212 utenti


Libri.itLINETTE – COMPAGNO DI GIARDINOLA REGINA DELLE NIAGARA FALLSEDMONDO E LA SUA CUCCIAMIRABELLA BAMBINA DAI CAPELLI TURCHINI
Emergency

Fai un link ad Arcoiris Tv

Fai un link ad Arcoiris Tv

Utilizza uno dei nostri banner!












Lettere ad Arcoiris

inviaci le tue opinioni, riflessioni, segnalazioni

Per inviare un lettera ad ArcoirisTV, riempi i campi sottostanti e clicca su "Invia". Se è la prima volta che scrivi, riceverai una email con un link ad una pagina che dovrai visitare per far sì che le tue lettere vengano sempre pubblicate automaticamente.

Informativa privacy

L’invio della "Lettera ad Arcoiris" richiede l’inserimento del valido indirizzo email del utente. Questo indirizzo viene conservato da ArcoirisTV, non viene reso pubblico, non viene usato per altri scopi e non viene comunicato ai terzi senza il preventivo consenso del utente.

maggiori info: Privacy policy

26 Ottobre 2007 00:27

Cara Giudice Dottoressa Forleo. Non rimarrete isolati. Stiao con Voi Magistrati con Rabbia.!!!

922 visualizzazioni - 0 commenti

di pierluigi dattis

Caro PM De Magistris e Cara Dottoressa Forleo. NOI NON VI ABBADONEREMO MAI!!!! VINCEREMO E FAREMO I KAMIKAZE, I MARTIRI DELLA GIUSTIZIA CONTRO LE MAFIE. "LA NOSTRA VITA VALE COME IL BOTTONE DI UNA GIACCA" DISSE GIOVANNI FALCONE. NOI ABBIAMO QUESTO CORAGGIO PER PROTEGGERVI E FARVI CONTINUARE TRANQUILLAMENTE IL VOSTRO LAVORO ED APPLICARE LA LEGGE. ROMANO PRODI: Se questo è un Premier al servizio dei cittadini Italiani. Un affarista a servizio delle Corporations e delle Multinazionali con comitati d'affari trasfersali nell'interesse delle potenti Lobby, Mafio-politiche. « Noi non ci riempiamo la bocca parlando "della gente". Noi abbiamo la serietà e la consapevolezza di essere gente tra la gente. » (Romano Prodi, presentazione del Programma dell'Unione, Roma 11 Febbraio 2006) Romano Prodi (pronuncia: /ro'mano 'prɔdi/) (Scandiano, 9 agosto 1939) è un politico, economista e statista italiano. Ricopre la carica di Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana dal 17 maggio 2006. Docente universitario di economia e politica industriale all'Università di Bologna, è stato nel 1978 ministro dell'Industria e, in seguito, presidente dell'IRI. Entrato nel 1995 nella scena politica, è già stato presidente del Consiglio (1996-1998) e presidente della Commissione Europea (1999-2004). Dal 23 maggio 2007 è stato presidente del Comitato nazionale per il Partito Democratico, e con la fondazione di quest'ultimo ne è diventato Presidente dell'Assemblea Costituente Nazionale. Note familiari È l'ottavo dei nove figli di Mario Prodi, un ingegnere proveniente da una solida e onesta famiglia contadina, e di Enrica, maestra elementare. La famiglia è composta da sette fratelli e da due sorelle, la maggior parte dei fratelli sono o sono stati docenti universitari (Giovanni Prodi di matematica, Vittorio Prodi di fisica ed anche eurodeputato, Paolo Prodi di storia moderna, Franco Prodi di fisica dell'atmosfera, Giorgio Prodi di patologia generale). Nel 1969 si sposa, in una celebrazione presieduta dall'allora sacerdote e ora cardinale Camillo Ruini, con Flavia Franzoni, a quel tempo studentessa, in seguito divenuta economista e docente universitaria. Dal matrimonio sono nati due figli, Giorgio e Antonio. Attività accademica Iniziò i suoi studi al liceo classico Ariosto di Reggio Emilia, si laureò poi con lode nel 1961 all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano in Giurisprudenza, presentando una tesi sul protezionismo nello sviluppo dell'industria italiana con Siro Lombardini. Approfondì i suoi studi a Milano, Bologna e alla London School of Economics, sotto la supervisione di Basil Yamey. Nel 1963 iniziò la sua carriera accademica come assistente di Beniamino Andreatta alla cattedra di economia politica della facoltà di Scienze politiche dell'Università di Bologna. Nel 1973 all'Università di Trento ha l'incarico per l'insegnamento di economia e politica industriale, l'anno successivo l'Università di Harvard negli Stati Uniti lo chiama come visiting professor. Come professore ordinario, tenne la cattedra di Economia politica e industriale all'Università di Bologna fino al 1999. È stato anche visiting professor presso lo Stanford Research Institute. I temi delle sue ricerche hanno riguardato principalmente lo sviluppo delle piccole e medie imprese, dei distretti industriali e la politica contro i monopoli. In un secondo momento si è anche interessato delle relazioni fra Stato e Mercato e della dinamica dei diversi modelli di capitalismo. Fra il 1974 e il 1978 ha presieduto la casa editrice Il Mulino, nel 1982 divenne direttore delle riviste Energia e L'Industria. Nel 1981 ha fondato Nomisma, una società di studi economici e consulenza. Storia politica Primi anni Allievo di Beniamino Andreatta, aderì alle correnti riformiste della Democrazia Cristiana ed ebbe buoni rapporti con Giulio Andreotti. Fu proprio quest'ultimo che lo scelse nel 1978 come ministro dell'Industria. Anche se non volle mai diventare un vero e proprio militante dello Scudo Crociato (il suo risultava infatti un ministero "tecnico") Prodi, così come i capi della corrente Morotea (Aldo Moro, Amintore Fanfani e Benigno Zaccagnini su tutti) non fu ostile né al compromesso storico tra DC e PCI né alla partecipazione diretta