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10 Maggio 2007 09:25

E se gli Usa cambiassero nome ?

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di Maurizio Chierici

Se la Francia ha il presidente nuovo, gli Stati Uniti devono inventarne uno: Bush non c?è più. Escluso perfino dall?elenco dei 100 uomini che contano nel mondo. Sembra uno scherzo: chi guida la superpotenza non conta niente. Bush in caduta libera: 28 per cento di gradimento. Mai un capo di stato era scivolato tanto in basso, perfino più in basso ( qualche decimo ) del Jimmy Carter colpito a tradimento nel 1979 mentre si impegnava a contenere la scalata di Reagan. Il sequestro dei diplomatici Usa nell?ambasciata di Teheran e il fallimento del blitz che doveva liberarli ( sospetti di un sabotaggio Cia ) lo ha messo al tappeto. E Reagan ha vinto a mani basse. Ma i problemi lasciati da Carter rimpiccioliscono se confrontati ai disastri dell?eredità Bush. A parte un debito estero mai sopportato dagli Stati Uniti, gli errori degli ultimi anni mettono in discussione l?architettura finanziaria che ha permesso al grande paese di controllare il mondo, America Latina, soprattutto. Banca Mondiale e Fondo Monetario sono alle corde. Casse vuote. Rosso profondo che umilia un potere assoluto fino a qualche anno fa: prestiti a paesi sciuponi o corrotti o tormentati da inquietudini endemiche, obbligavano al rigore di politiche economiche manipolate a Washington perché Fondo Monetario e Banca Mondiale sono controllate dalla Riserva Federale degli Stati Uniti. Buona parte delle 186 nazioni associate al Fondo imploravano prestiti concessi con la mano dura di chi voleva essere sicuro del pagamento degli interessi e, nello stesso tempo, legare ogni strategia alle convenienze della Casa Bianca. Circuito non virtuoso che ha stremato regioni africane e latine ricche di risorse naturali; miniere, petrolio e colture in ostaggio come garanzia. La disattenzione dell?amministrazione Bush e l?ossessione del petrolio iracheno, hanno sgretolato due istituzioni inossidabili. Un comunicato del dipartimento finanziario Usa fa capire come l?allarme abbia superato ogni pessimismo. Invita a ridimensionarne le strutture: gnomi dal potere implacabile costretti a fare le valige. Buona parte dei debitori si è liberata della tutela restituendo i prestiti, soprattutto nell?America Latina dove Chavez fa concorrenza al Fondo e alla Banca Mondiale anticipando petrodollari ai paesi indebitati. I quali hanno liquidato le pendenze evitando gli interessi da usura del Fondo e della Banca Mondiale e riguadagnando l?indipendenza politica che permette libera scelta delle alleanze economiche a capi di stato fino a ieri sotto tutela. Senza il Consenso di Washington era impossibile sopravvivere. Argentina, Brasile, Uruguay, Bolivia, naturalmente il Venezuela, ma anche Ecuador e Nicaragua oggi cominciano a decidere da soli. Ultimo colpo la Russia di Putin: ha chiuso i conti, non le servono altri prestiti. Per quanto tempo non si sa, ma per il momento l? aria è cambiata. E i due istituti in affanno sono obbligati ad invocare l?assistenza finanziaria della banca JP Morgan ?Chase e della riserva federale degli Stati Uniti. Servono 165 milioni di dollari nel 2007; 220 milioni nel 2008; 270 nel 2008; 400 milioni nel 2010. Per restare a galla vendono l?oro di riserva, ma 7 miliardi di dollari non sembrano sufficienti a mantenere lo standard. Anche perché ultimi clienti di peso restano Turchia e Ucraina, in ritardo nel pagamento delle rate. Ma la Casa Bianca di Bush è distratta da altri pensieri: deve vincere la guerra irachena e non potendo sfidare l?opinione pubblica con l?invio di truppe ufficiali, allarga gli eserciti ombra dei mercenari, o contractors, come il perbenismo delle multinazionali preferisce definirli. Macchine umane senza nome, nessuna pensione e quando muoiono non sono mai esistiti: gli elenchi delle vittime non li contemplano. Nessuno sa cosa fanno e dove sono in Iraq o in altri posti. Che a Bagdad vada male lo si capisce non solo dai bollettini Tv, ma dai reclutamenti che la Black Water sta tentando in America Latina. Difficile, ormai, trovare contractors dal passaporto stelle e strisce. Perfino gli immigrati latini che accettavano l?ingaggio con la speranza di strappare la cittadinanza nell? America dove trovano il pane, anche loro rifiutano il rischio e la Black Waters batte altri paesi. Mille uomini reclutati dall?inizio dell?anno in Uruguay, Colombia, Ecuador e Honduras. Proprio nella base Usa dell?Honduras c?