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9 Giugno 2008 09:36

MAURIZIO CHIERICI: FAO, LA FAME E LE BRIOCHE

858 visualizzazioni - 1 commento

di Maurizio Chierici

La concretezza delle assemblee Fao ricorda le infiorate in costume tra Umbria e Toscana. Affollate e decorative. Sbandieratori di gonfaloni. Mentre il battito del computer sposta i capitali delle banche e decide affari in meno di un secondo, i ministri del mondo arrivano a Roma con lunghi discorsi. Esercizi di vanità mediatica. Medioevo della politica che continua nell’evo elettronico. Promesse retoriche, indignazioni solenni, spot che imbrogliano la gente attribuendo dimensioni planetarie a comprimati del potere alla ribalta sul palcoscenico Fao. Quanto costa la sceneggiata ? Ogni capo di governo arriva con le sue troupe di giornalisti, ministri, esperti, assistenti fidati. E poi le mogli. Le cento ambasciate straniere di Roma assicurano alberghi adeguati alla dignità dei protagonisti; organizzano pranzi di benvenuto, cene con conferenze stampa, cocktail con uomini d’affari. Milioni di euro vanno in fumo così. Quanti euro beve la gigantesca parata ? Le macchine di ogni agenzia delle Nazioni Unite - Fao, Unicef, e l’Acnur che assiste i profughi - assorbono il 70 per cento delle disponibilità messe a disposizione dall’Assemblea del Palazzo di Vetro o raccolte nelle campagne . Pagati stipendi e manifestazioni, resta il 30 per cento da distribuire nelle opere di bene. Sommando le spese romane ai costi di ogni paese, nei tre giorni dell’assemblea, vien fuori una somma spropositata. La si potrebbe spendere in altro modo. Prendiamo un posto africano non ancora drammatico: Ghana, 21 milioni di persone, vite appese alle esportazioni di legno pregiato carne, pesce, oro. Il liberismo sta cambiando l’agricoltura: niente grano e patate dolci, ma soya e canna da zucchero per etanolo. Da un po’ di anni la popolazione non cresce. Fanno figli, ma i figli muoiono piccoli. Denutrizione, eccetera; è soprattutto la malaria a tagliare le teste. Metà finisce all’ospedale quando ha meno di cinque anni. Un quarto non ce la fa. Basterebbe un kit che costa meno di tre euro per impedire migliaia e migliaia di morti. Le spese del meeting Fao avrebbero potuto salvare una generazione. Come mai i piccoli grandi del mondo fra due anni non si incontrano ad Acra tanto per uscire dalla teoria e confrontarsi con la realtà ? Intanto le promesse restano promesse: 8 miliardi di dollari per evitare la fame, si è giurato l’altro ieri. Dei miliardi annunciati nelle assemblee degli ultimi anni sotto le parole è arrivato qualche spicciolo. L’ Italia di Berlusconi è andata a combattere in Iraq tagliando i fondi destinati alle Ong impegnate a contrastare sottosviluppo e fame. Guai mettere in dubbio le urgenze democratiche del mondo libero. Patria e bandiera prima di tutto. L’ipocrisia non è una novità. Le parole non costano niente. Vaghe, tranquillizzanti e la coscienza respira. Dal 1990 si ripetono le stesse cose; si giura lo stesso impegno. Ogni due anni per diciotto anni così e gli affamati aumentano e le multinazionali ingrassano e i disperati continuano a sbarcare con l’arroganza di clandestini che è sacrosanto sbattere in galera. Le Leghe si inquietano: perché vengono a mangiare proprio da noi senza timbri e carte ufficiali ? Noi,obesi, che difendiamo coi denti legittime comodità. Il rapporto affamati e chi mette un piatto in tavola non è cambiato da quel ‘90. Adesso 850 milioni di bocche vuote drammatizzano la crisi in caduta libera. La conclusione di Roma sembra chiara: nel 2009 noi del G8 faremo sul serio. Pance piene per tutti. Fra dodici mesi gli affamati saranno cento milioni in più. Purtroppo devono portare pazienza. Prima o poi la globalizzazione salverà i sopravissuti. Noi del G8, chi siamo ? Un’indicazione c’é. Proprio mentre le promesse riempivano i taccuini, il primo paese del mondo votava una legge bipartisan che fa capire tante cose. Democratici e Repubblicani degli Stati Uniti si sono trovati d’accordo nell’approvare al Congresso un provvedimento da guerra fredda. I grandi produttori agricoli, multinazionali che si allargano da un tropico all’altro, riceveranno dal governo di Washington sovvenzioni questa volta imponenti: cinque miliardi di dollari. Protezionismo nella cattedrale del libero commercio. Affama non solo i paesi poveri, anche gli americani poveri travolti da prezzi irraggiungibili. E cominciano a tirare la cinghia le folle italiane: vanno a far spesa quando i mercati stanno per spegnere le luci e la merce deperibile è sull’orlo dell’immondizia. Cinque miliardi di mancia e protezioni doganali rendono invincibili le esportazioni Usa, americani che anni fa nutrivano le mandrie con la stessa quantità di cereali destinati da India e Cina al consumo umano. Bistecche strepitose. Ma India e Cina stanno cambiando. Le multinazionali dei cereali avevano calcolato che sviluppo industriale e nuovo benessere di Pechino avrebbero gonfiato le esportazioni Usa di 700 mila tonnellate. Invece la Cina fa da sola nella transizione dal comunismo centralizzato al capitalismo d’assalto: esporta 15 milioni di tonnellate, proteggendo i suoi raccolti con grandi e piccole muraglie. Copiano le muraglie alzate dagli Stati Uniti contro la concorrenza dei paesi latini. Ogni banana o chicco di grano in arrivo negli Usa da produttori del sud, è tartassato da balzelli che eliminano la concorrenza. E gli americani che non frequentano Wall Street sono alle corde; e i produttori latini fanno fatica a vendere. Quindi riducono a niente le paghe da fame distribuite alle braccia della manovalanza campesina. Cinismo che arriva nei giorni dei guadagni record degli agricoltori Usa. Prezzi internazionali alle stelle. Riso più caro del 75 per cento; tortillas messicane vendute come oro. Pane, carne, frutta si comprano in gioielleria. Milioni di tasche vuote possono solo guardare le vetrine mentre il sussidio statale consola gli speculatori. 