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6 Ottobre 2008 08:52

Maurizio Chierici: Sono bianco, meno male

1188 visualizzazioni - 6 commenti

di Maurizio Chierici

Sono contento di essere nato in Europa, la nostra Europa di prima, quando i rumeni non erano europei come noi. Ormai non devono scappare per ascoltare i dischi di Madonna o immergermi nella civiltà del bere e ballare fino allo sballo del mattino, oppure spiare dalla poltrona le isole dei famosi, felici con i nostri piaceri. Sono contento di essere nato in una città benestante del Nord di un paese del Sud, respiro l’aria delle fabbriche approfittando della loro concretezza per liberarmi dalle zavorre di un secolo fa: comprensione, condivisione, fantasia, sentimenti inutili nei lampi dei telefonini che parlano con internet. E sono contento d’essere bianco, passaporto indispensabile se non voglio perdere la speranza. Con altri colori esistono otto possibilità su dieci di finire nei guai. Sospettati, temuti, emarginati. Purtroppo, diversi da noi. Quando scende il buio è un sollievo andare per strada indossando la pelle chiara. Posso alzare la mano verso un taxi senza il sospetto di una rapina. O fare quattro passi nel parco senza finire in manette, denudato, frugato, maltrattato, insultato. Negro, è il loro nome nel registro dei giustizieri. Posso suonare il campanello di qualsiasi casa a qualsiasi ora e scusarmi per aver sbagliato porta: nessuno chiamerà la polizia. Sono contento di non essere nato in Pakistan, Colombia, Cecenia, Iraq, Afghanistan, Zaire. Quando dormo, e passi guardinghi si avvicinano alla porta accanto, al massimo sono ladri e non squadre della morte. E contento di non essere un indio dell’Amazzonia peruviana: se non brucio assieme alla foresta e se non mi uccidono per scavare oro, quando arrivo in Italia con la piccola moglie e i piccoli figli, li accoglie l’ironia di chi guarda come allo zoo: bestie rare. A volte la libertà diventa meno decorosa dell’obbedienza alle mani dure. Sono contento di essere battezzato. I nuovi fascisti non si allarmano quando prego e i Borghezio della razza padroncina non ridono se rifiuto il prosciutto ogni venerdì di quaresima. Sono contento di non essere costretto ad attraversare il mare, via dalla fame e dalla guerra, per finire nei campi di raccolta dove impacchettano e rimandano a casa. Sono contento di appartenere ad una cultura dal cinismo sincero. Godo della situazione senza scrupoli lasciandomi trascinare dalla nostra storia di occidentali, maschi, bianchi, adulti, garantiti da frontiere proibite ai disperati, con polizie rinforzate dai parà che i vigili urbani dei sindaci sceriffi appassionatamente provano ad imitare. Malgrado il lamento delle borse faccio ancora parte dei padroni del mondo e sono autorizzato ad adeguarmi al costume corrente: lasciar scorrere il dolore dei neri, dei gialli, dei marron senza prendere carico delle loro sofferenze, osservando col distacco un po’ umido dell’impresario di pompe funebri. In fondo non siamo noi gli assassini. Ci sarebbero vie d’uscita: solidarietà o il compromesso di far finta che gli altri siano uguali a noi. Faticose; lasciamole ai fanatici. Meglio chiudersi nelle patrie dei dialetti che la nostra pelle conserva con orgoglio. Perché una patria bianca esalta mille possibilità. Se Bush fosse nato in Georgia potrebbe decidere se ai georgiani è permesso vivere in pace ? Anni fa un testimone doveva raccontare la non speranza che sfiniva popoli lontani dai paesi del benessere, adesso i problemi sono arrivati sui nostri marciapiedi e bisogna pur vivere con le braccia che ci servono tenendone a distanza le pretese. Finito il lavoro, vogliono diventare corpi con fame sete, malattie, scuola per i figli e stanze almeno decenti. Insopportabili. Fuori dai giardini Italia l’infelicità si moltiplica spingendo nelle nostre strade persone non bene educate, almeno come noi l’ intendiamo. Milioni di profughi che non conoscono l’innocenza stampata dagli idealisti nella loro storia. Per sopravvivere hanno sopportato ogni