è un campo di addestramento rapido: dopo una settimana i neofiti volano a Bagdad. La paga del mercenario non ricorda la paga del primo Iraq: i 7 mila dollari al mese restano un sogno. Promettono 4 mila dollari, ne pagano mille. Il resto al ritorno, se tornano. Con la vittoria dei Democratici e il loro mettere il naso nelle spese, ha consigliato la Black Water a non far passare le reclute dai poligoni di Moyok, Nord Carolina, tre mila ettari dove sono possibili manovre talmente perfette da accogliere marines in divisa, Dipartimento di Stato che paga. Anche l?Halliburton del vice presidente Cheney ormai non trova mercenari affidabili per proteggere la zona verde dei comandi e delle ambasciate di Bagdad. Se l?amministrazione Bush ha esasperato la tendenza ad usare truppe senza nome, anche l?amministrazione Clinton si era rivolta ad un?altra agenzia ?Mpri ? per addestrare < volontari croati > nella guerra contro i serbi, anni ?90, ex Jugoslavia che bruciava. Questa la vecchia America, clientelismo, intrighi e conflitto d?interessi di un secolo fa: Bush ne conclude la decadenza. Nei preamboli ancora morbidi della corsa elettorale si sente la voglia di cambiare le vecchie facce, soprattutto i soliti nomi. Forse non arriverà al match finale con Rudy Giuliani, unico repubblicano sul quale i conservatori distrutti da Bush in questo momento possono contare, ma Barack Hussein Obama resta un protagonista che dà forza alla speranza di un ritorno alla democrazia ormai ingrigita. Nessun legame con nessun passato. Se si votasse saltando il filtro delle primarie, l?avvocato dei Democratici di Chicago, senatore a Washington, vince su Giuliani 44 a 42. Travolge anche Hillary Clinton ? 40 a 18 -, mentre Hillary in affanno non riesce ad accodarsi a Giuliani. Solo sondaggi che la concretezza delle primarie è destinata a deprimere con lobbies collaudate, interessi radicati. Difficile uscire indenne dalle convections. Eppure l?ottimismo di chi ne sposa la causa non si arrende. Cambiano campo ex collaboratori del Clinton presidente: a Hillary < insopportabile > preferiscono Obama. Anche Hollywood è divisa. Lo spiegano con un desiderio: l?America delle libertà vuol ricominciare con una democrazia che non somigli alla democrazia in scatola espressa per quarant?anni da due famiglie; due, su 190 milioni di famiglie americane. Famiglia Bush, famiglia Clinton. Perché se Hillary torna a Washington sommando le proprie presidenze a quelle del marito, allunga il potere dei Clinton a sedici anni. Solo le monarchie, ( quando contavano ) offrivano la continuità dell?agitarsi attorno al trono a cortigiani, confraternite, amici, cerchie immutabili che dominavano ogni interesse. Ai sedici anni possibili della famiglia Clinton si aggiungono i vent?anni di potere della famiglia Bush. E il destino degli Stati Uniti, quasi il destino del mondo, per 36 anni è rimasto nelle mani di due mariti, due mogli e figli araldicalmente eredi alla Casa Bianca o parcheggiati nelle poltrone dei governatori. Familismo che fa impressione nel paese simbolo dell?uguaglianza tra cittadini. C?