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23 Maggio 2007 17:40

Una Mostra ricca di storia, di gloria, di novità

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di Maria de Falco Marotta & Team

Anche se la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il 6 agosto di quest’anno compie 75 anni, pare proprio che per lei il tempo non trascorra così in fretta, visto che proprio quest’anno che festeggia il suo Giubileo, presenta delle novità eccezionali. La più notevole, secondo noi, è che la Giuria Internazionale di Venezia 64 sarà composta interamente di registe e registi. A presiederla è stato chiamato il cineasta che, nella storia della Mostra, ha vinto il più alto numero di premi maggiori, affermandosi così tra i protagonisti del cinema mondiale, il regista cinese Zhang Yimou. Quattro volte in concorso alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica - nel 1991 con Lanterne rosse (Da hong deng long gao gao gua), nel 1992 con La storia di Qiu Ju (Qiu Ju da guan si), nel 1997 con Keep Cool (You hua hao hao shuo) e nel 1999 con Non un di meno (Yi ge dou bu neng shao). Vincitore di due Leoni d’Oro, rispettivamente nel 1992 e nel 1999, un Leone d’Argento nel 1991 e una Coppa Volpi per la migliore interprete femminile (Gong Li, sempre nel 1992 per La storia di Qiu Ju), Zhang è l’unico regista al mondo ad aver vinto tutti i premi più importanti della Mostra del Cinema in meno di dieci anni. Noi lo conosciamo bene. I suoi film sono stati delle scoperte meravigliose per gli occidentali e gli incontri con lui ed i suoi interpreti, una fonte di arricchimento umano e culturale, proprio quello che si va predicando da parecchio circa l’interculturalità. E’ un piacere vitale assistere ad un suo film e ricordiamo con emozione i lunghi battimani che hanno accompagnato la visione di Lanterne rosse, La storia di Qiu Ju e Non uno di meno. Fu meno capito Keep Cool che raccontava di una Cina moderna, ancora lontana dal nostro immaginario. Successivamente, ha girato La locanda della felicità, Hero, La foresta dei Pugnali Volanti, Mille miglia…lontano, La città proibita (Mancheng jindai huangjin jia), una tragedia epica ambientata nella Cina della dinastia Tang, che vede come protagonisti due degli attori cinesi più celebri in patria e all’estero: Gong Li, che a distanza di dieci anni torna a lavorare con il regista, e l’hongkonghese Chow Yun Fat. Il film, che uscirà nelle sale in Italia il 25 maggio, funziona tanto come grande spettacolo che come metafora politica dell'equilibrio precario fra le vecchie e nuove generazioni dei detentori del potere centrale in Cina. Zhang, infine, è tra i 35 registi chiamati da Gilles Jacob a realizzare ciascuno un episodio di 3 minuti che farà parte di Chacun son cinéma, il film-evento con cui il Festival di Cannes, più giovane della Mostra di quindici anni, ha deciso di festeggiare quest’anno il proprio sessantesimo compleanno. Quello di Venezia, in ogni caso, é il più antico festival del mondo. Assieme alla Mostra, nasceva in quei mesi uno tra i protagonisti del Cinema Moderno: Alexander Kluge, padre del Giovane Cinema Tedesco (iniziatore del Manifesto di Oberhausen) e vincitore di due Leoni d’oro e di un Leone d’argento. Kluge ripercorrerà con un programma speciale gli ultimi 75 anni di storia del cinema attraverso la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. In occasione della 64. edizione della Mostra (29 agosto-8 settembre 2007), diretta da Marco Müller e organizzata dalla Biennale di Venezia presieduta da Davide Croff, il regista tedesco presenterà materiali e documenti, per gran parte inediti e addirittura realizzati per l’occasione. Tra le unità di base di questi programmi verranno presentati gli Ein-Minuten-Filme, mini-film