dei comunisti al governo. La sua azione economico-manageriale trovò l'appoggio del governo guidato da Ciriaco De Mita. Nascita dell'Ulivo: il primo Governo Prodi Lasciò la guida dell'IRI nel 1994, con l'arrivo di Silvio Berlusconi, che vinse l'elezioni politiche e formò un governo, sconfiggendo l'alleanza di sinistra guidata da Achille Occhetto e quella di centro, che vedeva protagonisti Mino Martinazzoli e Mario Segni, votazioni in cui si poterono constatare per la prima volta gli effetti della nuova legge elettorale maggioritaria. Quando due anni dopo si tornò a votare, favorita dalle peculiarità del nuovo sistema elettorale, era sorta un'alleanza fra il centro e la sinistra, che vide nella candidatura di Prodi e il suo progetto dell'Ulivo espressione di questo dialogo fra cattolici e laici che s'intendeva proporre al Paese. Ottiene subito l'adesione alla sua candidatura di Segni (con la formazione di un gruppo parlamentare dedicato all'unione proposta di più forze politiche, riunente liberali, repubblicani, socialisti), quindi del Partito Democratico della Sinistra di Massimo D'Alema, del Partito Popolare Italiano di Gerardo Bianco, dei Verdi. Alle elezioni politiche 1996 la coalizione dell'Ulivo si affermò e Romano Prodi venne nominato Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Governo Prodi I che si formò ebbe una composizione ulivista e d'indipendenti, e si avvalse di un appoggio esterno da parte di Rifondazione Comunista, con cui si era stretto un patto di desistenza elettorale (con la mancata presentazione di proprie liste nella maggior parte dei collegi elettorali maggioritari). Obiettivi e programma per l'Europa Anche nella cosiddetta "Seconda Repubblica", Prodi si mantenne sulle sue posizioni, sulla moderazione e sul riformismo di impronta progressista. Il programma politico di Prodi prevedeva la continuazione del lavoro di risanamento dell'economia italiana, che i predecessori Amato, Ciampi e Dini avevano iniziato, per risolvere la notevole crisi economica dell'epoca. Con la convinta prospettiva di far partecipare l'Italia al progetto della moneta unica europea che richiedeva il rispetto di precisi parametri economici, sentiti molto difficili da raggiungere in quel momento in cui si era da qualche anno usciti dal Sistema Monetario Europeo (vi si rientrò nel novembre del 1996). Si riuscì a raggiungere l'obiettivo, portando il rapporto deficit/PIL nel 1998, il principale parametro del Trattato di Maastricht, lontano dalla soglia minima richiesta dall'Europa. Per il riordino dei conti italiani fu anche stabilito un contributo straordinario, chiamato anche "eurotassa" o "tassa per l'Europa", commisurata ai redditi delle persone, che venne in seguito per il 60% restituita nel 1999, com'era stato prospettato al momento del suo varo, giustificata da un consolidato quadro economico e dal fatto che l'entrata nell'euro aveva portato un considerevole risparmio di interessi sui titoli di Stato. Dall'ottobre 1998 Romano Prodi non proseguirà la sua azione di governo a causa di un voto di fiducia alla Camera dei deputati non ottenuto per un solo deputato, in seguito al ritiro dell'appoggio di una parte del gruppo di Rifondazione Comunista, in rottura con la linea politica della coalizione dell'Ulivo, durante le fasi di approvazione della nuova legge finanziaria. La crisi di governo si risolse con la successione a Massimo D'Alema, quindi mantenendo una continuità di scelte politiche e con diversi ministri che vengono confermati nel proprio ruolo. L'esclusione di Romano Prodi fu un momento di crisi per il progetto dell'Ulivo, per rilanciarlo nel febbraio 1999 fonda I Democratici, un movimento politico dedicato al raggiungimento dello scopo di mettere assieme in un unico partito coloro che si riconoscono nell'Ulivo. Nel marzo del 1999 Romano Prodi fu nominato Presidente della Commissione Europea, lasciando quindi la guida del nuovo movimento, che partecipando all'elezioni europee raccolse il 7,8% dei consensi. Commissione Europea e ritorno in Italia Romano Prodi al comizio di Bari, durante la campagna elettorale per le Politiche del 2006Designato dai governi europei alla Commissione Europea, viene accolto con un appoggio ampio composto in particolare dai parlamentari europei popolari e socialdemocratici. Durante la sua presidenza sono avvenute alcune innovazioni nell'Unione: il 1° gennaio 2002, l'entrata in vigore dell'Euro come valuta corrente in undici paesi dell'Unione; il 1° maggio 2004 l'allargamento dell'Unione ad altri 10 paesi: Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria; il 29 ottobre 2004, la firma a Roma della Costituzione europea. Molte furono le riforme proposte o appoggiate da Prodi, in materia di mercato interno e di unificazione dello spazio giudiziario europeo (tra cui il cosiddetto "mandato d'arresto europeo"). Terminato il suo mandato alla Commissione Europea, Prodi è ridivenuto un punto di riferimento del centrosinistra italiano, venendo scelto da tutti i partiti della coalizione come leader dell'Unione. La nuova coalizione dell'Unione ha compiuto il suo debutto in occasione delle elezioni regionali del 2005: il suo ritorno alla guida dell'alleanza del centrosinistra è stato salutato dal brillante risultato con il quale l'Unione si è affermata in 12 delle 14 regioni interessate al voto. Le elezioni politiche del 