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22 Novembre 2007 02:30

I processi sommari di Bruno Vespa

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di pierluigi dattis

Inaudito: Fatto: Meredhit è stata uccisa durante un festino. Lei probabilmente ha detto no!!!. Fatto:Dolore e rabia!!! Fatto: Perugia è una delle città più belle del mondo. Fatto: gli studenti delle università di Perugia sono i migliori al mondo. Fatto: Le università di Perugia sono le migliori al mondo. Fatto: I locali di divertimento di Perugia sono i migliori al mondo. Fatto: a Perugia si svolge ogni anno la rassegna Internazionale"Umbria Jazz" . Fatto: i giovani e gli studenti di Perugia, italiani e stranieri, sono i migliori al mondo. Fatto: la droga del Potere Capitalista e Mafioso circola in tutto il mondo. Fatto: I festini li fa anche Bruno Vespa. Fatto: i giovani studenti si ribellano con i festini. Fatto: i festini li facevamo anche noi, negli anni 70 ma,poi avevamo, dopo aver fatto sesso, gli ideali e le utopie per un mondo migliore. Fatto: il disagio sociale dei giovani è colpa dei genitori e dei "nuovi" modelli di riferimento, di mancanza di ideali politici, di impegno per una società migliore che sviluppi la cultura della dignità propria e del prossimo che si frantumano contro i modelli della televisione, del consumismo esasperato, della pubblicità subdola e complice dell'alcol, (ogni anno nel mondo, muoiono 5.000.000(cinquemilioni) di persone per dipendenza dall'alcol, contro i 200.000 (duecentomila) per le tossicodipendenze.Fatto: Dirigenti e politici del Potere che predicano bene e razzolano male. Difendono la famiglia nelle piazze mentre scopano a destra e manca con la droga e i festini e si ritrovano divorziati, con 25 amanti, con subrette in gravidanza. Fatto: la contestazione giovanile si è spostata rispetto ai Nostri tempi, negli stadi piuttosto che nei Licei e nelle università. Fatto: ragazzi, sveglia!!! è ora di fare la nuova rivoluzione culturale e dei diritti sul serio!!! (Vedete la Francia! Insegna!!!)Bruno Vespa, con i suoi Processi sommari e totalitaristi(compreso la sua Caccia al Negro di Perugia/Milano/Lecco/Germania e si infila nei "cazzi" dei poveri disgraziati E FARE IL MORALISTA per sbattere IL MOSTRO IN PRIMA PAGINA continua a criminalizzarVi. Bruno Vespa è il Male! che ha la presunzione di fare la Morale anacquata e come schiavo del potere RAI/Mediaset, rincoglionisce peggio delle droghe i più deboli, cioè, le persone senza PENSIERO CRITICO! Fatto: IL torpore è finito!!!! Condanna con riserva alla Classe Dirigente Italiana. La nostra indagine storica relativa allo sviluppo di quel fenomeno processuale che va sotto il nome di condanna con riserva prende le mosse dall’età comunale: la nascita di questa tecnica è infatti strettamente legata al sistema giuridico e politico di quel periodo. Per la verità, alcuni autori fanno risalire l’origine della condanna con riserva al diritto bizantino (es. Mitteis)(1) o addirittura al diritto greco e romano. La tesi più valida è però, per i motivi che subito vedremo, quella dell’origine medievale dell’istituto in 7 questione (tesi formulata per la prima volta da Briegleb).(2) Nel Comune medievale il potere politico (e quindi il potere di creare le leggi) era nelle mani degli stessi soggetti che detenevano il potere economico, cioè i mercanti, ed è pertanto ovvio che essi creassero degli strumenti giuridici “ ad hoc” per soddisfare i propri interessi, primo fra tutti l’interesse ad una più facile e veloce riscossione dei crediti. Inoltre non c'era, nel sistema comunale, un potere centrale in grado di impedire efficacemente la realizzazione di tale progetto ed infine mancavano dei principi pubblici o costituzionali che lo potessero ostacolare. Per questi motivi vi erano in pratica tutti i presupposti per la nascita di un istituto come la condanna con riserva. Tra l’altro, il sempre maggiore sviluppo del commercio imponeva l’introduzione di forme accelerate di tutela del credito: la condanna con (1) CHIOVENDA, Saggi di diritto processuale civile (1900-1930), Il foro italiano, Roma, 1930, I, 128, 141. CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, Jovene, Napoli, 1935, I, 221-222, 230-231. 