di sessanta secondi che Kluge ha realizzato negli ultimi quarant'anni, soprattutto per la televisione tedesca ZDF e per quella svedese SVT. Il regista che sarà presente a Venezia, ha ripensato proprio per questo specialissimo Festival di cui non esistono uguali in nessuna parte del mondo, la storia morfologica del cinema e delle altre arti: il sostrato fertilissimo che si è originato dal continuo smottamento tra giacimenti culturali contigui e, in particolare, il rapporto tra cinema, arti visive, musica e opera lirica. Anche Alexander Kluge è stato uno dei cineasti più premiati nella storia della Mostra di Venezia. Oltre al Leone d’argento - Premio Speciale della Giuria ottenuto nel 1966 col suo primo lungometraggio, Abschied von gestern (La ragazza senza storia), e al Leone d’oro nel 1968 per Die Artisten in der Zirkuskuppel: ratlos (Artisti sotto la tenda del circo: perplessi) - ultimo riconoscimento assegnato dalla Mostra prima della lunga interruzione scaturita dalla situazione politica e culturale della contestazione – Alexander Kluge è stato uno dei registi insigniti nel 1982 del Leone d’oro alla carriera del Cinquantenario. Chi é Il Leone d’Oro del ’68, Alexander Kluge è nato 75 anni fa, il 14 febbraio 1932 a Halberstadt (Germania). Scrittore, avvocato (ha studiato legge, storia e musica sacra) è considerato il padre del Giovane Cinema Tedesco (Junger Deutsche Film) per il suo ruolo di promotore principale del Manifesto di Oberhausen – il celebre documento del 1962, firmato da 26 autori tedeschi, in cui si auspicava la rinascita in Germania di un cinema nuovo e libero nelle idee e nel linguaggio. Attivo dal 1958 come assistente alla regia di Fritz Lang durante le riprese di Der Tiger von Eschnapur (La tigre di Eschnapur), dal 1962 direttore dell’Institut für Filmgestaltung di Ulm - prima scuola di cinema della Germania Ovest, istituita proprio a seguito del Manifesto di Oberhausen - Kluge è stato sin dal suo primo lungometraggio uno tra i protagonisti del rinnovamento della Mostra di Venezia, dove è stato presente con suoi film per cinque volte, e dove i riconoscimenti ottenuti ne fanno uno dei cineasti in assoluto più premiati. Ha ottenuto il Leone d’Argento - Premio Speciale della Giuria nel 1966 già col suo primo lungometraggio, Abschied von gestern (La ragazza senza storia), e il Leone d’oro nel 1968 con Die Artisten in der Zirkuskuppel: ratlos (Artisti sotto la tenda del circo: perplessi). Nel 1971 Kluge ha presentato a Venezia Der Große Verhau, un film di fantascienza dove trasferisce nella società futura il senso contemporaneo del caos. Nel 1974 ha presentato, come opera perno della sezione Donna e Cinema, il celebre Gelegenheitsarbeit einer Sklavin (Le occupazioni occasionali di una schiava, la cui protagonista, una giovane donna sposata, conduce una solitaria battaglia femminista tra l’indifferenza della società e l’ostilità delle istituzioni. Nel 1983 è tornato in concorso a Venezia con Die Macht der Gefühle (La forza dei sentimenti), film saggio in 12 capitoli, dove si fa uso di materiali audiovisivi di varia origine. Negli anni ’70 ha inoltre diretto un secondo film di fantascienza Willi Tobler und der Untergang der 6. Flotte (Willi Tobler e l’annientamento della VI flotta, 1972), In Gefahr und größter Not bringt der Mittelweg den Tod (Quando un grave pericolo è alle porte le vie di mezzo portano alla morte, 1974), Der Starke Ferdinand (Ferdinando il duro, 1976), e Die Patriotin (La Patriota, 1979) attraverso i quali ha criticato la Germania neocapitalistica ancora imbevuta di pericoloso autoritarismo. Verso la fine degli anni ’70 ha coordinato l’avventura politica collettiva di Deutschland im Herbst (Germania in autunno, 1978), co-diretto da Alf Brustellin, Hans