2006: il secondo Governo Prodi Il 16 ottobre 2005 si sono svolte, invece, le elezioni primarie per la scelta "ufficiale" del candidato premier della coalizione alle elezioni dell'anno seguente. A proporre questo genere di consultazioni, organizzate per la prima volta in Italia, è stato lo stesso Prodi, che pur godendo del supporto dei maggiori partiti dell'Unione voleva l'approvazione dell'elettorato di centro sinistra, oltre a quella degli apparati burocratici dei partiti che lo compongono. Prodi si è imposto a stragrande maggioranza, ottenendo il 74,1% dei consensi (su oltre 4 milioni di voti) e distanziando gli altri sei candidati. La consultazione si è così risolta in un indubitabile successo personale di Prodi, anche nei confronti dei settori politici della coalizione più dubbiosi della sua leadership. Il 16 febbraio 2005 crea a Bologna la "Fabbrica del Programma". La fabbrica consiste fisicamente in un capannone in cui chiunque può portare un contributo al fine di una sua valutazione ed inclusione nel programma finale che verrà presentato per le prossime elezioni politiche. Secondo la definizione dello stesso politico di Scandiano, la fabbrica è nata "Per comprendere un paese, per interpretare i suoi bisogni, per rispondere alle sue attese. Perché se si vuole migliorare una nazione bisogna prima conoscerla, ascoltarla. E io desidero davvero il concorso di tutti". Il 9 aprile Romano Prodi ha vinto le elezioni politiche 2006 con uno scarto inferiore ai 25.000 voti. La sua coalizione ha conseguito 340 seggi alla Camera dei deputati e 159 seggi al Senato della Repubblica. Il limitato margine di preferenze con cui L'Unione ha prevalso nelle elezioni ha dato adito a numerosi reclami e ricorsi, alla fine respinti dalla Cassazione il 20 aprile, che ha confermato quindi la vittoria di Prodi. Romano Prodi ha ricevuto l'incarico dal presidente Giorgio Napolitano il giorno 16 maggio 2006, accettando con riserva. Il giorno dopo, 17 maggio 2006 ha sciolto la riserva, comunicando la lista del Consiglio dei Ministri: curiosamente, ciò è avvenuto esattamente 10 anni dopo la data d'inizio del suo primo governo. Ha inizio il governo Prodi II. Il governo Prodi II è il governo più numeroso nella storia della Repubblica (102 tra ministri, viceministri e sottosegretari). Con l'elezione di Franco Marini alla presidenza del senato e il passaggio all'opposizione del senatore eletto nelle liste di Italia dei Valori,Sergio De Gregorio, al senato la situazione è diventata di 157 a 157 (infatti il presidente del senato, per prassi, non vota) diventando determinante il voto dei senatori a vita e dell'indipendente Luigi Pallaro. Con tale situazione creatasi al Senato, il governo è andato in minoranza in alcune votazioni in Aula e in commissione. In alcuni casi, anche in votazioni sulla fiducia, il voto favorevole di alcuni dei sette senatori a vita (Andreotti, Ciampi, Colombo, Cossiga, Levi-Montalcini, Pininfarina, Scalfaro) è stato decisivo. In seguito al comportamento dei senatori a vita in alcune votazioni la Casa delle libertà ha aperto una vivace polemica. L'indagine mondiale sulla libertà di stampa (Freedom of the Press 2004 Global Survey) uno studio annuale pubblicato dall'organizzazione americana Freedom House, ha promosso l'Italia al grado di "libera" (Free) dopo averla per due anni consecutiva retrocessa al grado di "parziale libertà" motivando questo avanzamento al Governo Prodi che ha permesso maggiore libertà mediatica ed eliminato le barriere che erano state apposte dal precedente Governo Berlusconi contro giornalisti sgraditi al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Crisi di governo, dimissioni e rinnovo della fiducia Prodi al Festival dell'Economia di Trento, 3 giugno 2007.Il 21 febbraio 2007 Romano Prodi ha rimesso il suo mandato di Presidente del Consiglio dei Ministri nelle mani del Presidente della Repubblica, dopo che al Senato la risoluzione della maggioranza di centrosinistra per l'approvazione delle linee guida di politica estera, appena illustrate all'assemblea dal Ministro degli Esteri Massimo D'Alema, non aveva ottenuto il quorum di maggioranza[1]. Pur non essendo questo voto costituzionalmente vincolante all'apertura di una crisi di governo, di fatto essa si è verificata. All'evento hanno fatto seguito numerose critiche sollevate dall'opposizione, anche a riguardo dello stesso D'Alema - il quale, il giorno precedente, aveva dichiarato che un voto contrario al Senato sulla politica estera avrebbe costretto il governo alle dimissioni. Prodi si è così recato al Palazzo del Quirinale e ha rimesso il proprio mandato nelle mani del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Quest'ultimo, dopo le formali consultazioni come da prassi costituzionale, il 24 febbraio ha rifiutato le dimissioni di Prodi, rinviando il Governo alle Camere per il voto di fiducia. Il 28 febbraio il Senato, con 162 voti a favore e 156 contrari, ha rinnovato la fiducia al governo Prodi. Determinante è stato, in questo caso, il passaggio alla maggioranza del senatore Marco Follini. La crisi di governo si è definitivamente chiusa il 2 marzo seguente con il voto di fiducia alla Camera, con 342 voti a favore, 253 contrari e due astensioni. Procedimenti giudiziari a carico di Romano Prodi Romano Prodi è stato coinvolto in alcuni procedimenti giudiziari, in