avventura. Sono giovani e spaventati e spaventano le abitudini delle città. Quando si è trattato di convivere con la folle della grande fuga che sta cambiando il futuro di tutti, ci siamo distratti affidando la soluzione ai teologi delle piccole patrie e ai giornali e alle Tv che agitano la paura per nascondere l’incapacità dei poteri forti. Albert Camus, scrittore nato in Algeria, va in Francia per resistere ai nazisti e diventa uno dei padri dell’esistenzialismo. Quando Parigi ridiventa la Parigi della libertà, si guarda allo specchio, scrive < Lo straniero >, vince il Nobel ma non si libera della malinconia dello sradicamento. Camus ricorda che la libertà di stampa soffre piu’ di ogni altra piega della vita se degrada l’idea di libertà lasciando spazio al populismo a buon mercato. Elabora la presenza di un nemico sconosciuto da reprimere con parole soavi destinate alla tranquillità degli amici G8. Insomma, non siamo razzisti. Geneticamente per gli italiani è impossibile esserlo: secoli di invasioni straniere, chissà cos’è successo alle bisnonne delle nostre bisnonne. Ma il ripeterlo ogni giorno, dopo pestaggi e violenze sempre uguali, fa capire l’impaccio del dover giustificare gli allarmi che gli untori del terrore ( giornali, Tv, tanti politici ) sciolgono nelle abitudini quotidiane. L’indifferenza si trasforma nell’ansia che criminalizza ogni ombra. Colpisce persone di una certa età, cultura debole, piccola borghesia che si è arrampicata per avere l’onore del mondo e non sopporta vederlo ingrigire, colpa delle braccia che costano niente. La non cultura o l’arroganza del benessere salda i ragazzi distratti alle generazioni intimorite. Il fastidio delle facce nuove minaccia l’ ambizione del guadagnare in fretta quando gli altri lavorano per meno e studiano con la determinazione di chi è all’ultima speranza. Per carità, nessun italiano è razzista. Dopo il pestaggio di Parma, ex città della grazia di Stendhal, piccole storie sfumano attorno alle polemiche. Non fanno notizia. La signora che dà la precedenza ad una signora eritrea arrivata prima di lei davanti al banco del negozio, scatena la terza signora della fila: < Adesso lasciamo passare davanti anche quelle li ( esclamativo dell’indignazione ). Domani ci mangiano in testa >. Gli altri avventori in silenzio: bottegaio e massaie non se la sentono di dare torto a una di loro. O la studentessa che chiede ai professori dell’università di poter allargare la tesi sul razzismo in Italia. Mentre passeggiava per strada con un amico africano, un signore di quarant’anni rallenta la pedalata per gridare:< Vergogna, le nostre ragazze vanno in giro con i negri ! >. Il quale < negro > gli si mette davanti chiedendo spiegazione. Come tutti i razzisti solitari e non in branco, il ciclista dell’offesa è un pavido. Invoca la solidarietà dei passati: < Guardate chi mi salta addosso. Sempre loro. Chiamo la polizia…>. < La polizia è qui >, voce di un carabiniere in borghese. Sorride ai ragazzi: andate, andate. E prende il nome del cittadino perbene. < Noi di Parma-Italia razzisti ? Nemmeno per sogno >, scrive sul Corriere della Sera Alberto Bevilacqua di professione parmigiano in esilio a Roma da mezzo secolo. Vero qualche anno fa. La vecchia morale resiste nei giovani diversi dai ragazzi delle feste: parcheggiano il suv, continuano a bere e cantare nelle strade della città cantiere. Ma altri ragazzi, o non piu’ ragazzi, accolgono l’invito dei partiti del buonsenso, sfilano con striscioni Cgil per spiegare che chi lavora con la pelle scura è diventato uno di noi. Indignazione di non tanti, i passanti tirano diritto. Sopravvive a fatica la memoria di Mario Tommasini, sociologo senza studi: ha liberato i matti assieme a Basaglia e vuotato i brefotrofi per evitare ad ogni bambino di crescere senza famiglia. Purtroppo i tempi declinano, i consumi impallidiscono. La crisi sembra lì. Bisogna difenderci con la paura. Maledetti stranieri ( se non appartengono agli ariani onorari che alla domenica fanno gol ). mchieric2@libero.it Cortesia dell'Unità

