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3 Ottobre 2007 14:51

Maurizio Chierici: Quella faccia da straniero

1180 visualizzazioni - 2 commenti

di Maurizio Chierici

Com’è triste sfogliare le immagini che arrivano dalla Birmania. Brutalità della dittatura, cinismo della Cina: nell’ombra protegge alleati i cui confini si affacciano sulla Thailandia < americana>. Monaci calpestati e uccisi. Fino a quando durerà la nostra commozione ? La violenza non è improvvisa, per anni ce ne siamo dimenticati mentre la gente scappava. Famiglie raccolte nei campi profughi thailandesi dove sopravvivono come possono: spalloni nel contrabbando dell’oppio, operaie pagate un pugno di riso, cuciono camice o scarpe o palloni per le vetrine occidentali. La Birmania vomita profughi da vent’anni ma se i fuggitivi riescono a montare su una nave o a prendere l’aereo per arrivare nelle nostre città i buoni sentimenti cadono, nessuno si intenerisce più. Quando gli extracomunitari sbarcano in Italia, o in Spagna, o in qualsiasi altro posto d’Europa, arrivano col proposito di diventare bianchi. Allarme insopportabile. Bianco vuol dire diventare una persona diversa dalle ombre cresciute nella fame e nella paura, schiacciate dalle politiche della povertà alle quali gli interessi delle multieconomie danno una mano nel dogma della globalizzazione. I figli saranno bianchi perché andranno a scuola, impareranno un lavoro. Nessuno ne calpesterà le voci come le polizie dei paesi crudeli. Vogliono diventare esseri umani non numeri nei registri della carità per vivere in un posto diverso ma con la speranza che civiltà e democrazia possano garantire un futuro normale. Non è mai stato così. Veneti, lombardi e siciliani lo hanno sofferto sulla pelle nelle terre vicine-lontane. Solo i figli dei figli dei figli cominciano a respirare, ma non sempre. La diffidenza resta. Nel 1956 Georges Simenon pubblica < Il piccolo uomo d’Arkhangelsk >. Racconta di un immigrato sospettato di un delitto perché la sua faccia da straniero ha un colore che insospettisce. Cinquant’anni dopo Le Monde distribuisce un libro di Daniel Prévost: stessa storia, ma la storia é vera. Il signor Joseph, algerino di nascita, da 40 anni cittadino in una città del nord, ha trascritto in francese il vecchio nome di Yousef e si è battezzato per sposare in chiesa la ragazza incontrata nella nuova patria. Vive facendo il librario. Adora lo champagne e le salsicce di maiale; é considerato l’anima nella piazza del vecchio mercato, eppure quando una bambina viene trovata morta in un canale, la gente non ha dubbi. Il colpevole è lui. Non è lui, decide la polizia dopo l’inchiesta, ma i vicini di casa e perfino gli amici insistono: è l’unico straniero del quartiere. Un francese non fa mai certe cose. Nel sentire comune delle popolazioni bene educate, straniero é sinonimo di disordine, minaccia alle abitudini civili. Braccia che servono, ma infastidiscono quando bisogna aprire le scuole; ingombrano gli ospedali. Diventano insopportabili appena respirano fuori delle ore di lavoro. L’Unione Europea fa sapere che il 78 per cento degli immigrati clandestini, pur avendo presentato richiesta di soggiorno, continuano a non godere dell’assistenza medica e sociale. E l’aids dilaga. E del ’56 per cento di chi ha le carte in regola, il 24, 8 continua a non fidarsi: non sa se le carte vanno proprio bene. Paura dell’ essere impacchettato verso casa. Nessun paragone con la violenza dei paesi dai quali scappano, eppure anche la soffice xenofobia dei nostri silenzi impedisce di aprire la vita tranquilla alla quale aspirano. E nessuno diventa mai del tutto bianco. Ogni mattina certi giornali glielo ricordano. Ricordate Fallujia, Iraq dimenticato ? Bombe Usa al fosforo e abitanti che si salvano come possono. Un po’ di loro trova rifugio nel tepore della provincia emiliana: Parma, dove il municipio ha ridotto a pochi letti i posti dove dormono i senza niente nelle notti d’inverno. L’aiuto dei volontari non basta. Notti nel gelo sotto le volte della Pilotta, palazzo solenne dei signori che la storia ha inghiottito. I vigili hanno l’ordine di tenere pulita la città: sequestrano i sacchi a pelo, fanno sparire zaini e coperte disdicevoli agli occhi di chi esce dal teatro dorato del melodramma. Solo i francescani aprono un vecchio asilo, la loro carità li salva. Un giornalista non dovrebbe mai parlare di altri