ciascuno di essi è stato riconosciuto non colpevole dalle accuse e non si è andati oltre le udienze preliminari: in alcuni casi è stata disposta l'archiviazione, in un caso si è prodotta sentenza, dichiarando il «non luogo a procedere» perché «il fatto non sussiste». Presidenza dell'IRI e vendita della SME Romano Prodi e l'allora Ministro per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Luigi Granelli, subito dopo la firma dell'accordo IRI-CNRLe vicende riguardanti la vendita, risalente al 1993, da parte dell'IRI delle proprie società alimentari, facenti capo principalmente alla finanziaria SME, è stata oggetto d'indagini da parte della magistratura, quindi Romano Prodi, in quanto presidente dell'IRI durante la privatizzazione, è stato oggetto d'investigazione, insieme al consiglio d'amministrazione dell'IRI. L'IRI, durante il primo mandato di Prodi, nel 1985 fallì nell'intento di cedere la SME a privati. Dopo aver ottenuto per l'intero assetto della società solo l'offerta d'acquisto della Buitoni di Carlo De Benedetti, con essa siglò una intesa preliminare, da far approvare dal proprio Cda e dal governo. L'accordo prevedeva la vendita dell'intera partecipazione dell'IRI, pari al 64% del capitale, della SME e la cessione della Sidalm, a un prezzo in linea con quanto stabilito dalle perizie effettuate su richiesta dell'ente pubblico a soggetti terzi[2]. Tale accordo non portò però ai suoi effetti. Nonostante l'approvazione all'unanimità del consiglio dell'IRI, fermamente intenzionata ad uscire dal settore alimentare, decisione appoggiata anche dal Comitato interministeriale per la Politica Industriale (CIPI), quanto stabilito saltò perché, alla fine, venne meno l'appoggio del governo, presieduto allora da Bettino Craxi, che vedeva come ministro per le Partecipazioni statali Clelio Darida, con cui il presidente dell'IRI aveva fino alla stipula dell'accordo relazionato sulla vicenda. Vi fu così un primo rinvio della decisione, causato dall'arrivo di una offerta anonima superiore del 10% di quella di De Benedetti poco prima dei termini a disposizione, seguita da una ulteriore offerta, da parte di Barilla, Berlusconi e Ferrero, davanti un'altra scadenza e da quelle di altri imprenditori. De Benedetti volle portare la questione con l'IRI in tribunale perché si sentì discriminato e pensò di poter far valere come contratto l'accordo firmato con Prodi. Dalla sentenza di primo grado, che diede torto alla Buitoni, scaturì il Processo SME, che vede imputati Silvio Berlusconi e altri per corruzione di giudici. Ciò nonostante, la sentenza in appello venne confermata, seppur criticandone le motivazioni addotte[3], e così anche in cassazione. Toccata da problematiche giudiziarie, da dispute politiche e senza un esplicito assenso governativo, la questione della privatizzazione della SME venne nei successivi anni messa completamente da parte, nel 1988 un nuovo intervento del CIPI riconsiderò strategico il mantenimento del gruppo. A distanza di molto tempo Berlusconi, nel corso del suo processo per corruzione di magistrati, durante il suo mandato di presidente del Consiglio, è intervenuto in sua difesa con delle dichiarazioni spontanee che hanno richiamato l'attenzione di Prodi. Qui ha sostenuto di aver fatto un'opera meritoria con il suo intervento, risparmiando allo Stato un cattivo affare, introducendo dubbi sulla correttezza della cessione a De Benedetti e al valore reale della partita. Ciò ha portato a una reazione di Prodi, allora presidente della Commissione, con la pubblicazione di comunicati stampa e documentazione in difesa del suo operato [1]. La vendita della SME avvenne solo tra il 1993 e il 1996, senza essere venduta per intero, ma suddivisa in varie parti. I procedimenti giudiziari che hanno coinvolto Prodi sono stati quattro, in tre è presente l'ipotesi di reato d'abuso d'ufficio. Il primo è iniziato dalle denunce contro ignoti di Giovanni Fimiani, un imprenditore condannato per bancarotta, che ha attribuito il fallimento delle proprie imprese al comportamento assunto dall'IRI. Richiamante l'intesa preliminare del 1985 per la cessione della SME dall'IRI alla Buitoni, venne archiviato nel 1997, ritenendo i magistrati privi di attendibilità le accuse di complotto ai suoi danni e i motivi avanzati dal denunciante sottostanti al fallimento delle proprie aziende. Per la vendita della Italgel alla Nestlé i magistrati convengono nell'archiviazione (1999), il reato ipotizzato viene escluso e si riconosce che il prezzo pagato dal compratore sia stato determinato secondo le procedure richieste. Gli ultimi due casi riguardano la cessione della Cirio-Bertolli-De Rica e di parte di questa dalla Fisvi all'Unilever, che portò a una sentenza d'assoluzione nell'udienza preliminare, e delle consulenze che Prodi avrebbe svolto per Goldman Sachs e General Electric durante il mandato all'IRI, indagini seguite in conseguenza di un articolo della stampa, che parlava anche di evasione fiscale, di cui la magistratura conviene nel disporre l'archiviazione nel 2002. Il caso Cirio Nell'ambito delle indagini per la vendita della Cirio-Bertolli-De Rica, Romano Prodi era indagato per abuso d'ufficio. Prodi era stato nel 1990 advisory director della Unilever NV (Rotterdam) e della Unilever PLC (Londra), gruppo che secondo le indagini aveva gestito la trattativa attraverso la