8 riserva rispondeva quindi anche ad esigenze di necessità, non solo ad un desiderio della classe dominante. Essenzialmente tre erano gli istituti che utilizzavano il principio della condanna con riserva: il procedimento documentale – esecutivo, la confessione giudiziale e il procedimento sommario.(3) Prima di passare ad analizzare uno per uno questi istituti, possiamo già dire una cosa importante: la condanna con riserva assurse, nel Medio Evo, a principio di carattere generale.(4) (2) SCARSELLI, In difesa dell’art.648, 1° comma, c.p.c., in Il foro italiano, Il foro italiano, Roma, 1996, I, 2347. (3) SCARSELLI, La condanna con riserva, Giuffrè, Milano, 1989, 12-15, 16. (4) SCARSELLI, La condanna con riserva, cit., 53: «Anzi quella era la regola sovrana: l’applicazione generalizzata […].». 9 1.2 Il procedimento documentale – esecutivo Il processo documentale – esecutivo era un procedimento nel quale il creditore, mediante la semplice presentazione al giudice (che poteva essere, in alcuni casi, anche un privato cittadino) di un documento che provasse il suo credito (c.d. “strumento guarentigiato”),(5) otteneva da lui un “praeceptum”, detto anche “mandatum de solvendo”,(6) che gli consentiva l’esecuzione forzata (c.d. “executio parata”), e ciò senza che il debitore potesse fare molto per evitarla, essendo posticipata per lui la possibilità di presentare eccezioni. Innanzitutto, il creditore poteva presentare al giudice qualsiasi tipo di documento: secondo numerosissimi Statuti comunali dell’epoca infatti (es. lo Statuto di Ravenna del 1306, lo Statuto di Perugia del 1342, lo Statuto di Livorno (5) SCARSELLI, Brevi note in tema di art.648, comma 1°, c.p.c. e di rapporti cronologici fra processo a cognizione piena ed esecuzione forzata, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, Giuffrè, Milano, 1990, 1373-1374. (6) ZANZUCCHI, Diritto processuale civile, Giuffrè, Milano, 1955, I, 152. 10 del 1421), sia l’atto pubblico, sia la scrittura privata autenticata, sia qualsiasi altra scrittura privata che testimoniasse con un sufficiente grado di certezza la nascita del credito (es. le scritture commerciali, le dichiarazioni sottoscritte dal debitore, ma soprattutto le lettere di cambio) davano al creditore il diritto di ottenere dal giudice il precetto esecutivo.(7) Il precetto non conteneva alcun accertamento in ordine all’esistenza o all’inesistenza del diritto(8) e non era frutto di una valutazione discrezionale da parte del giudice: questi poteva solo controllare che il documento non contenesse cancellature evidenti, dopo di che doveva concedere l’esecuzione forzata. Capiamo quindi che la posizione del creditore era molto privilegiata: ad essa corrispondeva d’altra parte una posizione molto svantaggiata del debitore. Infatti, secondo la maggior parte degli Statuti comunali dell’epoca (lo Statuto di (7) SCARSELLI, In difesa dell’art.648, 1° comma, c.p.c., cit., I, 2347. 11 Todi del 1275, lo Statuto di Firenze del 1325, lo Statuto di Bergamo del 1457, ecc.), il debitore citato in giudizio non poteva sollevare alcuna eccezione prima di pagare, poiché egli poteva far valere le sue ragioni solo successivamente, in altro e distinto processo. E pure in quei Comuni, che costituivano la minoranza, nei quali gli Statuti davano al debitore la possibilità di presentare alcune eccezioni (come a Bologna, a Cremona o a Tolentino), questa possibilità nella prassi era vanificata, dal momento che i formulari contrattuali in uso all’epoca generalmente prevedevano la rinuncia incondizionata a queste eccezioni prima del pagamento.