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27 Giugno 2008 06:48

TARANTO: FORO DELL'INGIUSTIZIA

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di ANTONIO GIANGRANDE

TARANTO: IL FORO DELL’INGIUSTIZIA ANOMALIA SOTTACIUTA DAI MEDIA E LEGITTIMATA DALLE ISTITUZIONI. TARANTO : "Basta errori giudiziari che distruggono la vita dei cittadini. Basta impunità per i responsabili". Questo dice il dr Antonio Giangrande, Presidente della Associazione Contro Tutte le Mafie, che ha svolto una inchiesta sulla Giustizia in Italia, in generale, e a Taranto, in particolare, pubblicata su www.ingiustizia.info . Il presidente continua: “Secondo l’Eurispes sono 4 milioni gli italiani vittime di errori giudiziari negli ultimi 50 anni, ma a noi interessano i casi concreti”. E’ di questi giorni l’ennesima denuncia, riportata da alcuni giornali, contro la violazione della libertà personale presso il Tribunale di Taranto. Sono in carcere dal 21 maggio 1997 per un delitto che non hanno commesso. Francesco Orlandi e Vincenzo Faiuolo scontano una condanna per l’omicidio di Pasqua Rosa Ludovico, accoltellata a morte nella sua casa di Castellaneta (Taranto) il 17 maggio 1997. Ma un’altra persona, un tunisino, si è autoaccusato di quell’orrendo crimine, ha fornito le prove della sua colpevolezza, alla fine di una lunga indagine la Procura di Taranto ha chiesto il suo rinvio a giudizio. La confessione del serial killer delle vecchiette, Ben Mohamed Ezzedine Sebai, tunisino di 44 anni, è “pienamente attendibile”. Questo scrive il gup del tribunale di Lucera (Foggia) Carlo Chiriaco. motivando la sentenza con la quale, il 15 febbraio 2008, ha condannato Sebai a 18 anni di reclusione (con rito abbreviato) per l’omicidio di Celeste Madonna, di 81 anni, uccisa a Lucera il 25 aprile 1996. Faiuolo e Orlandi restano però in cella. L’avvocato Claudio Defilippi insiste: "Sono innocenti, scarcerateli e dateci la revisione". Potenza, competente per il processo di revisione risponde di no. Sebai è credibile, ma questo non basta”. Il presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ricorda altri casi. Gronda ingiustizia la storia della strage della barberia, così come è stata rivisitata dalla Corte di Appello di Potenza. Quella Corte ha scagionato quattro innocenti, condannati come feroci killer per la mattanza dell’1 ottobre del 1991. Il punto di non ritorno della guerra di mala. Quel maledetto giorno i sicari della mala irruppero nella barberia di Giuseppe Ierone, all’imbocco di via Duomo. Spararono all’impazzata con mitra e pistole. Poi fuggirono lasciandosi alle spalle quattro morti e due feriti. Cercavano i boss rivali, invece, inchiodarono al suolo innocenti che con quella guerra tra bande non avevano nulla a che fare. Il primo di una lunga serie di tragici errori. Nelle ore successive alla mattanza, le indagini imboccarono la strada sbagliata. In carcere finirono cinque persone. A distanza di sedici anni la Corte di Appello di Potenza ha definitivamente scritto che quattro erano innocenti. Giovanni Pedone, Massimo Caforio, condannati a trent’anni come esecutori materiali, e Francesco Aiello e Cosimo Bello, condannati ad undici anni come fiancheggiatori. Con quel tremendo delitto non c’entravano. Ma la Corte di Potenza, nel motivare la revisione va oltre il verdetto, svelando definitivamente particolari che inducono a riflettere. Un aspetto su cui oggi si è soffermato l’avvocato Carlo Petrone che in questa brutta vicenda ha assistito Giovanni Pedone, noto con il soprannome di “fafetta”. Pedone, meccanico di 51 anni, da innocente ha trascorso quasi otto anni in cella prima di intravedere bagliori di giustizia. Ma gli elementi che hanno portato all’affermazione della sua innocenza e di altri tre imputati erano già parzialmente emersi nel corso del processo madre. Collaboratori di giustizia del calibro di Francesco Di Bari avevano parlato, adombrando il sospetto di un depistaggio messo in atto da un boss che a suo dire era vicino ai servizi