Fisvi. Secondo l'accusa quindi Prodi avrebbe favorito la Fisvi, sebbene questa non avesse i mezzi finanziari per acquistare la Cirio-Bertolli-De Rica, in modo da agevolare indirettamente l'Unilever, aggirando così l'obbligo di conseguimento del miglior prezzo previsto dalle direttive CIPE. L'inchiesta fu nota dal 23 febbraio 1996 e portò a una sentenza di non luogo a procedere nell'udienza preliminare il 22 dicembre 1997, con la più ampia formula di proscioglimento «perché il fatto non sussiste». Il GUP Eduardo Landi citò nelle motivazioni anche la riforma dell'abuso d'ufficio, varata pochi mesi prima (il 10 luglio) su iniziativa dell'Ulivo e votata anche dalla coalizione avversaria. La riforma dell'abuso di ufficio era prevista nei programmi di tutte le forze politiche presentatesi alle elezioni del 1996. Il lavoro su questo argomento era già stato avviato da diversi gruppi parlamentari e dal Governo Dini fino alle elezioni dell'aprile '96. Il provvedimento nasceva quindi non per iniziativa governativa ma per iniziativa parlamentare. La riforma, fu, fin dal maggio del '96, oggetto di un confronto con i sindaci di tutti gli orientamenti politici che sollecitavano provvedimenti tesi a far superare difficoltà, resistenze e ostacoli che appesantivano il lavoro delle amministrazioni locali. L'abuso di ufficio, così com'era allora configurato, conferiva ai giudici un ampio potere discrezionale di giudizio nei confronti delle scelte degli amministratori locali, determinando sovente rallentamenti anche molto rilevanti delle attività delle amministrazioni, per questo la necessità di provvedere a questa riforma raccoglieva il consenso unanime degli amministratori locali sia di centrodestra sia di centrosinistra. Il giudice pronunciò una sentenza di non luogo a procedere con la più ampia formula di proscioglimento (il fatto non sussiste) e con l'acquisizione di una perizia d'ufficio che accertò la congruità del prezzo di vendita della parte della SME ceduta. La sentenza confermò la regolarità del procedimento seguito per la vendita ed il Giudice ha inoltre accertato che Prodi non aveva avuto rapporti con Unilever e aveva comunque già cessato il proprio rapporto con Goldman Sachs nel periodo in cui è avvenuta la cessione di CBD a favore di Fisvi, cui è seguita quella parziale per il settore "olio" in favore di Unilever. Alcuni hanno criticato tale riforma e la sua relazione con l'indagine su Prodi. I giornalisti Peter Gomez e Marco Travaglio definiscono «per certi versi imbarazzante[4]» il fatto che tra le motivazioni ci sia un riferimento alla legge varata dall'Ulivo, ma riconoscono che tale riferimento «non fu affatto decisivo per quella sentenza»[5] in quanto Prodi fu prosciolto perché il fatto non sussisteva. Secondo Silvio Berlusconi invece «Prodi s'è salvato grazie all'amnistia e alla modifica dell'abuso d'ufficio. Quelle sì che furono leggi ad personam, quando lui doveva rispondere davanti ad un GIP dei finanziamenti che le sue partecipazioni statali davano alla DC» (21 gennaio 2006). Tuttavia Romano Prodi non ha usufruito dell'amnistia e non è stato indagato per finanziamento illecito. Consulenze Nomisma In seguito alla sua prima elezione alla presidenza IRI nel 1982, a Prodi venne contestato di non aver abbandonato il ruolo di dirigente in Nomisma, configurando un potenziale conflitto di interessi. Negli anni successivi l'IRI stipulò alcuni contratti di consulenza con la società, che portarono a dubitare sulla trasparenza dell'operazione: in un primo processo, concluso nel 1988, Romano Prodi venne assolto con formula piena in quanto alla luce delle indagini non si configurava reato nel suo comportamento. Il giudice Francesco Paolo Casavola che lo assolse dichiarò::«L'idea che le commesse siano state affidate perché a richiederle erano il presidente dell'Iri e il suo assistente alle società collegate è verosimile, ma non assume gli estremi di reato». Una seconda questione venne sollevata riguardo ad alcune consulenze nel settore Alta Velocità svolte da Nomisma tra il 1992 e il 1993. Prodi era stato scelto a partire dal 16 gennaio 1992 come "Garante del Sistema Alta Velocità" dai vertici delle Ferrovie dello Stato, con il compito di effettuare le valutazioni di impatto economico e ambientale legate alla costruzione della nuova rete TAV italiana. Una seconda commissione ("Comitato Nodi") composta dal professor Carlo Maria Guerci, da Giuseppe De Rita e dall'architetto Renzo Piano e presieduta da Susanna Agnelli, venne incaricata di elaborare un piano di riqualificazione delle strutture e dei servizi delle Ferrovie. Prodi lasciò l'incarico di Garante il 20 maggio 1993 per tornare alla presidenza dell'IRI su richiesta dell'allora Presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi. Nel 1996 un'inchiesta sulla questione portò a una serie di 40 perquisizioni della Guardia di Finanza e al sequestro di numerosi documenti riguardanti la TAV, operazione disposta dal PM di Roma Giuseppa Geremia, e ad un'imputazione per concorso in abuso d'ufficio verso Ercole Incalza (ex amministratore della TAV) ed Emilio Maraini (ex-dirigente Italfer). Prodi non venne coinvolto direttamente in questa seconda inchiesta. In seguito ad un articolo polemico [2] apparso sul Daily Telegraph in data 4 maggio 1999, a firma Ambrose Evans-Pritchard, l'Unione Europea ritenne di