giornalisti, anche perché i più deboli trasferiscono le bandiere e non si sa mai dove sono finiti e quanto galleggeranno nella nuova dimensione prima dell’ultimo trasloco di convenienza. Alle volte è impossibile leggere e tacere. Non solo la xenofobia a puntate del Giornale e della Padania. La meraviglia è la scrittura di Alberto Ronchey. Nel Corriere della Sera ricorda < Mailji >, commedia musicale tzigana andata in scena a Mosca. Romanticismo di balli e violini. Ricorda il Montanelli 1939: durante la guerra in Albania è ospite dei rom in un carrozzone rom. < Ma gli zingari non vollero né poterono integrarsi nelle nazioni che li ospitano …> . In ogni paese del mondo l’insicurezza delle città viene usata come arma politica dalle opposizioni: da Los Angeles ai maras del Centro America, ranchons venezuelani, favelas di Rio, villas miserias argentine. Per non parlare delle baraccopoli dell’Africa e dell’Asia dove mafie e guerriglie divorano le nuove generazioni. Debolezza dell’ultimo governo: come mai i governi prima non si sono accorti di niente ? Questa volta sono i rom sul banco degli imputati. Rom che Hitler aveva bruciato nei forni come gli ebrei. Rom che i paesi socialisti hanno ridotto alla schiavitù, servi della gleba moderni. Adesso che la Romania fa parte dell’Europa civile possono prendere il largo senza tribolazioni portandosi dietro furbizie e trasgressioni, pedagogia imparata per sopravvivere in qualche modo. Ecco l’allarme:invadono l’ Italia. Nelle loro tribù vivono ladri, truffatori, ubriachi, qualche assassino. Appostati ai semafori infastidiscono le automobili delle nostre città dove non esistono ladri, imbroglioni, assassini, pedofili o mariuoli. Italiani immacolati, loro criminali. Per spiegare la spirale del pregiudizio voglio raccontare una storia. Otto anni fa l’Europa era in subbuglio per < l’ultimo muro della vergogna > in costruzione a Usti Nad Labem, repubblica Ceca, porto sull’Elba che scende ad Amburgo. Divideva la gente normale dalle case popolari sfarinate dall’abbandono; case per rom stabilizzati dal regime in ogni paese comunista. L’ingegner Micoslav Arcink, sindaco di Usti, si alza dalla poltrona per spiegare sulla mappa ( con l’entusiasmo di un progetto che gli è venuto bene ) cosa il muro vuol chiudere dentro, e cosa il muro vuole liberare fuori. < Sarà il muro della pace…>. Contro quale guerra ? Gli chiedo se è proprio necessario dividere la gente con un muro. < La gente vuole il muro per non sopportare gli odori e i rumori dei rom. La persone perbene hanno raccolto tanti soldi per costruire il muro e io lo costruirò. Lo pretendono nonne a spasso col cane, signori che sfogliano il giornale sulle panchine e ragazze davanti alla porta della scuola. Hanno risposto con garbo e un’ombra di bontà ma una decisione le accomuna: vogliono il muro per cancellare il fastidio di quella gente. Nessuno li chiama ‘ zingari ‘ o ‘ rom ‘. Per loro sono ‘ negri ‘, insomma, diversi. Negri che disturbano. Negri che trasformano le case in pattumiere. Negri ladri. Negri che fanno tanti figli. Nel 2015 la tribù dei negri soffocherà la tribù bianca. Forse il muro è troppo, brontolano. Ma bisogna fare qualcosa: mandiamoli in posti lontani dai nostri confini. La parola negri non vale per i rom integrati. Purtroppo la maggioranza di loro è allo sbando. Siamo vittime di un’invasione, non è razzismo ciò che stiamo preparando >. Ma cos’ha fatto, signor sindaco, per integrarli ? < Qualcosa ho fatto…>. In fondo alle strade, verso il porto, le gru aspettano le navi che salgono da Amburgo. Sarà un muro alto tre metri ? < Credo proprio di si >, malinconia della ragazza seduta davanti al computer tre stanze dopo la stanza del sindaco. Eva Bajgerova, consigliere comunale, ha l’incarico di affrontare i problemi rom. Eleganza in grigio. Se a Milano passa per via della Spiga e a Roma in via del Corso può essere scambiata per una bella signora del sud. 34 anni, due figli che studiano lingue e musica; un marito zingaro come lei. Padre zingaro slovacco: scavava carbone in miniera negli anni di Stalin. Fa sapere che la madre era diversa perché < nata in una casa di mattoni >. Arrivano a Usti, terra dei sudeti, appena finisce la guerra. Nel ’39 Hitler aveva sfondato la frontiera per liberare i sudeti, popolazioni di lingua tedesca, come è successo nel Sudtirolo o Alto Adige. Quando Berlino cade i sudeti scappano in