5 Novembre
Bindovilles evanescenti ingombrano ogni piazza di Asuncion, capitale Paraguay. I sacchi della spazzatura diventano baracche dove dormono, mangiano, sopravvivono 15 mila famiglie scacciate dalla campagna per far posto all’oro verde della soia. Benzina al posto del pane. Contadini che non sanno dove mettere radici. Il latifondo fa i conti: il grano rende il 30 per cento in meno della soia e i proprietari ( due per cento della popolazione che amministra il 95 per cento dei terreni ) sceglie di riempire la cassa. La gente non conta e non ha voce. Metà paese sbarca il lunario fra le immondizie. Mille più, mille meno non succede niente. Prima o poi il municipio troverà uno spazio fuori mano per far crescere baracche più consistenti, cartoni e lamiere. E la vita degli accampati diventerà la vita di chi si è accampato prima. La stessa infelicità potrà consolarli. Ripulite le piazze, Assuncion tornerà una città in qualche modo sicura fino alla prossima invasione di nuovi disperati, metafora di ogni civiltà che rifiuta la barbarie dei vagabondi. C’é una festa di immigrati paraguyani nella villas miserias numero 31, attorno a Buenos Aires. Stamberghe piantate nel fango e nella polvere. Da una di queste stamberghe trent’anni fa, villa miseria Fiorito, viveva un ragazzo bravo col pallone. Quando è diventato Maradona non è più tornato a visitare la casetta dalla quale è partito. Il languore di un’orchestra guarany scioglie la nostalgia degli straccioni incantati dalle luci della città irraggiungibile: ballano ma non sorridono. Hanno voglia di tornare nel paese dal quale sono scappati per fame, eppure restano in attesa del miracolo: un posto, magari riconosciuto e non braccia nere. Qualche peso sicuro al giorno. Per il momento si arrangiano: schiavi dei piccoli imprenditori che nascondono il lavoro in fabbriche clandestine. Schiavi di un’emigrazione più dura e concreta: nord coreani che sfruttano i servi della gleba con la precisione sorridente della cultura orientale. Oppure allungano le mani. Rubano e minacciano. L’insicurezza ormai drammatica ha animato i discorsi della presidente eletta Kirchner e degli avversari che le rimproveravano di non proteggere la gente. Parole dure, classe media che per ripicca non vota Cristina nelle grandi città: ogni mondo è paese. Il taxista si spaventa. Dopo il tramonto le villlas miserias diventano trappole pericolose, ma l’organizzatore guarany tranquillizza: vi accompagno fino a quando cominciano le strade della città. La tragedia dei rom e delle bindovilles di Roma,esercizio feroce di una violenza che la non vita ha metabolizzato, impensierisce chi guarda le miserie lontane con gli occhi del nostro mondo. A qualche chilometro o a pochi metri dalle favelas di San Paolo, Brasile, le vetrine della Paulista o gli antiquari di Morumbi e i ristoranti che legano alle poltrone le borsette delle signore nell’illusione di frenare le aggressioni delle turbe volanti, insomma, gli operatori normali della società che sembra normale, con quale tranquillità organizzano i commerci del mondo perbene assediato da centinaia di migliaia di spiriti che sono del male, ma anche affamati ? Non sempre usano violenza e mercato della droga come lievito delle speranze quotidiane. A volte la fantasia eccita altre soluzioni. I raperos della favela Capào Ridondo, nord di San Paolo, cantano le vite brevi degli spacciatori. Raccontano come il loro racconto diventi pericoloso: ogni canzone finisce con la morte dell’autore. Non sempre è un’invenzione. Ritmi che fanno ballare le discoteche rosa dell’altra città, ma la musica è l’unico legame indolore con l’universo che ogni mattina progettano di saccheggiare. Noi benpensanti resistiamo nei nostri alberghi e nei nostri ristoranti e negli uffici e nei negozi, ma resistiamo senza cercare soluzioni durature che riavvicinino due tribù lontane. Ci difendiamo e basta. Non sempre gli inquilini delle baracche vendono musica. A Buenos Aires i cartoneros, esercito che striscia sui marciapiedi raccogliendo ogni briciola di carta da vendere a riciclatori industriali; i cartoneros, inaugurano un’attività editoriale che ha per materia prima le immondizie. Scatoloni di imballaggio ritagliati in copertine col titolo dell’opera colorata di verde e di rosso. Le offrono agli angoli di Florida, strada del gran passeggio. Dieci pesos, due euro per < Copi \ La guerra de las mariquitas >, guerra delle coccinelle. Coppi, italo argentino disegnava le donne affrante pubblicate da Linus, scriveva racconti e commedie ispirate a Jonesco sul filo autorironico dell’omosessualità; Copi sta diventando il simbolo di una diversità umiliata. Una cartaccia lega in qualche modo le sue pagine dissepolte nelle rovine di qualche stamperia allo sfascio o nelle discariche dove finiscono i libri usati. L’autrice dell’edizione < stradale > firma con dedica l’opera che sto comprando quasi ne fosse l’autrice. Svolazzo di < Eloisa Cartonera Barilaro, artista plastica >, ragazza col sottanone di chi pulisce i marciapiedi. La fantasia la salverà ? Sono le immondizie a precisare la differenza tra il nostro mondo e il mondo nel quale le famiglie dei viandanti annegano. Per capire cosa divide la società delle banche e dei computer da milioni di cartoneros ed ermarginati di ogni favelas - America Latina, Africa, l’Asia delle tigri economiche, Europa meno felice- può essere utile cominciare dalle immondizie. Le immondizie restano una tragedia sulla quale vivono corruzioni e camorre. La gente attorno a Napoli non respira mentre si discute all’infinito sul come riciclarle, bruciarle, soprattutto farle sparire. Da Buenos Aires alla Nairobi di padre Alex Zanotelli le immondizie diventano tesori che aiutano la sopravvivenza. Il modello sociale si rovescia. Scavare nei cascami della città dei palazzi, viene reclamato come diritto da chi non sa come andare avanti. Le autorità lo proibiscono: colera in agguato. Ma la gente non si rassegna. A Città del Guatemala la guardia nacional presidia una discarica infinita che incombe sulla capitale per impedire alla folla dei diseredati di riversarsi nel pattume alla ricerca della fortuna. Ma i ragazzi strisciano e non si arrendono. Nella notte spari e bengala per illuminare il cammino dei ladri. Qualche morto senza nome; nessuno ne parla. Anche nella Buenos Aires dalle abitudini borghesi, macroeconomia che vola, il governo si è arreso nei giorni delle elezioni. La proibizione resta, ma ogni pomeriggio dalle cinque alle sei, i cancelli della pattumiera sterminata di José Leon, benevolmente si aprono per lasciare passare la folla che aspetta. File ordinate, guai bruciare il posto dell’altro. Cinque, diecimila