dover precisare la posizione di Prodi sulla questione [6], dichiarando che « Il Sig. Prodi non ebbe ruolo decisionale nell'assegnazione dei contratti a Nomisma. Inoltre, il Sig. Prodi non aveva alcun interesse, finanziario o altro, in Nomisma. Non era azionista e non copriva alcun ruolo operativo o decisionale nella compagnia. Era semplicemente il presidente del comitato scientifico della compagnia. » Commissioni parlamentari che coinvolgono Romano Prodi Il "piattino" e il Presidente Moro Il 10 giugno 1981, prim'ancora di affermarsi come politico, Romano Prodi fu chiamato a testimoniare davanti alla Commissione Moro perché aveva dichiarato di aver partecipato per gioco, il 2 aprile 1978, ad una specie di seduta spiritica, durante un pranzo familiare in una casa di campagna di alcuni amici (tra cui Mario Baldassarri oggi appartenente AN e Alberto Clò, quest'ultimo propositore del gioco e proprietario della casa con i suoi figli piccoli e il fratello, oltre ai suddetti e le relative fidanzate. I commensali raccontarono agli inquirenti che nel corso della seduta iniziata per gioco, alla domanda dove è tenuto prigioniero Aldo Moro?, il piattino utilizzato avrebbe composto varie parole: prima alcune senza senso, poi Viterbo, Bolsena e Gradoli. Aldo Moro, rapito 17 giorni prima, il 16 marzo 1978, era al momento tenuto prigioniero dalle Brigate Rosse. Il professor Prodi, in seguito alla seduta, si recò a Roma il 4 aprile, e raccontò dell'indicazione al proprio conoscente Umberto Cavina, capo ufficio stampa dell'on. Benigno Zaccagnini. Così riferì Prodi nel corso della testimonianza: « Era un giorno di pioggia, facevamo il gioco del piattino, termine che conosco poco perché era la prima volta che vedevo cose del genere. Uscirono Bolsena, Viterbo e Gradoli. Nessuno ci ha badato: poi in un atlante abbiamo visto che esiste il paese di Gradoli. Abbiamo chiesto se qualcuno sapeva qualcosa e visto che nessuno ne sapeva niente, ho ritenuto mio dovere, anche a costo di sembrare ridicolo, come mi sento in questo momento, di riferire la cosa. Se non ci fosse stato quel nome sulla carta geografica, oppure se fosse stata Mantova o New York, nessuno avrebbe riferito. Il fatto è che il nome era sconosciuto e allora ho riferito. » L'informazione fu ritenuta attendibile o se ne volle dare solo l'impressione visto che, quattro giorni dopo, il 6 aprile, la questura di Viterbo, su ordine del Viminale, organizzò un blitz armato nel borgo medievale di Gradoli, vicino Viterbo, alla ricerca della prigione di Moro. Tuttavia, fu trascurata un'altra indicazione che la moglie dell'onorevole Moro avrebbe ripetutamente fornito, relativa all'esistenza a Roma di una "via Gradoli" (Francesco Cossiga, all'epoca Ministro dell'interno, in seguito smentì energicamente la signora Moro). Fallito il blitz conseguente alla seduta spiritica, il 18 aprile i vigili del fuoco, a causa di una perdita d'acqua, scoprirono a Roma, in via Gradoli 96, un covo delle Brigate Rosse da poco abbandonato, che si sarebbe rivelato come la base operativa del capo della colonna romana delle BR, Mario Moretti, il quale aveva preso parte all'agguato di via Fani. Il caso venne riaperto nel 1998 dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo e le stragi, Il fine della Commissione era accertare se la vicenda della seduta spiritica fosse in realtà un'architettura per celare la vera fonte del nome "Gradoli" (per esempio un informatore vicino alle BR) e anche cercare di capire se il nome "Gradoli" fosse stato comunicato con tanta celerità alle forze dell'ordine con lo scopo di salvare Moro. L'allora presidente del consiglio Prodi, dati gli impegni politici di poco precedenti alla caduta del suo governo nell'ottobre 1998, si disse indisponibile per ripetere l'audizione, si dissero disponibili Mario Baldassarri[7] (esponente di AN e viceministro per l'Economia e le Finanze dei governi Berlusconi II e Berlusconi III, al tempo del rapimento di Moro docente presso l'Università di Bologna) ed Alberto Clò [8] (economista ed esperto di politiche energetiche, ministro dell'Industria nel governo Dini e docente di economia all'Università di Modena), entrambi, pur ammettendo di non credere allo spiritismo e di non aver più effettuato sedute spiritiche dopo quella, confermarono la genuinità del risultato della seduta (alla critica sul fatto che qualcuno avrebbe potuto guidare il piattino Clò sostenne che la parola "Gradoli", così come "Bolsena" e "Viterbo", si erano formate più volte e con partecipanti diversi) e dichiararono che né loro, né, per quanto ne sapevano, nessuno dei presenti (partecipanti al gioco del piattino o meno) aveva conoscenze nell'ambiente dell'Autonomia bolognese o negli ambienti vicini alle BR. C'è da dire che oggi, alla luce delle nuove conoscenze sugli anni di piombo, questi fatti sono visti con nuova luce e si suppone che ci siano stati coinvolgimenti ben più importanti, sia dei servizi segreti che della P2 e della CIA [9]. Con il nome giornalistico di Affare Telekom Serbia si intende la vicenda giudiziaria che riguarda l'acquisto di azioni dell'azienda telefonica Telekom Serbia da parte di Telecom Italia. Durante il governo Prodi I nel 1997, Telecom Italia (all'epoca controllata per il 61% dal Ministero del Tesoro) acquistò il 29% di Telekom Serbia, l'operatore nazionale serbo di telefonia fissa, ad