Peter Cloos, Rainer Werner Fassbinder, Beate Mainka-Jellinghaus, Maximiliane Mainka, Edgar Reitz, Katja Rupé, Volker Schlöndorff, Peter Schubert, Bernhard Sinkel. Negli anni ’80 dirige Der Angriff der Gegenwart auf die übrige Zeit (L'assalto del presente al resto del tempo, 1985), con il quale ha confermato il suo stile scabro ed aggressivo, e Vermischte Nachrichten (1986). Nel 1985, inoltre, insieme a Edgar Reitz ha diretto una serie televisiva dedicata alla storia del cinema, in 4 puntate. Dal 1988 è autore di numerosi programmi televisivi culturali per i canali tedeschi RTL e SAT 1. E’ anche romanziere e scrittore-saggista politico e filosofico: Öffentlichkeit und Erfahrung, 1972 (Sfera pubblica ed esperienza, Milano 1979); Der Unterschätzte Mensch (2001); Chronik der Gefühle (2000), Die Lücke, die der Teufel lässt (2003), Tür an Tür mit anderem Leben (2006). Il suo nuovo libro è fatto di “storie del/di cinema”: Geschichten vom Kino (2007). Altro “piatto forte” della 64. ma Mostra sarà la quarta puntata di: Storia segreta del cinema italiano. E cosa scegliere se non il Western all’italiana? Nel quadro delle Attività permanenti e dei giacimenti culturali riscoperti e restaurati, la scelta del Western all’italiana rappresenta la continuazione ideale del lavoro sulla Storia segreta del cinema italiano, iniziato nel 2004, e che, per tutto l’ultimo quadriennio, ha rilanciato con successo il recupero del cinema italiano invisibile, accanto alle iniziative parallele della Storia segreta del cinema asiatico nel 2005 e della Storia segreta del cinema russo nel 2006. L’evento Western all’italiana - Storia segreta del cinema italiano 4 sarà curato da Marco Giusti e Manlio Gomarasca, con L’Officina Filmclub (Paolo Luciani e Cristina Torelli), e in collaborazione con i principali studiosi italiani e stranieri del cinema di genere, e prevede la proiezione alla 64. Mostra di 40 lungometraggi, selezionati in base al rapporto tra grande importanza e alta invisibilità: film invisibili da almeno un decennio, restaurati e ricostruiti nella loro versione integrale. “Padrino” di questa iniziativa sarà – come fu per la prima edizione della Storia segreta del cinema italiano del 2004 – il cineasta statunitense Quentin Tarantino, profondo conoscitore ed estimatore del nostro cinema. Saranno presenti a Venezia, accanto a Tarantino, registi, produttori, attori, sceneggiatori, direttori della fotografia e cascatori. Il fascino degli “spaghetti western”, il nostro “western all’italiana”, a oltre quarant’anni dall’uscita di Per un pugno di dollari di Sergio Leone, non sembra diminuire, considerando gli omaggi che registi diversi come Tarantino, ma anche Martin Scorsese, Johnnie To, John Woo gli hanno recentemente dedicato nei loro film. Gli “spaghetti western” sono i film che più hanno influenzato l’immaginario del cinema popolare mondiale negli ultimi decenni, e hanno costituito una delle più importanti correnti di “Nuovo Cinema” (e di cinema politico) che l’Italia abbia conosciuto. L’omaggio della 64. Mostra al Western all’italiana non si esaurisce con la retrospettiva della Storia Segreta del Cinema Italiano 4: come accaduto nel 2006 con Exiled di Johnnie To e Summer Love di Piotr Uklanski, molti saranno gli echi contemporanei e inediti degli “spaghetti western”, presenti anche quest’anno, in prima mondiale, nelle diverse sezioni della Mostra. Le sorprese, in questo senso, non mancheranno e testimonieranno l’influenza ancora viva del “western all’italiana”, genere infinito e senza tempo, su molti cineasti di diversi continenti. E’ noto che tra i registi preferiti da Quentin Tarantino figurano molti italiani. Il regista, sceneggiatore, attore e produttore cinematografico statunitense è un fervente