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4 Marzo 2008 11:32

MAURIZIO CHIERICI: La destra e la paura degli stranieri

1086 visualizzazioni - 1 commento

di Maurizio Chierici

Campagna elettorale fra due italie molto diverse. Alemanno, candidato sindaco a Roma, comincia dalla paura. Roma ha paura. Gli stranieri macchiano la città e minacciano la dolce vita. Ogni giorno nuove banlieu negli angoli abbandonati. Con le buone o con le cattive la Roma dei colonnelli di Fini tornerà Città Eterna. Casini insegue Alemanno in Sicilia: si aggrappa alla paura per far dimenticare le coppole di Cuffaro. Sistemiano la paura; dopo parleremo di mafia. Se mai. Per il momento Berlusconi non si mescola oltre il dovuto sul rilancio della Bossi-Fini. Alla larga dal pantano ma se l’erosione continua diventerà l’estrema unzione del serrate finale: le città hanno paura, noi possiamo rasserenare. Come dimostrano Alemanno e l’alleato siciliano Casini, la manovalanza non gli manca. Per il nord affiderà il lavoro sporco alla Lega: Calderoli, Borghezio, Castelli and company, teologi della supremazia ariana. Soffiano sulle angosce di noi gente perbene: ombre islamiche in agguato, lingue sporche che minacciano la tradizione, ronde verdi moltiplicate con l’impegno dell’ allargare il panico criminalizzando le braccia straniere. La paura è l’arma segreta che spaventa le anime deboli. Ha aiutato Bush a diventare presidente col thrilling che ne tiene a galla il governo dei disastri. Negli ultimi otto giorni della campagna elettorale, Marianno Rajo, figlio spirituale di Aznar, prova a rimontare Zapatero esasperando i pregiudizi della piccola borghesia spagnola: gli stranieri ci impiccheranno. Deliri antichi. Nel 1999 Barry Glassner, sociologo californiano, ipnotizza migliaia di lettori nel saggio < La cultura della paura >. Ma un libro non ha la forza persuasiva di mezz’ora Tv, neri e cicanos che sconvolgono la felicità americana. Un libro va sfogliato con pazienza mentre le immagini della violenza fanno tremare il cuore e subito accendono la rabbia. Glassner ha convinto i cittadini di buona educazione: la paura maschera la debolezza di chi non sa cosa dire ma gli uomini dalle mani dure non perdono tempo sui libri e hanno avuto ragione. Il presidente che bombarda e innalza muri per frenare la disperazione di chi arriva e fa risparmiare le industrie accettando qualsiasi paga, é il presidente che malgrado i disastri non ha smesso di imperversare. Glassner mette in guardia sulle distorsioni di un panico irrazionale da consolare con la repressione. La paura fa sparire i problemi quotidiani, intontisce; esaspera il tremore di chi si allontana dalla giovinezza. Quei bastardi non li vogliamo. Prigioni senza speranza, tanti rimpatri senza ragione. Rifiutare l’emigrazione è la furbizia elettorale dei neocon di ogni paese G8. Le Pen, profeta del Fronte Nazionale francese, è stato il primo ad usarla come grimaldello elettorale. Anni fa. Accanto alla sua fiamma prestata dal Msi di Almirante, Gianfranco Fini lo abbracciava sorridendo. Per le fiamme di Parigi gli stranieri rubano il lavoro agli operai francesi, vivono pericolosamente fra le rovine dei quartieri abbandonati o nelle cantine che gli speculatori ( ariani ) fanno pagare come palazzi. Immigrazione vuol dire terrorismo, delitti atroci, insicurezza che vuota le strade appena tramonta il sole. Gli ariani non accoltellano, non sterminano famiglie, non violentano ragazze inconsapevoli, non rubano armi alla mano o in doppiopetto. Siamo gente a posto. Bisogna dire che il genio Le Pen aveva visto giusto. I partiti della borghesia senza cultura ne hanno seguito l’esempio in ogni Europa. Borghesia vorrebbe dire attenzione alle idee, dubbi e decisioni meditate. Ormai le parole si confondono assimilando alla dignità borghese padroncini incantati dal vitello d’oro: soldi, vacanze, macchinone e case al mare. Senza i dané non sei nessuno e nessun opulente ha tempo da perdere per capire cosa c’è dietro la faccia degli intrusi. Pensieri, emozioni, dolore, speranze. Problemi loro, noi cosa c’entriamo ? Si allevano nuove cravatte per allargare all’infinito la xenofobia dei padri intimoriti dagli stranieri. < Hanno una cultura diversa che spaventa la nostra cultura, distruggendola >. 