un prezzo pattuito di circa 893 milioni di marchi (pari a 878 miliardi di lire e ad oltre 453 milioni di euro). Il 16 febbraio 2001, il quotidano "La Repubblica" titolò in prima pagina: "Le tangenti di Milosevic - Telecom in Serbia: il protocollo segreto tra Roma e Belgrado". Scoppiarono violente polemiche, anche perché erano vicine le elezioni politiche e si temeva una strumentalizzazione intorno al caso. Sebbene l'accordo fosse avvenuto all'interno di un piano di espansione che aveva portato Telecom ad acquisizioni in diverse nazioni, in seguito all'elezione di una nuova maggioranza di governo la vicenda e il suo relativo sviluppo suscitarono l'interesse del Parlamento. La coalizione guidata da Silvio Berlusconi, infatti, decise di istituire una Commissione d'inchiesta dedicata al caso[1]. Il centrosinistra rinnegò sempre la liceità della commissione, definendola uno strumento di propaganda, fino ad abbandonarne i lavori[2]. Secondo quanto regolavano le procedure in vigore fra le società a partecipazione statale e il ministero del Tesoro, la Telecom non aveva bisogno d'informare o di attendere autorizzazioni e poteva stabilire simili accordi di compravendita in autonomia, il che escluderebbe un ruolo di Romano Prodi nella vicenda. Questo sistema era stato predisposto dal ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi in vista delle privatizzazioni che il governo aveva programmato, per meglio garantire i mercati da interferenze di tipo politico. D'altro canto, non è emersa alcun provvvedimento attestante il "non obbligo" da parte delle società partecipate di informare il ministero del Tesoro, mentre finché tali società era controllate dall'IRI tale obbligo esisteva. Dopo pochi mesi dall'accordo in Serbia, per la Telecom iniziò il processo di collocamento nel mercato di gran parte delle quote pubbliche. La svalutazione delle quote di Telekom Serbia succedutasi nel tempo è una delle accuse che vennero mosse ai responsabili dell'operazione, dato che questo avrebbe comportato una perdita per lo Stato stimabile nella differenza fra l'acquisizione del 1997 e la vendita effettuata nel 2003 (per un importo di 193 milioni di euro). Le azioni del Tesoro vennero collocate mentre in Borsa il titolo cresceva, e la quota posseduta di Telekom Serbia iniziò a perdere valore quando lo Stato era in possesso di solo il 5% delle azioni. Evidente causa della perdita di valore dell'investimento (il cui controvalore venne confermato nei controlli effettuati all'atto della privatizzazione). I vertici di Telecom hanno potuto e sono voluti entrare in una situazione che vedeva una Serbia, uscente da un conflitto con la Bosnia, da diversi mesi liberata dall'embargo, revocato dall'ONU, e dalle direttive della Comunità Europea, così potenzialmente aperta agli investimenti dall'estero. L'accusa più pesante, tuttavia, fu quella di aver ricevuto tangenti dal presidente serbo Slobodan Milosevic per finanziare la ricostruzione del Paese. Dalle dichiarazioni del faccendiere svizzero Igor Marini la commissione parlamentare incaricata ricostruì una vicenda di tangenti pagate ad esponenti del centrosinistra: In primo tempo Igor Marini fece i nomi di Romano Prodi, Piero Fassino, Lamberto Dini, che si sarebbero nascosti dietro gli pseudonimi di "Mortadella","Cicogna" e "Ranocchio", e li accusò anche di essere i mandanti di un tentato omicidio a suo danno[3]. Successivamente il faccendiere coinvolse anche Walter Veltroni, Francesco Rutelli e Clemente Mastella, quest ultimo, all'epoca dei fatti, non era membro del governo Prodi I, ma ne era all'opposizione[4]. Tra gli altri Marini chiamò in causa anche la moglie di Dini, Donatella Dini, e i Cardinali Camillo Ruini e Carlo Maria Martini [5]. Le notizie vennero fortemente rilanciate da una parte dei media e dallo stesso Berlusconi, che affermò: «La vicenda Telekom Serbia è tutta una tangente[6]». Il punto di svolta nell'inchiesta avvenne con il viaggio a Lugano di una delegazione incaricata dalla commissione parlamentare d'inchiesta composta da due deputati, due funzionari di polizia, un magistrato-consulente e lo stesso Igor Marini. La delegazione doveva verificare l'esistenza dei documenti di cui aveva parlato il teste, che non furono trovati. Inoltre le autorità elvetiche non erano state oppurtunamente informate di quel viaggio, tanto che la delegazione fu fermata dalla polizia e trattenuta con l'accusa di «atti compiuti senza autorizzazione per conto di uno Stato estero» e per «spionaggio economico» secondo gli articoli 271 e 273 del codice penale elvetico. Dopo cinque ore di interrogatorio furono tutti rilasciati ad eccezione del solo Marini[7]. In seguito a questo evento Il teste venne dimostrato essere non credibile, le sue dichiarazioni si rivelarono delle calunnie e vennero completamente smentite dalla magistratura. La prove chiave delle sue accuse, due ordini di versamento, si rivelano dei falsi, come mostrato dal settimanale L'Espresso[8] e dal quotidiano La Repubblica. La commissione parlamentare non formulò alcuna accusa diretta. La commissione parlamentare non presentò al Parlamento la relazione finale, come gli imponeva la legge istitutiva (L. 99/2002).Il 21 aprile 2006, Maurizio De Simone, Giovanni Romanazzi e Antonio Volpe, tre dei testimoni chiave che avevano procurato alla commisione di inchiesta alcuni documenti