ammiratore del cinema di Sergio Leone, a tal punto da inserire nei titoli di coda dei suoi recenti successi Kill Bill vol. 1 e Kill Bill vol. 2, una dedica speciale al maestro italiano - come ha fatto anche Clint Eastwood ne Gli spietati (Unforgiven, 1992) - ma è anche un profondo conoscitore e appassionato “fan” dei film di Giorgio Stegani, Franco Rossetti, Ferdinando Baldi, Enzo G. Castellari, Nando Cicero, Sergio Corbucci, Giuseppe Rosati, Giancarlo Santi, Duccio Tessari, Giulio Petroni, Sergio Sollima, Giorgio Ferroni. Il suo cinema è ricco di omaggi e riferimenti più o meno coperti ai western all’italiana. Ha più volte dichiarato che il suo film preferito è Il buono, il brutto, il cattivo di Sergio Leone, e ha suggerito all'amico Robert Rodriguez il nome dell'episodio finale della trilogia di El Mariachi, C'era una volta in Messico (Once Upon a Time in Mexico,2003), ennesimo omaggio a Leone. Ma, in generale, tutti i film della trilogia pulp che Tarantino ha sceneggiato (Una vita al massimo - True Romance, 1993; Le Iene - Reservoir Dogs, 1992; Pulp Fiction, 1994) hanno un finale con un “triello”, un classico che Tarantino sperava di usare da quando vide per la prima volta Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone. Non c’è solo Sergio Leone nella lista degli “spaghetti western” più amati da Quentin Tarantino. Lo sapevamo da tempo. E Venezia rispetterà le sue preferenze, visto che sono le preferenze anche di chi è cresciuto con gli “spaghetti western” al tempo, vedendoli in sala giorno per giorno. Così Venezia presenterà i suoi autori western di culto, a cominciare da quelli più noti, come Sergio Corbucci, con il formidabile Navajo Joe con Burt Reynolds (Tarantino gli mette tre asterischi) e I crudeli con Joseph Cotten, Sergio Sollima, con La resa dei conti con Tomas Milian e Lee Van Cleef, ed Enzo Castellari con Keoma. Ma anche quelli già “riscoperti” e omaggiati in Kill Bill vol. 1 e Kill Bill vol. 2, cioè il Giulio Petroni di Da uomo a uomo, con John Philip Law e Lee Van Cleef (tre asterischi per Tarantino), e il Giancarlo Santi di Il grande duello, un film invisibile da anni in Italia, con Lee Van Cleef e Alberto Dentice (giornalista dell’Espresso nel suo unico ruolo da protagonista col nome di “Peter O’Brien”), e con la grande musica di Luis Bacalov e dell’appena scomparso Sergio Bardotti. Ma troviamo anche autori e titoli meno noti, ma di grande interesse, tra gli spaghetti western preferiti da Tarantino. A cominciare da El desperado di Franco Rossetti, già sceneggiatore con Piero Vivarelli di Django di Sergio Corbucci, qui nel suo unico western da regista, che Tarantino segnala con ben tre asterischi, The Bounty Killer di Eugenio Martin, il primo western con Tomas Milian protagonista in un ruolo di cattivo tormentato (anche qui tre asterischi, segnalato da tutti come un film da riscoprire, ma già allora era molto considerato in Spagna), Prega il morto e ammazza il vivo di Giuseppe Vari con Klaus Kinski, Quel caldo maledetto giorno della resa dei conti di Paolo Bianchini con Robert Woods, Preparati la bara di Ferdinando Baldi con Terence Hill (già riscoperto musicalmente l’anno scorso dal successo Crazy degli Gnarz Barkley), Professionisti per un massacro di Nando Cicero con George Hilton, i superclassici con Giuliano Gemma, Una pistola per Ringo di Duccio Tessari e Un dollaro bucato di Giorgio Ferroni. Dedicata a Tarantino anche la riscoperta del più violento western mai fatto, Condenados a vivir di Josè Romero Marchent con l’italianissimo Robert Hundar (Claudio Undari). Non ci resta che aspettare che la Mostra apra i suoi battenti per goderci, finalmente, del buon cinema, di quello che fa pensare e divertire.

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