1969, catastrofi distribuite dal dottor Schwarzenbach: animava il referendum per buttar fuori dalla < casa di Guglielmo Tell > 750 mila lavoratori arrivati da fuori, quasi tutti italiani. Erano scappati dall’Italia mediterranea, convalescenza senza lavoro del dopoguerra. Scappati dal Veneto con le fabbriche in rovina; altolombardi, friulani e piemontesi, quel grande Nord che la Lega vuole salvare dall’inciviltà dei popoli del sud dimenticando i brontolii dei leghisti ticinesi: Lecco e Varese sono il sud di Lugano. Osservano con le dovute precauzioni. Mi rendo conto che è inutile far capire il dolore dell’emigrazione alle orde delle camice verdi, eppure suggerisco un libro appena uscito da Einaudi: < L’ha ucciso lei > di Thar Ben Jellou, scrittore marocchino consacrato a Parigi. Nei suoi racconti straordinari tradotti in chissà quanti paesi, sradicamento ed emigrazione accompagnano lettori nei ricordi e nel dolore. Si riconoscono nelle donne e negli uomini costretti a cercare la sopravvivenza della solitudine in posti sconosciuti. Abitano case ormai pezzi di case dove i francesi non vivono più. Dopo trent’anni in tuta alla Renault, Mohamed, protagonista in pensione, ha imparato ad ascoltare a bocca chiusa le voci dei compagni di lavoro quando immaginavano le folle dell’Islam < con la bomba legata alla vita >. Pronti a distruggere. Mohamed parla ancora un francese con tante spine che i figli ormai francesi deridono. < La domenica vede gli amici alla moschea, poi al bar dove non servono bevande alcoliche >. Angoli di una Parigi lontana dai Campi Elisi. Giocano a domino, guardano la Tv marocchina che informa sul costo dei terreni ad Agadir >. Soffre per il figlio che ha sposato una spagnola, per la figlia che ha sposato un italiano. Anche loro emigranti, ma lontani dalle abitudini del padre e della madre. La moglie trema quando sente parlare Le Pen, ma Mohamed la consola ridendo: < Stai tranquilla, Le Pen ha bisogno di noi. Immagina questo paese ripulito dagli immigrati ! Il caos. Non potrebbe più spaventare dicendo che siamo la radice del male, dell’insicurezza; che approfittiamo della previdenza sociale…Le Pen ha paura che questo succeda. Ha due mani grasse, se ti dà uno schiaffo vedi stelle finte, stelle finte perché lui sa di essere finto. Non riesco non riesco a prenderlo sul serio >. Viene in mente Calderoli, tutore della razza pura. Alla fine Mohamed torna in Marocco per costruire una casa dove la famiglia possa un giorno ritrovarsi. Quando la casa è finita, dà appuntamento ai figli, ma i figli sono ormai francesi e non arrivano. I nostri Le Pen, vecchi amici di Le Pen, si prendono sempre sul serio. Vogliono vincere e subito impacchettare gli intrusi o ridurli a braccia senza pensieri, desideri, libri di scuola, la pizza del sabato sera. Non possono; hanno colori che non somigliano ai nostri. < Parole che feriscono >, è il titolo di un piccolo libro- testimonianza, scritto da Esoh Elamè, immigrato del Camerum in Italia. Col pudore di chi non ha voce, prova a chiedere: < Per favore non chiamatemi uomo di colore >. Ma gli immigrati continuano a sperare. Del resto cosa possono fare ? Tornare a casa non è possibile. Come si è accorto il Mohamed di Ben Jellou, a casa