relativi, tra le altre cose, ad una supposta tangente di 125 mila dollari versata a Prodi e Dini, vengono rinviati a giudizio per calunnia aggravata con l'accusa di aver fabbricato delle prove false. Al termine della vicenda, ci furono ancora strascichi di polemiche tra maggioranza e opposizione: i primi dissero che la commissione aveva, comunque, accertato le responsabilità politiche del governo Prodi per aver "finanziato una dittatura" e gli ultimi affermarono che la commissione aveva prodotto solo un castello di menzogne per screditare Prodi e l'opposizione. Piero Fassino arrivò ad accusare palazzo Chigi di essere il mandante di Igor Marini e per questo fu anche querelato per calunnia da Silvio Berlusconi richiedendo un risarcimento di 15 milioni di euro, tuttavia il procedimento per calunnia finì con il proscioglimento di Fassino[9]. Il 7 maggio 2005 il GUP della Procura di Torino Francesco Gianfrotta archiviò l'indagine aperta nel 2001 sui vertici di Telecom del '97 (Tomaso Tommasi di Vignano e Giuseppe Gerarduzzi)[10]. Presunti rapporti col KGB L'indicazione secondo la quale Romano Prodi sarebbe stato un uomo di riferimento del KGB in Italia si rifà alle affermazioni dell'eurodeputato inglese Gerald Batten, che sosteneva di averla ricevuta dalla spia russa Alexander Litvinenko, morto il 23 novembre 2006 per avvelenamento. Batten, richiedendo un inchiesta, dichiarava il 3 aprile 2006 davanti al Parlamento Europeo a Strasburgo: « Uno dei miei componenti, Alexander Litvinienko è stato tenente colonnello in Russia della FSB, ex KGB. L'esposizione di Litvinienko sulle attività illegali della FSB, lo costrinse a cercare asilo politico all'estero. Prima di decidere un posto per rifugiarsi, consultò il suo amico Generale Anatoly Trofimov, un capo deputato della FSB. Il Generale Anatoly Trofimov, disse a Litvinienko: "Non andare in Italia ci sono molti agenti del KGB. Romano Prodi è il nostro uomo là". » (Trascrizione delle dichiarazioni di Gerald Batten a Strasburgo il 3 aprile 2006[10]) Dopo la morte di Litvinienko, tuttavia, il quotidiano La Repubblica pubblicò un'intervista che questi aveva rilasciato il 3 marzo 2005, un anno prima delle dichiarazioni di Batten, in cui l'ex agente del KGB affermava che Mario Scaramella, il quale lo stava interrogando per conto della commissione Mitrokhin, insisteva per avere informazioni che potessero legare Prodi al rapimento di Moro o al KGB, ma che lui non aveva mai sentito parlare di Prodi e che non conosceva alcun dettaglio sul sequestro: « Mario mi raccontò che Prodi conosceva l'indirizzo dove le BR tenevano sequestrato Moro per averlo appreso durante una seduta spiritica. Mi chiese se non ritenevo che Prodi avesse appreso del covo dal KGB. Mi chiese anche se il sequestro non fosse stato organizzato dal KGB e se avesse addestrato le BR. Dissi che non conoscevo alcun dettaglio del sequestro e che non avevo mai sentito parlare di Prodi. Osservai soltanto che, se volevano il mio parere di esperto, era poco credibile che Prodi avesse appreso la notizia durante una seduta spiritica e che sicuramente il KGB aveva seguito il sequestro provando ad acquisire informazioni. Io non avevo e non ho nessun tipo di prove su Prodi. » ( E Litvinenko raccontò "Volevano sapere di Prodi", intervista a Aleksandr Litvinenko, "La Repubblica" 26 novembre 2006 [11].) In un'intervista su La Repubblica Oleg Gordievskij, anche lui ex agente del KGB e poi collaboratore del MI6, sostenne invece di aver partecipato ad un incontro con Litvinienko e Scaramella in cui il primo avrebbe riportato le parole pronunciate da Anatoly Trofimov ("Prodi è un nostro uomo"). Gordievskij tuttavia nell'intervista aggiunse che secondo lui Litvinienko stava mentendo e che l'informazione era stata attribuita ad una fonte, Anatolij Trofimov, che non avrebbe potuto in ogni caso smentirla in quanto era stato ucciso, sottolineando più volte la scarsa attendibilità dello stesso Scaramella. Gordievskij afferma anche che sia Scaramella che Guzzanti, oltre ad alcuni eurodeputati inglesi, stavano facendo pressioni su di lui per avere informazioni che potessero legare Prodi ed altri politici della sinistra italiana al KGB (informazioni che lui non possedeva), e che Litvinienko, a causa di continue difficoltà economiche, aveva probabilmente deciso di riferire a Scaramella quello che quest'ultimo voleva sentirsi dire [12]. Si evince come molte delle accuse mosse al Presidente Prodi siano basate su teoremi che non sono allo stato dei fatti supportati da prove reali e questo ha spinto i suoi sostenitori a pensare che in realtà ci sia stata, da parte dei suoi nemici politici, una precisa volontà di colpire lo statista.In inglese tale strategia è chiamata character assassination, cioè causare danni alla credibilità di una persona attraverso la distruzione della sua reputazione. Questo è quanto sarebbe emerso dalle intercettazioni telefoniche di Mario Scaramella , membro della commissione Mitrokhin il quale è stato successivamente fatto arrestatare dai magistrati napoletani per gravi reati tra cui traffico internazionale d'armi e violazione del segreto d'ufficio. Stando a queste ultime rivelazioni emergerebbe un torbido scenario dietro uno strumento democratico come una Commissione Parlamentare che potrebbe essere stato utilizzato come mezzo di lotta politica. [3]

COMMENTA