Germania svuotando i cimiteri: portano via anche i morti. Lasciano case vuote; industrie e campagne senza braccia. Quarant’anni dopo la Jugoslavia di Pristina e della Bosnia rivive la stessa tragedia. E arrivano le carovane degli zingari slovacchi. Madre e nonna di Eva a servizio nelle famiglie borghesi. < Pochi spiccioli, appena per mangiare >. Il padre continua a scavare carbone. Zii e cugini puliscono le fogne. Tutto come prima. Anche nell’ Europa dei nostri giorni i lavori ingrati che i padroni di casa rifiutano toccano a loro. Analfabeti ma con la dignità delle musica che portava i fili di seta dei violini tzigani nei caffè di notte e nelle osterie della domenica: < Dovete studiare >, voce dei padri che tormentavno i figli. < Le vostre mani non possono diventare come le nostre >. Eva studia. Una maestra < bianca > ne scopre il talento. Vorrebbe fare l’avvocato ma per cinque volte l’università di Praga non accoglie la domanda d’iscrizione. < Il numero chiuso si imbottiva di figli del partito. Noi rom eravamo e siamo la peste >. Diploma di assistente sociale ma appena Mosca crolla scopre che l’emarginazione continua: < Una volta eravamo comparse invisibili, oggi siamo immondizia da buttare nel fiume >. Se Hitler aveva bruciato nei lager una generazione di rom, l’impero di Mosca li aveva ridotti all’apartheid: negri come in Sudafrica. Appena l’impero si scioglie, i rom trovavo nel presidente Havel ( che l’impero perseguitava ) un signore consumato nell’esercizio della furbizia. < Ricominciate coi vostri violini, lavorate ferro e rame, allevate cavalli, tornate alla tradizione. Noi vi daremo una mano >. Da principio si sono commossi, ma subito hanno capito il trucco che li spingeva fuori dalla società nel nome di un liberismo che non li contemplava. Adesso sono fuori da tutto, senza lavoro, case blindate come bunker. La storia del muro di Usti Nad suscita il sospetto di una speculazione immobiliare che il primo cittadino ingegnere sta disegnando. Gli zingari non resistono sepolti dietro qualcosa. Figli del vento inurbati, ma pur sempre figli del vento. Impacchettarli vuol dire farli scappare. Ed è il progetto che il sindaco esibisce con orgoglio: prevede uffici per un’impresa tedesca di prodotti elettrici, uffici per la nuova società incaricata da Praga di trasformare il porto sul fiume in un porto quasi di mare. < Spazio strategico per lo sviluppo della città. Spazio che loro hanno trasformato in cloaca. Vada a vedere come hanno ridotto le case popolari e capirà. Le consiglio di guardarle da lontano. Se sale certe scale torna con le tasche vuote. Mani lunghe …>, e ride ammiccando. ( Mentre scrivo a Bombay stanno lottizzando una bindoville di 214 ettari: palazzi di lusso, 300 mila straccioni spazzati dalla polizia: gli affari sono ovunque gli stessi ). Vado a vedere. Palazzoni rom con acqua fredda, una stanza per famiglia come a Soweto- Johamnesburg, anni sessanta. Nella lavanderia c’è la doccia calda, turni per 250 persone. < Purtroppo l’ ho dovuta chiudere >, sospira il sindaco-ingegnere. < Pagavano in ritardo >. Costretti a lavarsi nel gelo quando fuori fa meno 18. Cortili di erbacce. Scale pestate da qualcosa che sembra un piccone: gradini malfermi, ringhiera legata con fili di ferro. Palazzi in rovina, ma la rovina riguarda le parti comuni che il municipio dovrebbe conservare. Sembra l’Italia sfinita del neorealismo. Ma appena si apre la porta di ogni monolocale, la lebbra del palazzo sparisce. La volgarità rom diventa la delizia di una piccola borghesia eccentrica negli arredi, ma bene ordinata, tende immacolate, letti che sembrano pettinati dalla mano di una governante. < Hanno le loro colpe, ma non sono le colpe che qualcuno butta addosso >. Sospiro di Eva che mi accompagna. Sulla strada del ritorno a Praga attraverso Terezin. Non solo lager dello sterminio nazi, ma campo deputato alla tortura. Gli stivali di Hitler fucilavano i sopravissuti contro i bastioni della fortezza. Al centro del campo dei morti, due segni ricordano i perseguitati: stella degli israeliti e croce con corone di spine. Sulla porta del museo uno striscione si illude: < il razzismo è sepolto per sempre a Terezin >. Chi l’ha scritto non sospettava che il razzismo stava scivolando nei paesi attorno, duecento, cinquecento, mille chilometri, felici città del Sud. Terezin non è proprio morta. mchierici2@libero.it Cortesia dell'Unità