(9) Se il debitore voleva farle valere, doveva intentare separatamente un apposito processo di cognizione.(10) Da ciò si coglie la natura di condanna con (8) MERLIN, Compensazione e processo, Giuffrè, Milano, 1991, I, 593-594. (9) CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, cit., I, 220-222, 228. (10) SCARSELLI, La condanna con riserva, cit., 15-53, 306. CHIOVENDA, Saggi di diritto processuale civile (1900-1930), cit., I, 130-131. 12 riserva del “praeceptum” giudiziale:(11) con questo provvedimento, il giudice in pratica “condannava” il debitore al pagamento (o comunque ad eseguire la prestazione, dato che non sempre si trattava di obbligazioni pecuniarie), “riservando” l’esame delle sue eccezioni ad un momento successivo. Se il debitore non pagava, subiva l’esecuzione forzata. E nemmeno nel processo esecutivo poteva sollevare eccezioni, per chiederne la sospensione: anche queste erano riservate al successivo processo di cognizione. Se poi, in questo apposito processo, le sue eccezioni si rivelavano fondate, la sentenza di condanna a suo carico cadeva nel nulla e il creditore era costretto a restituire quanto percepito in virtù di essa. (11) SCARSELLI, Brevi note in tema di art.648, comma 1°, c.p.c. e di rapporti cronologici fra processo a cognizione piena ed esecuzione forzata, cit., 1373: «[…]; è inoltre storicamente provato che la condanna con riserva trovò origine soprattutto nelle procedure documentali-esecutive del basso medioevo […].». 13 1.3 La confessione giudiziale Il motivo per cui, nel processo documentale – esecutivo medievale, si riconosceva efficacia esecutiva ai documenti aventi ad oggetto un credito, era perché essi contenevano in pratica una sorta di confessione del debitore in merito all’esistenza ed all’ammontare del debito. In effetti quando un debitore firmava, ad esempio, una lettera di cambio (l’antenata dell’odierna cambiale), era come se confessasse il debito e, dato che la confessione era equiparata alla cosa giudicata (“confessus pro iudicato habetur”), essa aveva efficacia esecutiva.(12) Ma se la confessione valeva come titolo esecutivo quando era contenuta in un documento, doveva valere alla stessa maniera anche quando era resa oralmente nell’ambito di un ordinario processo di cognizione. La confessione era quindi trattata in modo uniforme, fosse o no incorporata in un documento. 14 A seguito della confessione, il giudice emanava un precetto(13) (altra dimostrazione dell’uniformità di trattamento tra la confessione stragiudiziale scritta e la confessione giudiziale orale), al quale, se il debitore non pagava, immediatamente seguiva l’esecuzione forzata, che tra l’altro non poteva essere sospesa. Ma il precetto non chiudeva necessariamente il processo di cognizione, che proseguiva per l’accertamento delle questioni non coperte dalla dichiarazione confessoria, con conseguente possibilità per il debitore di sollevare eccezioni, di merito e di rito, su tali questioni.(14) L’unica differenza tra la confessione e il processo documentale era che in quest’ultimo l’esame delle eccezioni riservate era compiuto in un altro apposito processo, mentre nel caso della confessione era compiuto nello stesso processo, in una fase successiva. Emerge (12) CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, cit., I, 221-222. SCARSELLI, In difesa dell’art.648, 1° comma, c.p.c., cit., I, 2347. (13) SCARSELLI, Brevi note in tema di art.648, comma 1°, c.p.c. e di rapporti cronologici fra processo a cognizione piena ed esecuzione forzata, cit., 1371-1374. 15 comunque, e nuovamente, la natura di condanna con riserva del “praeceptum”: con esso il giudice condannava il “confessus” al pagamento, a pena dell’esecuzione, riservando l’esame delle questioni non confessate ad un momento successivo.