è da dire che la parabola del potere Bush è più larga di quanto appaia nelle cronache ufficiali. Prima di Bush padre contava Bush nonno, Preston Bush il quale a sua volta aveva un nonno materno all?origine della felicità della famiglia: Georges Herbert Walker amico di un finanziere tedesco scatenato sul mercato di New York per conto di Hitler. E la sua fortuna fino a quel momento benevola, é diventata clamorosa. Gli affari con Berlino volavano. Ma Prescot Bush erede di Walker nell?amministrazione della Union Banking si è trovato in imbarazzo nel 1942, dopo il bombardamento di Pearl Harbour: i capitali strategici dell?amico nazista dovevano essere congelati dall?entrata in guerra, ma un gioco di prestigio favorito dall?aiuto di un certo Alen Dulles, dribblano il provvedimento. Prescot riesce a far scivolare i milioni nella cassaforte dell?Union Banking, banca americana, quindi tutto in regola. Dulles avrebbe dovuto vigilare ma si è distratto. I sospetti restano, ma i sospetti non sono quotati in Borsa. Comincia la carriera politica di Prescot: l?anno dopo i repubblicani lo fanno senatore. Resta a Washington per dieci anni. Presenta il giovane avvocato Nixon alla nipote del presidente Eishenower. Regala a Nixon un cappello di Panama il giorno del fidanzamento e alla carriera dell?uomo che lascerà la Casa Bianca travolto dal Wastergate, Preston gli affida il figlio George le cui ambizioni erano provvisoriamente diverse: fare soldi, religione di famiglia. Con tanto denaro a disposizione, dopo la laurea Georges si era trasferito nel Texas per fondare una società petrolifera che ne moltiplica i capitali. Segue Nixon da lontano e da vicino. Per caso, quando sparano a John Fitzgerald Kennedy, Georges Bush e Nixon si trovano a Dallas < per ragioni d?affari >. Prendono aerei diversi nel ritorno a Washington, ma al procuratore che li interroga danno la stessa versione: hanno saputo della morte del presidente dallo stewart che versava l?aranciata. Bush entra alla Camera, finisce nella commissione sicurezza e si associa alla Cia. Un amico di famiglia, Vernon Walters, direttore della Cia per l?America Latina, si trova per caso a Santiago nei giorni del golpe di Pinochet. Pinochet non gli piace: Walters lo considera < stupido e poco puntuale > nel bombardare la Moneda dove resisteva il povero Allende. Bush, Walters e il generale Westmoreland devono averne discusso in un angolo del salone di Parigi dove Angela Westmoreland, figlia del comandante Usa in Vietnam, festeggiava il matrimonio con l?ingegner Hernardez, americano di origine argentina e apprendista Cia. Il Dipartimento di stato stava trattando coi Vietcong la fine della guerra. Nel ?76 Bush diventa direttore della Cia ereditando il leggendario ufficio del protettore Alen Dulles, amico del padre. L?anno dopo il partito repubblicano gli chiede di affiancare Ronald Reagan nella candidatura alla Casa Bianca: accanto al grande comunicatore serve la concretezza di un vice presidente che sa maneggiare i bottoni. Rifacciamo i conti: da quanti anni la famiglia Bush fa la storia degli Stati Uniti ? Più borghese la traiettoria dei Clinton, storia degli americani che si fanno da soli. Bill prende il cognome del padre adottivo, pochi soldi, amore per il saxofono. Conosce Hillary in biblioteca ma è così timido da non farle la corte e allora lei prende l?iniziativa: < Continuare a guardarci vuol dire non combinare niente >. Hillary diventa avvocato, difende i diritti delle donne, agita le università con Nixon presidente. Durante una gita universitaria alla Casa Bianca, Kennedy stringe la mano a Bill ed è il gesto che cambia la storia dei fidanzati. Storia lontana dagli intrighi dei Bush, ma se questa storia si allunga per 16 anni alla Casa Bianca, sgualcisce i principi della democrazia condivisa predicata da marito e moglie in ogni conferenza. Invece Obama è < nuovo >. Non solo per la faccia afroamericana di un bel ragazzo nato a Singapore da padre etiope, madre dalla pelle color latte; nuovo, perché sdegna il clichè compassionevole del nero o marron con diritto di protestare, perché nero e marron, quindi autorizzato a vivere da scontento. Osama non ci sta. Affronta i ragazzi di colore con la pedagogia sociale dell?obbedienza. Prima obbedire, poi protestare. Prima i doveri, poi i diritti: < Smettiamola coi piagnistei. Organizziamoci con l?allegria che il resto delle americhe ci invidia >. Non è solo una faccia senza passato, ha l?aria di una faccia che ha un futuro. Agli Stati Uniti farebbe bene uscire dal girotondo dei soliti nomi mentre l?ultimo Bush continua a rotolare. mchierici2@libero.it Cortesia dell'Unità

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