. Gli emissari di una multinazionale dell'energia si presentano a un comune di cinquecento-mille abitanti. Offrono centomila euro l'anno per due o tre pale eoliche alte come grattacieli di trenta piani. Il sindaco al verde non ha alternative. Accetta. Per lui quelle pale sono il solo modo per pagare l'illuminazione pubblica e gli impiegati. La Regione e lo Stato non intervengono. In nome dell'emergenza energetica passano sopra a tutto, anche a un bene primario come il paesaggio. Risultato? Oggi la rete eolica italiana non è il risultato di un piano ma del caso. Segna come le pustole del morbillo i territori deboli, incapaci di contrattare. Con l'acqua la situazione è ancora più limpida. Vi racconto cose che ho visto personalmente. Qualche scena, capace di illuminare il tutto. Alta Val di Taro. C'è una fabbrica di acque minerali che succhia dalle falde appenniniche in modo così potente che nei momenti di siccità gli abitanti del paese - noto fino a ieri per le sue fonti terapeutiche e oggi semi abbandonato - restano senz'acqua nelle condutture pubbliche. C'è una protesta ma il sindaco tranquillizza tutti in consiglio comunale. "Non abbiate paura - dice - quando mancherà la NOSTRA acqua, la fabbrica pomperà la SUA nei nostri tubi". L'acqua del paese è data già per persa, requisita dai padroni delle minerali. L'idea che si tratti di un bene pubblico e prioritario non sfiora né il sindaco né la popolazione rassegnata. Recoaro, provincia di Vicenza. Una pattuglia di "tecnici dell'acqua" (così si presentano), fanno visita a una vecchia che vive sola in una frazione di montagna. Le chiedono di poter fare delle verifiche alle falde. La donna pensa che siano del Comune. Il lavoro dura un mese. I tecnici trivellano, trovano acqua. Poi chiudono il pozzo aperto con dei sigilli. A distanza di mesi si scopre che la fabbrica di acque minerali giù in valle sta facendo un censimento delle fonti potabili in quota, in vista della grande sete prossima ventura della Terra in riscaldamento climatico. I parenti della donna si accorgono del maltolto e sporgono denuncia. Scoprono di essersi mossi appena in tempo per evitare l'usocapione del pozzo. Il sindaco tace. Gli abitanti di Recoaro pure. Ciascuno vende le sue fonti in separata sede. Castel Juval, in val Venosta. Qui potete fare le vostre verifiche da soli. Vi sedete al ristorante dell'agriturismo di Reinhold Messner e chiedete dell'acqua. Scoprirete di avere due opzioni. L'acqua minerale - la notissima acqua propagandata dall'alpinista sud-tirolese - e l'acqua di fonte. La fonte di Reinhold Messner. Ebbene, anche questa è a pagamento. Metà prezzo rispetto a quella in bottiglia, ma anch'essa a pagamento. E la gente beve, estasiata. Vedere per credere. Che dire? Come gli abitanti della Somalia o del Mali, siamo disposti a pagare ciò che ci sarebbe dovuto gratuitamente. Abbiamo rinunciato a considerare l'acqua come pubblico bene. La nostra sconfitta, prima che economica, è culturale. La grande vittoria del secolo scorso fu l'acqua nelle case. Oggi abbiamo accettato di tornare indietro. Siamo ridiventati portatori d'acqua. Come gli etiopi, arranchiamo per le strade con carichi inverosimili d'acqua e non riflettiamo che il valore reale della medesima è appena un centesimo del costo della bottiglia. Meno del costo della colla necessaria a fissare l'etichetta. Il dramma non è solo lo scempio delle risorse, ma la nostre insensibilità alla rapina in atto. Abbiamo accettato di farci derubare. Siamo un popolo rassegnato, e i signori delle risorse lo sanno perfettamente. Il dossier di un'azienda multinazionale finlandese descrive così una regione italiana del centro: "facilità di penetrazione, costi d'insediamento minimi, zero conflittualità sociale". Soprattutto, "poche obiezioni ecologiche". Sembra il Congo, invece è Italia. Grazie di avermi ascoltato Paolo Rumiz [Sono state eliminare la parti non di testo del messaggio] Mailing list del comitato "Scienziate e scienziati contro la guerra" scienzaepacenews@liste.scienzaepace.it http://liste.scienzaepace.it/mailman/listinfo/scienzaepacenews

COMMENTI

29 Marzo 2009 09:45

Non è che siamo rassegnati. Molti di noi non lo sarebbero, ma come dice John Berger, viviamo in prigione. La nostra libertà, la nostra possibilità di scegliere è limitata a un piccolissimo ambito di azioni. Ormai, quasi perfino di pensieri. Il boia, il tiranno, non è nemmeno quello che siede sullo scranno del re, non possiamo nemmeno sputargli in faccia tutto il nostro dissenso. E’ la nostra stanchezza, per esempio. Lo spazio ridottissimo che ha ciascuno di noi per fare o dire qualcosa che conti, a meno che non possieda fiumi di denaro. Io credo che se si siano scritte "Verità rivelate" come l'Apocalisse", ci saranno pure delle ragioni. L'umanità dovrebbe raccogliere il monito, ed evolversi al punto di fare in modo che un’apocalisse non si verifichi, o non si verifichi di nuovo. Ma non lo fa. Quelli che potrebbero sono i ricchi, ma che pretendiamo da questi poveri ricchi, che non hanno nemmeno le orecchie quando ascoltano la messa, nelle loro chiese? Adesso l'unico passo a cui penso è a informarmi, ahimé. Anche se è durissima informarsi, in questa prigione - l'avresti detto, tu, che ad avere miliardi d'informazioni accessibili, saremmo stati disinformati così bene? - Non è un bel momento. Bisognerebbe riunirsi, trovarsi, coinvolgere, ma come si fa? Ti sembrerà allucinante, sembra allucinante anche a me, ma lo sai cosa devo fare, adesso? Il bucato, il pranzo, organizzare la prossima settimana per la mia famiglia perché io sarò in ufficio dalla mattina alla sera, per guadagnare 700 miseri euro al mese. A quarantacinque anni. La chiamiamo libertà? Tutti dobbiamo fare qualcosa per l'acqua. E io non so se piangere o ridere, quando mi precipito a chiudere i rubinetti per non sprecarla. Grazie per la tua lettera. Nicoletta Mauri

nicoletta mauri

20 Marzo 2009 11:18

La lettera provoca e smuove ma cosa suggerisci di fare per opporci a questo sfacelo. Come possiamo noi semplici cittadini strumentalizzati e disinformati unire le forze e reagire costruttivamente_E se tutto era gia stato scritto e previsto nell,apocalisse stiamo forse illudendoci di poter cambiare qualcosa

fabiola

18 Marzo 2009 19:35

anche le parole scritte riescono a creare immagini ...una cruda foto della reltà vista dall'occhio di un umano...specieche rischia l' estinzione.Ricostruire i territori tessendo legami di senso, confronto.solidarietà, condivisione.Riabituamoci a sentir nostri i luoghi di tutti, a prendercene cura,..tutto da capo .... così è la storia ad ogni grande curva...Grazie

e.t.

18 Marzo 2009 19:10

Complimenti! In un brevissimo spazio si è detto in modo chiaro e lineare l'essenziale del problema.Grazie!

fernanda pepe

18 Marzo 2009 17:29

Grazie a lei di cuore per questa bellissima lettera.

Roberta

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