COMMENTI

16 Ottobre 2008 13:18

gastaldopaolo e pier, per avere comprensione da Voi avrei dovuto anche dire che mi hanno ridotta sul lastrico? che non ho più come vivere? che, sia alla destra che alla sinistra, non gliene importa un cale di me come singolo essere? Volere che si automortifichino e ferire la dignità delle persone umili e oneste che chiedono il dovuto aiuto è ormai insito nella società (c.d. civile) italiana ma è strabiliante che ciò si stia diffondendo anche fra gli "intellettuali". Con le parole si pensa di risolvere tutto? Le parole servono (forse) per il futuro! E per il quotidiano: NIENTE? Si arriva a dire (e ne paiono convinti) che "è possibile fare intendere e rispettare... musulmani (POVERI) o cristiani (POVERI)...."! Cristianesimo a parte! Le donne musulmane (POVERE) potranno mai essere pari ai loro uomini? Poi, tutti i salmi finiscono in gloria. Ma se ciò che capita a me, capitasse, un malaugurato giorno, anche a Voi? Non potendo ringraziare per me, ringrazio per i nostri pronipoti che godranno dei frutti delle parole! Con la considerazione di sempre. roberta marin

roberta marin

8 Ottobre 2008 15:26

Gentile Sig. Maurizio, Le riporto un articolo scritto da Vittorio Agnoletto e Andrea Mornirolidi e preso da "il manifesto" di martedì 7 ottobre 2008 nel quale il mio pensiero si rispecchia pienamente. Sperando di poter arricchire il suo punto di vista, porgo i miei saluti. **************************** APPELLO Una data per poter ripartire Vittorio Agnoletto e Andrea Morniroli Berlusconi ha fatto tesoro del passato; a parole non ricerca lo scontro frontale ma nei fatti procede celermente all'attuazione del suo progetto: tutela dei suoi interessi, modifica de facto della Costituzione, distruzione della scuola pubblica, indifferenza verso la sicurezza sul lavoro, salari divorati dall'inflazione e precari abbandonati a se stessi. Inoltre per le prossime europee soglia di sbarramento e cancellazione delle preferenze: si uccide il pluralismo e si trasforma la democrazia in un simulacro. Il tutto coperto da grida manzoniane contro rom, immigrati, prostitute, lavoratori fannulloni... Le vittime predestinate sulle quali scaricare la paura per il proprio futuro. Il Pd rincorre il governo sulla sicurezza, corteggia la Confindustria e si dispiace di non poter raggiungere una maggiore intesa con la destra. C'è urgenza di sinistra. Ma non vi sono scorciatoie; la nostra crisi è profonda e strategica. Abbiamo perso la sfida culturale; la demagogia ha conquistato gran parte dei ceti popolari. L'operaio lotta con la Cgil per il salario, ma poi vota a destra in nome della sicurezza e contro gli immigrati. Anche questi ultimi sono al nostro fianco quando lottiamo per il permesso di soggiorno, ma appena l'hanno raggiunto, non pochi tra loro chiedono politiche più dure verso i clandestini, percepiti come potenziali concorrenti nella lotta per la sopravvivenza. Si è quasi definitivamente cancellata la cultura della cura, che riconosceva l'altro, qualunque fosse il suo genere e la sua identità, come persona da rispettare nei suoi diritti, sogni e bisogni. Si è affermata un'idea di comunità corporativa ed egoista. Dove i processi identitari si fondano sull'annullamento delle identità altre; per dirla alla Revelli una democrazia autoritaria e dispotica, con un «diritto penale della disuguaglianza» che raggiunge il suo apice quando trasforma una condizione personale, quella di straniero, in reato. Il primo terreno di scontro per noi deve quindi essere quello culturale per interrompere il legame tra gli «imprenditori della paura», come li chiama Rodotà, e gli spaventati. Una sfida che richiede tempi lunghi e necessita del protagonismo attivo, prima, durante e dopo l'11 ottobre, di quell'ampia, diffusa e ora spesso silenziosa, sinistra sociale. Dobbiamo riuscire a rendere evidente cosa lega, in modo profondo, la tutela delle persone transessuali con la difesa dei territori, la lotta per i beni comuni con quella contro la precarietà. Dobbiamo capire che gli affetti che si creano in un centro diurno per disabili sono forti e belli come quelli nati tra le persone impegnate nei presidi in Val di Susa o contro la base di Vicenza. In altre parole, abbiamo urgenza di trovare una nuova e diversa dimensione politica ed etica, fondata sul legame con le pratiche, radicata nei quartieri popolari, tra le persone che dovrebbero essere non solo i nostri elettori, ma il nostro popolo; una politica capace di farsi carico del quotidiano, coraggiosa perché in grado di non rifiutare il conflitto. Abbiamo bisogno di una sinistra consapevole che gli attuali rapporti di forza politici, e prima ancora culturali, non pongono al primo posto nella discussione tra noi la ricostruzione di ipotetiche future alleanze per il governo, né la rincorsa di un Pd sempre più parte integrante di una delle tante varianti culturali del liberismo. Almeno nelle sue espressioni dirigenti a livello nazionale e nella grande maggioranza delle esperienze di governo locale. Una sinistra capace di ricordare che i conflitti sociali sono prioritari rispetto alle contraddizioni interne al sistema politico. Fonte: http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/07-Ottobre-2008/art16.html ****************************