COMMENTI

6 Ottobre 2007 12:32

NO ...E' MEGLIO NEANCHE PENSARCI AD AZIONI MILITARI CE NE SONO ANCHE TROPPE IN GIRO PER IL MONDO ... LA BIRMANIA E' UNO DEI TANTI PAESI INFELICI DEL PIANETA ,LA PRESSIONE MEDIATICA , L' ONU , RENDERE IMPRESENTABILI QUESTE DITTATTURE E' L' UNICA VIA . SE SI FOSSE SCELTA LA STESSA STRADA CON SADDAM E I TALEBANI ,TUTTO QUELLO CHE E' SUCCESSO NON SAREBBE AVVENUTO E IRAKENI E AFGANI STAREBBERO MEGLIO. E ANCHE GLI AMERICANI CHE HANNO AVUTO 30MILA TRA MORTI E FERITI PIU' IL DANNO ECONOMICO DEL MATENIMENTO DI TRUPPE , MA SE NE FREGANO HANNO IL DEBITO PIU' ALTO DEL MONDO ...... LA STESSE PELOSE "PEACE KEAPING" IN COSSOVO AD ESEMPIO ANBCHE LI' HANNO PRODOTTO POCO ... L' OCCIDENTE PORTA SOLDATI MA NON SOLDI ,E LA GENTE STA' PEGGIO ,QUINDI L'INTERVENTO "UMANITARIO " SI CRONICIZZA ALL ' INFINITO ..... E CI COSTA ANCHE A NOI PER LE PAGHE AI SOLDATI PIU' TUTTI QUELLI CHE SI SONO AMMALATI PARE CHE CE NE SIANO 400 CON TUMORI E LEUCEMIE PER AVER OPERATO SENZA PROTEZIONI DAll ' URANIO IMPOVERITO - MA ..AIME' ..NON C'E PIU' UN PENSIERO ..FORTE E DIVERGENTE .COSI' NON SI MUOVE FOGLIA ,SUL PIANETA , CHE ..IL CAPITALISMO GLOBALE E DI RAPINA ..NON VOGLIA sogno www.ilsognochecontinua.it

sogno

4 Ottobre 2007 02:37

E perchè non interviene nessuno militarmelmente? Le risoluzioni ONU,L'Isaf,gli gli Usa, insommma l'alleanza Atlantica. Abbiamo ancora paura della Cina incivile e capitalista e non più comunista ?e della Russia capitalista e incivile e non più comunista?o non ci sono risorse energetiche e di mercati da speculare?in Birmania. Totale silenzio sula dittatura Birmana. Ai media occidentali non interessa, tranne qualche osservazione di routine contro i diritti civili e la condanna dei militari Birmani.Solo ROUTINE DELL'INFORMAZIONE. Bisogna intervenire militarlmente per mandare a casa la dittatura fascista dei militari birmani.

pierluig dattis

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