2 milioni e 600 mila persone guadagnano meno di due dollari al giorno. Il 90 per cento dei pochi soldi serviva a mangiare in qualche modo. Ma negli ultimi cinque impossibile seguire i prezzi. La fame si sta trasformando in una forma occulta di terrorismo organizzato dai grandi mercanti. Ho paura che le promesse Fao restino promesse se la nazione che ancora guida il mondo apre il cuore così. Non solo Nancy Pelosi, leader democratica della Camera dei Rappresentanti; non solo cento legislatori republicani appoggiano con entusiasmo la mancia dei cinque miliardi aggiungendo t altre gentilezze; anche la speranza Barak Obama é d’accordo. Il sogno della nuova frontiera ingrigisce a tavola perché le campagne presidenziali vanno unte con pacchi di soldi. E i giganti alimentari non ne hanno mai raccolti tanti. La scalata alla Casa Bianca pretende finanziamenti da far tremare. E nei mesi della grande corsa Obama deve fa finta di non vedere. Una volta presidente, cambierà ? Intanto nel paese dalla democrazia esemplare si distribuiscono altri aiuti settoriali. Milioni e milioni al capitolo produttori di prugne della California; milioni a chi affetta i salmoni da infilare nelle buste di plastica; milioni a chi raccoglie asparagi o alleva cavalli. Mentre il liberismo del mercato asfissia la sopravvivenza di 40 nazioni alle corde, l’ industria del primo paese é coperta d’oro per sbaragliare la concorrenza dei mercati lontani. Sussidi a go go a chi coltiva soia o mais da trasformare in etanolo. Le holding ormai rovesciano il 25 per cento dei raccolti nell’imbuto etanolo: paga benissimo trascurando l’appetito della gente. Washington si dice disposta a sospendere i sussidi se anche l’Europa li sospende. Ma l’ Europa del latte è pronta a marciare con i trattori su Bruxelles. O ad assediare Linate, o a bloccare le autostrade. Insomma, ognuno si tenga il suo. L’anno venturo penseremo agli altri. Negli ultimi sei mesi rivolte per riso e pane hanno sconvolto 22 nazioni. Ed è solo l’inizio se non succede qualcosa. La marea dei profughi continua a montare. Venerdi il Senato americano non é riuscito a raccogliere le venti adesioni necessarie alla presentazione della legge che affronta i problemi del cambio climatico. Controllo dei gas che cambiano il tempo. < Pazienza se qualche isola poco abitata del Pacifico va sotto per lo scioglimento dei ghiacciai. Passata la crisi, provvederemo e con vigore >. Il silenzio dei senatori democratici fa capire: anche il nuovo é d’accordo. Nessuno ha firmato. Proposta cancellata. Se democratici e repubblicani degli Stati Uniti marciano concordi sui mercati lasciando da parte la gente che, tanto, è sempre morta di fame e continuerà a sparire nei paesi del sottosviluppo, bisogna rendere giustizia ad una signora non molto considerata per come si è guadagnata la presidenza. Il marito presidente in carica aveva tenuto le primarie in pigiama durante la prima colazione: io non corro, andrai tu alla Casa Rosada. Democrazia coniugale, obiettivo raggiunto. Christina Fernandez Kirchner, immagine dell’Argentina, è arrivata a Roma nell’intervallo del braccio di ferro coi magnati agricoli del supermercato del mondo. Argentina di latte, grano, carne, soia. Immensità che producono 150 milioni di tonnellate di alimenti basici. Mettono a tavola 450 milioni di persone. Le esportazioni hanno permesso al paese travolto da una crisi che sembrava senza speranza, di tornare quasi normale. Quasi, perché qualche milione di argentini sopravvive fra le immondizie delle villas miserias e attorno a Tucuman si continua a morire di tante malattie che poi è solo fame. Buenos Aires torna grande caricando sulle navi alimenti che baipassano il mercato interno. Sei mesi fa Christina aveva vinto promettendo due pasti al giorno, a tutti, proprio tutti, ma gli esportatori resistono. Finora pagavano spiccioli per portar fuori il ben di dio. Christina impone le tasse necessarie a sfamare le folle dalle tasche vuote, e la protesta esplode con la violenza di chi non vuol perdere il mercato internazionale. Braccio di ferro tra i signori dell’agricoltura e governo. Blocco delle strade da parte dei potenti infastiditi dai dazi. Governo che resiste spulciando colossali evasioni fiscali. Il paradosso è che buona parte degli argentini è d’accordo con gli speculatori in quanto l’aumento della ricchezza di un certo numero di famiglie rianima le abitudini della borghesia compradora. La quale appoggia serrate e blocchi; strade e città impazzite. Applausi alle cisterne che versano sull’asfalto un mare di latte. Piuttosto che pagare le tasse export, buttano via così. Agitazione che svuota gli scaffali dei negozi. Tutti fanno provviste, non si sa mai. L’esempio cileno dell’era pre Pinochet minaccia il governo. Per resistere, il marito della signora Kirchner ha chiesto al sindacato dei camionisti peronisti, di bloccare i trasporti dei produttori agricoli. Tu mi impedisci di viaggiare, io ti impedisco di esportare. In Argentina come in Italia certe anime buone non rinunciano al tornaconto e all’evasione fiscale. A Roma c’era anche Lula, bravo nello scaldare la speranza. Ma nella pratica pensa a confortare i bilanci del Brasile: la soia divora l’Amazzonia e Lula costringe alle dimissioni Marina Silva, ministro che difendeva la foresta essendo cresciuta accanto a Chico Mendes. Nel mese di aprile l’occhio del satellite scopre che 1234 chilometri quadrati di foresta sono spariti in soli trenta giorni. Camion della soia transgenica già al lavoro. Lula è stato l’unico protagonista a rappresentare i paesi-continente che decidono il destino delle economie. Usa, Russia, Cina, India hanno mandato a Roma le seconde file. Bush, Putin e gli altri guardano da lontano. La fame non è quotata in Borsa. mchierici2@libero.it Cortesia dell'Unità