E.P.

6 Ottobre 2008 17:03

GASTALDOPAOLO SCRIVE: "IL RAZZISMO E' LA DEGENERAZIONE RELAZIONALE INSITA IN TUTTE LE SOCIETA' PRIMITIVE BASATE SUL DOMINIO E LA LEGITTIMAZIONE DEGLI SFRUTTATORI ,...SUGLI SFRUTTATI !" parole d'oro... ma non devi dimenticare che tra gli sfruttatori e gli sfruttati ci sono i "fessi e banali" (i qualunquisti) che sono la maggioranza! Mediocri esseri, magari pure senza una lira, che stanno dalla parte del padrone, che sono terribilmente razzisti, che leccano il grosso e bastonano il piccolo... L'italia ne è piena ed il berlusca se la ride...

pier

6 Ottobre 2008 14:56

Pier ha ragione e chiama le cose col loro nome ,senza una societa' egualitaria il razzismo esistera' sempre ,nella natura divergente della distribuzione della ricchezza. C'è infatti razzismo anche tra bianchi tra gli stessi italiani di serie A e quelli di serie z . Tra chi vive in appartamenti nei grandi centri da 1milione di euro in su' e chi vive in una casa periferica gravata da debiti insopportabili, tra chi è figlio ecellente della società nepotisitca ed elegante della bella borghesia compradora e chi invece non arriva alla 4a settimana . Chi ereditera' lavori ,danari e prestigio da padri ecellenti e chi invece solo miseria , insicurezza e precarieta' a vita ,.... IL RAZZISMO E' LA DEGENERAZIONE RELAZIONALE INSITA IN TUTTE LE SOCIETA' PRIMITIVE BASATE SUL DOMINIO E LA LEGITTIMAZIONE DEGLI SFRUTTATORI ,...SUGLI SFRUTTATI !

gastaldopaolo

6 Ottobre 2008 12:05

Sig. Maurizio Chierici, ciò che Lei dice è poco. Ha dimenticato, fra l'altro, che dietro al razzismo si "nasconde" anche la mafia. La mafia che non ha nessun bisogno di nascondersi perchè, come ha detto l'on. Di Pietro, è nelle istituzioni. Ciò rende "drammatico" il mio caso ( RAZZISMO SPIETATO, pubblicato in Arcoiris), salito agli onori delle cronache solo da circa un anno ma occultamente virulento da oltre 30 anni!!!!! Spenda una parola anche solo per me, negra italiana e cittadina onesta! Ho tanto bisogno di aiuto e di consigli. Cordialmente. Roberta Marin

Roberta Marin

6 Ottobre 2008 11:50

Maurizio, le tue analisi sono sempre pertinenti ed intelligenti... ma a me pare che non vuoi andare nel nocciolo del problema Sono da circa 15 anni in Africa; in diversi Paesi: Rwanda, Burundi, Senegal, Ghana, Niger, Guinea Bissau, Mali, Burkina, RDCongo ... Qui il razzismo fa parte della cultura..; cultura di sdradicare e da debellare... mi fan ridere gli ingenui buonisti europei... presi per il culo da buona parte degli africani che sanno bene come mungerli Dico e ripeto..il razzismo può essere abbattuto solo da un forte comunismo ... solo abolendo i ricchi, i padroni, le proprietà private potremo abbattere il razzismo... Non è mai questione di bianchi o neri, di africani o europei, di cattolici o musulmani... tutti si possono intendere e rispettare...il solo problema sono i ricchi che provocano i poveri, ovunque, siano essi neri, bianchi, musulmani o cristiani...

pier

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