non è cambiato niente. La colonia resta colonia anche se ha cambiato faccia. Una volta, check del volo Madrid-Tangeri, sono in coda fra manager e impresari, profeti della dislocazione. Nella regione Tangeri-Tetuan ogni anno fioriscono nuove fabbriche, capitali spagnoli e francesi. Sul volo Venezia- Bucarest manager italiani; nel traghetto Otranto-Valona, pugliesi: hanno chiuso i capannoni del Salento per far cucire le scarpe in Albania. Da Madrid scendono in Marocco per costruire il grande porto, la grande autostrada, reti di laboratori attorno alla zona franca di Tangeri. Le camere di commercio sventolano contratti che ingolosiscono. Operai a 0,87 euro l’ora. Specializzati 0,95. Dirigenti 500 euro al mese. Se in Italia o in Spagna la paga media è di 1600 euro, in Marocco non supera i 160 e il costo generale viene tagliato del 75 per cento. < Non sapevano come tirare avanti prima del nostro arrivo >, racconta l’orgoglio un compagno di viaggio. < Adesso mangiano due volte al giorno. Lavorano anche le donne e il costume cambia >. Invece non cambia. Chi confeziona camice non potrà mai comprare le camice che escono dalle sue mani. Volano via o si illuminano nelle vetrine della loro città che agli ultimi resta proibita: servono due mesi di paga per comprare una cosa cucita in dieci minuti. La disillusione li travolge: non sopportano di fabbricare il lusso e di non poterne approfittare. Come il Mohamed di Ben Jellou ricominciano a scappare. O protestano, o scioperano sfidando le polizie impegnate a difendere il trionfo delle esportazioni. E appena la corda diventa tesa e la globalizzazione traballa, le fabbriche cambiano tropico. Sempre verso il sole. Dopo la Romania, il Bangladesh e dopo il Bangladesh c’é la Corea del Nord che prima o poi aprirà per fame e bisogna battere sul tempo i cinesi. Marocchini in Spagna, Francia, Italia. Rumeni che invadono l’ Europa della quale fanno ormai parte non sopportando la colonizzazione delle fabbrichette o fabbricone italiane. Ecco la notizia che non interessa le borse: dall’inizio dell’anno 24 mila bambini di Bucarest sono finiti in strada. Padri, madri, fratelli emigrati in cerca di fortuna. Soprattutto di dignità. E loro lì a diventare uomini e donne alla periferia delle periferie. La speranza del non emigrare finisce nel torchio della speculazione. Ecco perché arrivano e perché la loro solitudine resta disperata. Scappa chi vuol solo lavorare e chi vuole solo guadagnare ma le colpe di pochi infangano la speranza di tutti nutrendo le campagne di Alemanno o Calderoli, amici duri e puri. Durante il referendum anti italiani, Svizzera 1969, i giornali amici del dottor Schwarzenbach condivano le notizie col disprezzo della xenofobia: prostituta aggredita da giovane italiano, ladri italiani rubano nel supermercato, vecchia signora accoltellata da un italiano, italiani contrabbandieri, italiani che non si lavano, italiani che imbrogliano. Sempre noi, mai loro. Gli svizzeri rubavano o sparavano come in ogni parete del mondo, ma l’onore della patria non doveva essere sfiorato. Quarant’anni dopo i giornali amici del grande amico ricopiano gli stessi titoli nell’Italia degli ex migranti. Algerino, albanese, rumeno, marocchino. Sta per partire la carica deegli Schwarzenbach 2000 mentre il giorno del voto si avvicina. mchierci2@libro.it Cortesia dell'Unità

COMMENTI

6 Marzo 2008 09:59

Molto interessante.Non ero a conoscenza di questa discriminazione degli italiani nel ticino e rimango sbalordito come le stesse persone che erano dall'altra parte tempo fa oggi vedano solo in noi immigrati i colpevoli di tutto ciò che va a rotoli in italia.Grazie di essere obbiettivi e di essere persone umane.

Jahanzaib

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