COMMENTI

9 Giugno 2008 21:41

Caro Maurizio, mentre leggo questa carrellata, la partita credo sia iniziata...In questo paese di 6.000 abitanti è stato installato un maxischermo, la grande sfida è aperta. Ieri con le rom romene le zingare diciamo, siamo passate sotto la Fao, ho spiegato a loro cosa c'è in quel palazzo, cosa ci si non fa. Campeggiano due enormi manifesti fuori, che parlano di fame nel mondo, e poi più avanti gli studi Mediaset , se fosse stata la Rai sarebbe stato lo stesso. Di come sono andate le cose ieri, a Roma 8 giugno, ne ho scritto in questo spazio: un evento storico, grandioso, emblematico...c'ero e non c'erano tanti, tantisimi altri. E ci sarò anche l'11 giugno, per Bush a Roma, saremo in pochi, inutili trattare sulle cifre, non servono. Ho capito oggi da certi messaggi che la giornata sarà assai poco partecipata da quello che una volta si chiamava Movimento: tra 6 mesi arriva Obama! Che vuoi che faccia questo mister Americano? E chissà quante cose belle farà l'Altro, un nero e una bianca: un mixer perfetto e democratico, politicamente corretto. Con profonda amarezza scrivo stasera, mi sembra tutto molto inutile, anche il mio scrivere. Mi frena una ribellione solamente, la memoria. So che tacere è omertà, collusione, essere parte della Mafia. Per questo ti ringrazio. Doriana

Doriana Goracci

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