27 Giugno
di paolo
Roma - C´è pure la televisione, per raccontare come la gioventù romana > si diverte a Trastevere il venerdì sera. L´ora dell´aperitivo. Le vie > attorno a piazza Trilussa gremite di persone. Cinque o sei bancarelle di > venditori ambulanti. Un ragazzo ha appena regalato un paio di orecchini > alla sua fidanzata. Le sirene della polizia colgono tutti di sorpresa. > Non è un semplice controllo: tre macchine e una camionetta vuota che ha > tutta l´impressione di dover essere riempita. È la prima operazione > contro i venditori ambulanti dopo l´entrata in vigore del decreto > sicurezza, che amplia i poteri per i sindaci in materia di ordine > pubblico. Mi fermo ad osservare, come molti altri. Non è curiosità, la > mia. È un istinto di controllo. > I poliziotti iniziano a sbaraccare i banchetti. Via la merce, raccolta > sommariamente nei lenzuoli su cui era disposta. Un agente tiene un > indiano stretto per il braccio, mentre dal suo viso trapela tutto, la > paura, la rassegnazione, fuorché l´istinto di scappare. È ammutolito. Un > donnone africano, del Togo, è invece molto più loquace. Se la prende > quando l´agente raccoglie violentemente i lembi del telo a cui erano > appoggiati gli orecchini e le collane che vendeva. «fammi mettere nella > borsa, almeno!» dice all´agente. «Non scappo, non ti preoccupare, ecco > il mio permesso di soggiorno». «Ma perché tutto questo? - dice - non > stavo facendo nulla di male». All´agente scappa un sorriso, forse un po´ > amaro: «è il mio lavoro». Poi la donna incalza: «conosco la nuova legge. > Ora mi fate 5.000 euro di multa. Ma perché non ci date un modo di fare > questo lavoro regolarmente?» Nessuna risposta dall´agente, che se ne va > e lascia il > posto ad un collega, molto meno accomodante. «E muoviti, su!», dice > senza accennare ad aiutarla a trasportare le sue cose. Lei, con lo > stesso sorriso sul volto, chiude la valigia arancione e con le mani > occupate dice «dove andiamo, di qua?», mascherando con l´orgoglio la > paura che in fondo in fondo le sta crescendo. Mantiene l´ironia però, > quando mi avvicino e le chiedo da dove viene. «Da Napoli, bella Napoli, > vero?», e intanto, mentre mi svela le sue vere origini africane, si > toglie gli orecchini: «questa bigiotteria non mi serve più, stasera». > Due metri più distante due ragazzini italiani, con il loro banchetto in > tutto e per tutto uguale agli altri. Devono sbaraccare anche loro, ma > gli agenti usano maniere molto più educate. Non li tengono per le > braccia, non gli ammassano la merce. La ragazza raduna le poche cose che > avevano in vendita. Lui è allibito, terrorizzato, e inizia a parlare > nervosamente: «ve lo giuro, è la prima volta che vengo, lasciatemi > andare». «Se prendiamo loro dobbiamo prendere anche voi», risponde un > agente. Ma alla fine non sarà così. Il ragazzo si dispera, «sono di > Roma, non posso credere che mi trattiate allo stesso modo che a quelli > lì». Evidentemente è un discorso convincente. Si avvicina un signore in > borghese che è lì a dirigere l´intera operazione. «Dottò, Capitano, > Maresciallo, giuro che non lo farò mai più...». Si sbraccia, sembra un > bambino appena messo in punizione dalla mamma. L´uomo in borghese si > mostra irremovibile, ma si capisce > subito che vuole solo dargli una lezione, e appena gli altri fermati - 7 > persone, tutte straniere - non sono più a vista, lo lascia andare. > A operazione conclusa vado dal signore in borghese, mi presento, «sono > un giornalista e ho assistito alla scena. Perché avete fermato solo gli > stranieri?», chiedo. La risposta è eloquente. «Portatelo via, > identificatelo, e controllate - aggiunge guardandomi negli occhi - > perché ha l´alito che puzza di birra». Già, la birra che stavo bevendo > prima, e che mi è andata di traverso con tutto quello che succedeva. Per > fortuna non è ancora reato, comunque. > Mi portano in due verso il ducato dove sono radunati gli stranieri, > tenendomi strette le mani sulle braccia. Non mi era mai successo, prima, > ed è una sensazione davvero sgradevole. «Questo per adesso è nell´elenco > dei fermati» dice l´uomo alla mia destra, anche lui in borghese, ad un > collega. Spalle alla camionetta, mani fuori dalle tasche, cellulare > sequestrato. «Perché avete fermato solo gli stranieri?». L´uomo con la > polo rosa, quello che mi stringeva da destra, mi risponde, anche se - > dice - non sarebbe tenuto: «perché questi sono tutti irregolari». Balle, > ho visto con i miei occhi la donna togolese dare il proprio permesso di > soggiorno al poliziotto, prima. Ma non mi aspettavo certo una risposta > veritiera. «Certo che non avevi proprio nient´altro di meglio da fare», > dice con sprezzo uno degli agenti. «Ho fatto una domanda, voglio una > risposta». L´uomo in rosa, che ha la mia carta d´identità e sta > scandendo il mio nome > per radio si gira verso di me, «hai finito di parlare?» grida. A quanto > pare anche rispondere alle domande costituisce un grave errore, e > infatti un terzo poliziotto, defilato fino a poco prima si indirizza a > me dicendo «guarda che a fare così peggiori solo la tua situazione». > Chiedo di sapere i loro nomi e gradi, come avevo fatto già con l´uomo in > borghese al principio, convinto che per legge sia un loro dovere > identificarsi. Un altro poliziotto - ma quanti ne ho attorno, quattro, > cinque? - mi da la sua versione della legge. «Vedi qual è la differenza, > è che io posso chiederti come ti chiami e tu non puoi chiedermi niente, > chi comanda sono io». Un suo collega aggiunge: «certo, se lo vuoi > mettere per iscritto è diverso, ma non te lo consiglio, la cosa si > farebbe piuttosto scomoda». La minaccia mancava, in effetti. Interrompe > la discussione l´uomo in rosa. «Luca!», e con la mano mi fa cenno di > andare da lui. «Vuoi andare?» > «Voglio una risposta alla mia domanda», insisto. «Non hai capito - si > spiega - hai voglia di chiuderla qui questa storia o no?». «Non sono > stupido, so quello che mi sta dicendo, ma io voglio la mia risposta». Mi > accompagna lontano dal furgone, in piazza Trilussa. Davanti a me l´uomo > che comanda l´operazione, quello dell´alito puzzolente. Mi chiedo se > tornare da lui, ma mi rendo conto che nel gioco del muro contro muro il > suo è molto più duro. Aspetto ancora in piazza, osservo l´operazione > concludersi, fino all´istante i cui gli immigrati vengono caricati sul > furgone che si mischia al traffico del lungotevere. Non c´è altro da > fare, questa sera, se non raccontare in giro quello che ho visto. Questa > triste deriva, quest´inverno italiano che avanza. Oggi inizia l´estate. > Evviva. > (21 giugno 2008) > ----- > Luca Trinchieri > luca.trinchieri@ yahoo.it