(15) (14) SCARSELLI, La condanna con riserva, cit., 53-58. (15) SCARSELLI, La condanna con riserva, cit., 58: «Il precetto qui, di nuovo, svolgeva la funzione di procedimento di condanna con riserva.». 16 1.4 Il processo sommario Il terzo istituto che sfruttava il meccanismo della condanna con riserva era il processo sommario. Per la verità, gli studiosi tedeschi dell’Ottocento non consideravano il processo documentale – esecutivo e il processo sommario di cui stiamo per parlare come due processi diversi, bensì due forme (la prima detta determinata e la seconda detta indeterminata) di un unico tipo di processo, il processo sommario appunto. Noi invece, continueremo ad usare la terminologia, di origine brieglebiana, “processo documentale – esecutivo” da un lato, e “processo sommario” dall’altro. Il processo sommario consisteva (e consiste tuttora) in una semplificazione delle formalità del rito ordinario e poteva aversi sia in via principale sia in via incidentale. Esso venne introdotto dapprima nello Stato della Chiesa intorno al 1200 sotto Papa Innocenzo III, e poi, nel secolo XIV, in vari Comuni dell’Italia centro – settentrionale. Le materie che 17 erano attribuite alla cognizione sommaria erano numerose: cause possessorie, cause tributarie, questioni ereditarie, questioni inerenti allo stato delle persone, cause di lavoro ecc.. Come si vede, non si deve pensare che la procedura sommaria fosse limitata solo alle cause di minore importanza. In alcuni Statuti comunali, addirittura, non c’era un elenco tassativo delle materie sottoposte al procedimento sommario: era il giudice che, di volta in volta, decideva se la causa che gli era stata sottoposta doveva essere decisa secondo il rito ordinario o quello sommario (ci fu quindi un’esaltazione del ruolo del giudice). Le differenze tra il procedimento sommario e quello ordinario vennero puntualizzate per la prima volta in modo compiuto in un’importantissima decretale (le decretali erano Costituzioni pontificie redatte in forma di lettera): la “Clementina Saepe”, promulgata da Papa Clemente V nel 1306. Essa è importante perché costituì la prima 18 fondamentale sistemazione della materia del processo sommario ed utilizzò per la prima volta la frase: “simpliciter et de plano, sine strepitu et figura iudicii”, che divenne la formula tipica del procedimento sommario fino addirittura al tempo della Rivoluzione Francese. Sulla “Clementina Saepe” si posò l’attenzione di numerosi commentatori successivi (es. Fasolus, Bartolo di Sassoferrato, Tartagni).(16) Il procedimento delineato dalla “Clementina Saepe” era scarno e rapido: non c’era il “libellus” introduttivo; la trattazione della causa era essenzialmente orale; v’erano limitazioni per gli interventi degli avvocati; il giudice aveva l’obbligo di emettere la sentenza non quando avesse raggiunto la certezza, bensì la (convinzione della) probabilità che il fatto in causa fosse o non fosse avvenuto (“semiplena probatio”); ecc.. Ma la cosa più importante, dal punto di vista che a noi interessa, è che dovevano essere rigettate, nel (16) SCARSELLI, In difesa dell’art.648, 1° comma, c.p.c., cit., I, 2348-2349. 19 processo sommario, tutte le eccezioni che richiedessero una lunga indagine: le stesse potevano essere oggetto, però, di un successivo ed apposito processo ordinario.(17) Ciò dimostra che la sentenza di condanna, emessa al termine di un procedimento sommario, era sicuramente una vera e propria “condanna con riserva”.(18) (17) SCARSELLI, La condanna con riserva, cit., 59-75. CHIOVENDA, Saggi di diritto processuale civile (1900-1930), cit., I, 131-135. CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, cit., I, 221. (18) SCARSELLI, In difesa dell’art.648, 1° comma, c.p.c., cit., I, 2348: «[…], ed anche in seno allo stesso diritto canonico, ove commentatori di allora, con sconvolgente sintonia, ricordavano un principio del tutto analogo al nostro attuale […].».

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