segreti. Ma quando quelle dichiarazioni furono portate in Appello, la Corte le bollò come un tentativo di inquinamento probatorio. E fa specie leggere che quel secondo grado del procedimento cominciò e si concluse in un giorno a dispetto della complessità del caso. Come dire che se la giustizia è lenta l’ingiustizia in quel caso fu rapidissima. Così come rapidi giunsero gli arresti per il quadruplice omicidio. A spianare la strada sbagliata agli uomini della Squadra Mobile un confidente. “Quel confidente - scrivono i giudici di Potenza - fu messo in camera di sicurezza con Aiello e Bello i quali si decisero poi a parlare”. «E’ certo - ha detto l’avvocato Petrone - che qualcuno sapeva di quanto avvenuto durante le indagini». Continua il dr Antonio Giangrande, parlando del caso Morrone. “Oggi Domenico Morrone ha 44 anni. Un terzo della sua vita l'ha spesa dietro le sbarre. Ingiustamente. Lo avevano arrestato nel 1991 e condannato a 21 anni, perché, secondo l'accusa, aveva ucciso a colpi di pistola due ragazzini davanti a una scuola media di Taranto. Non era vero. E la verità è saltata fuori. Grazie alle confessioni di due pentiti e ad una revisione del processo, la corte d'appello di Lecce l'ha assolto. In base agli indizi raccolti da polizia e carabinieri, coordinati dal pm del tribunale di Taranto Vincenzo Petrocelli, Morrone, poche ore dopo i fatti, fu sottoposto a fermo per duplice omicidio, detenzione e porto illegale di arma da fuoco e munizioni e spari in luogo pubblico. Ad incastrarlo - secondo l'accusa - c'erano le testimonianze di alcune persone. Sia al momento del fermo sia durante i processi a suo carico, l'imputato ha sempre detto di essere estraneo ai fatti, ma nessuno gli ha creduto. «Questo processo è stato caratterizzato da lacune immense - denuncia l'avv. Defilippi - e i giudici di merito non hanno mai tenuto conto dell'alibi che Morrone aveva, che era stato confermato sin dal primo annullamento con rinvio della sentenza da parte della Cassazione. L'imputato ha sempre detto che al momento del delitto si trovava nell'appartamento dei coniugi Masone, che vivevano sullo stesso pianerottolo dell'abitazione della sua famiglia. I Masone hanno confermato l'alibi del giovane durante il processo ma sono stati condannati per falsa testimonianza, così come è stata condannata la mamma del giovane che aveva riferito la stessa circostanza: «Queste persone - conclude il legale - sono cadute nella fossa dell' inferno solo per aver detto la verità». Il Presidente Contro Tutte le Mafie, dr Antonio Giangrande, conclude. “Il Sostituto Procuratore di Taranto, Alessio Coccioli mi ha denunciato con altri direttori di giornale presso la Procura di Potenza per diffamazione. La mia colpa: aver pubblicato e fatto pubblicare su vari giornali, nazionali ed internazionali, la mia indignazione, riportando testualmente le motivazioni ad una sua richiesta di archiviazione: l’ufficio protocollo di Manduria non rilascia dovuta ricevuta degli atti consegnati, ma dato che l’anomalia è prassi comune a tutti i cittadini, il denunciante non ha subìto alcuna condotta omissiva o abusiva personale, mentre sono propalazioni personali il pensare che, sempre a Manduria, sia illegale il fatto che a vincere il concorso di comandante dei vigili urbani, sia stato, in palese conflitto di interesse, colui il quale ha indetto e regolato lo stesso concorso, ricoprendo le stesse funzioni in attesa della sua nomina. Il Sostituto Procuratore di Potenza, Henry John Woodcock, ha attivato il procedimento, a differenza delle decine di denunce attivate dal sottoscritto per alcune anomalie riscontrate presso il Foro di Taranto. Denunce tutte archiviate. A Taranto si deve subire e si deve tacere !!!” Grazie dell’attenzione. Presidente Dr Antonio Giangrande – ASSOCIAZIONE CONTRO TUTTE LE MAFIE 099.9708396 – 328.9163996 www.controtuttelemafie.it www.malagiustizia.eu www.ingiustizia.info www.illegalita.altervista.org

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