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29 Marzo 2007 12:36

Quanto consumano e dove va a finire l'acqua degli italiani

1501 visualizzazioni - 1 commento

di Maurizio Chierici

Per fabbricare il computer sul quale sto scrivendo servono 1500 litri d?acqua: lo spiega un rapporto alle Nazioni Unite del ricercatore tedesco Ruediger Kuehr. Tre bistecche di manzo hanno bisogno 13500 litri virtuali; 4600 litri un chilo di maiale, 1400 tre piatti di risotto, 100 litri due miccone di pane. Acqua vuol dire vita e domani è il giorno mondiale dell?acqua, giorno della vita, ma pochi ne terranno conto. Problemi che sembrano più urgenti occupano chiacchiere e pensieri eppure l?acqua è l?urgenza che incombe sui ragazzi che si affacciano. Non lo sanno o preferiscono non saperlo mentre la rete degli affari stringe interessi che cambieranno le abitudini di domani. Già succede nei posti meno fortunati. Il venti per cento dell?acqua che l?agricoltura beve nei paesi poveri viene esportata nei paesi ricchi sotto forma di alimenti ma anche di etanolo: adesso che il petrolio si esaurisce la benzina cresce nei campi. Più automobili, meno pane, soprattutto meno acqua da bere perché l?agricoltura beve tanto: l?acqua che consuma in Italia potrebbe soddisfare 540 milioni di persone, e siamo appena 60 milioni. Sta diventando la speculazione finanziaria consigliata dai gestori dei Fondi messi sul mercato da una banca svizzera, quattro anni fa. Hanno già raccolto 50 miliardi di euro. E le prospettive sono rosa. Perché i sei miliardi e mezzo di uomini e donne distribuiti nel pianeta ogni giorno aumentano: diventeranno 9 miliardi nel 2050. Fare pubblicità all?acqua diventa inutile: i clienti continuano a chiedere acqua per sete e comodità. Una fatica accontentarli. Chi paga non ha problemi, solo per il momento. Ma un miliardo di tasche vuote restano con la gola secca. 300 mila persone muoiono ogni giorno: devono accontentarsi di un? acqua fangosa, impestata dai disserbanti e il rubinetto in casa é la fata morgana che costringe 18 milioni bambine, africane e dell?Asia rampante, a trascurare la scuola, strumento indispensabile per capire e comunicare: l?obbligo del raccogliere l?acqua necessaria al menage della famiglia, chilometri a piedi ogni giorno, le tiene lontane dai banchi. I senza acqua diventeranno tre miliardi fra quarant?anni. Business fantastico. Noi dei paesi felici ne consumiamo 410 litri dal mattino alla sera: doccia, lavatrici, i fiori del balcone. Venti litri se ne vanno negli sciacquoni. In Italia ci accontentiamo di 250 litri al giorno. Come ogni paese industrializzato usiamo 3 milioni di litri cubi d?acqua, il più delle volte potabile, per fare arrivare alle scansie dei supermercati una tonnellata di alimenti: frutta, verdure, formaggi, salami. Non sempre si allunga la mano dei clienti: scadono e finiscono nelle eccedenze agricole che ingrassano i rifiuti. L? Italia non dovrebbe avere problemi. Nord e Centro ricchi; soffre il Sud ma non solo per le risorse esangui. Le riserve d?acqua italiane raccolgono 155 chilometri cubi l?anno. Un metro cubo vuol dire mille litri, 2 milioni e 700 litri a persona. Il calcolo è virtuale. Come abbiamo visto la quantità assegnata ad ogni individuo si aggiungono le necessità agricoltura, bacini idroelettrici, luce, Tv, computer, frigoriferi, lavatrici, senza contare le perdite delle reti di distribuzione, colabrodi da museo. Monumento dei colabrodi il leggendario acquedotto pugliese. Dalle fonti di Abruzzo, Campania e Basilicata porta acqua verso Bari e il tavoliere, sfiora il Salento: 543 milioni e 200 mila metri cubi, un mare d?acqua. Ma un mare che perde 305 milioni e 500 mila metri cubi l?anno, un po? si disperde nei furti, villaggi turistici dissetati da autobotti di provenienza incerta, soprattutto cola dalle strutture che non tengono più. Ecco perché le bollette di chi vive in Puglia pesano il doppio delle bollette di Milano: un euro e 30 anziché settanta centesimi al metro cubo. Eppure i rubinetti restano secchi ore e ore al giorno. < Tubature di carta velina >, è l?amarezza dell?ex onorevole Popolare, Antonio Lia, presidente dell?Aato, autorità d?ambito territoriale che riunisce 262 comuni dove vivono 4 milioni di persone. Non è facile seguire il groviglio burocratico che disperde l?acqua italiana. Comuni proprietari della rete di distribuzione; regione Puglia proprietaria dell?acquedotto, ente autonomo simbolo di un potere più concreto del potere delle autorità locali. < Ha ormai un secolo e per un secolo è stato vissuto come strumento di arricchimento. Si è arricchita l?Ansaldo che nel 1906 consegna l?opera alle autorità orgogliose. Si sono arricchite le imprese locali che l?hanno costruito, e per un secolo prosperano i dirigenti dell?acquedotto usato come strumento di potere. Prima di presentarsi alle elezioni, i politici pugliesi omaggiavano il presidente dell?acquedotto per averne la benedizione. E il presidente li costringeva a lunghe anticamere: tutti o quasi tutti, solo Aldo Moro non si mescolava. Nel 1916 Salvermini aveva già capito: ? L?acquedotto da più da mangiare che da bere ? >. Parole amare dell?economista Riccardo Petrella. Ha guidato un normale consiglio d?amministrazione provando a cambiare le regole dell? ente ereditato ( per decisione del governatore Nicki Vendola ) dall?amministratore unico Divella, signore della pasta e deputato An, figlio spirituale della Puglia dei fratelli Tatarella. Adesso Petrella lavora a Bruxelles, segretario generale del Comitato Internazionale del contratto mondiale dell?Acqua. Con Rosario Lembo, segretario italiano, partecipa all?assemblea dei cittadini eletti nei vari continenti e riuniti nella sede del parlamento europeo per chiedere alla Ue il ritiro delle 72 proposte di privatizzazione che la commissione di Bruxelles ha messo in programma. Petrella, Lembo e gli altri si battono per ottenere il riconoscimento giuridico dell?acqua nelle costituzioni di ogni paese. L?acqua deve restare bene comune dell?umanità. Niente società miste pubblico-privato. L?Europa già le proibisce, l? Italia dovrebbe adeguarsi; la richiesta della creazione di una Commissione Universale dell?Acqua presso le Nazioni Unite è il secondo passo che i guerriglieri dell?acqua vogliono fare. Chiedo ad Antonio Lia come mai troppi tubi restano di cartapesta: < L?Acquedotto Pugliese ha duemila dipendenti, e una sede che è un?opera d?arte >, liberty ritrovato negli anni venti, cortili con < giochi in chiaroscuro che suggeriscono l?immagine di uno stagno colpito, nel suo centro, da un sasso >. Il palazzo si affaccia nelle strade di Bari rappresentando la potenza < dell?opera sublime > costruita ottant?anni fa. Ma i tempi sono cambiati, la potenza langue: solo tre ingegneri progettisti vegliano sulla funzionalità dell?acquedotto. < Forse è dal 2001, 2002 che non investono nel rimodernamento delle strutture, eppure riscuotono 370 milioni di euro l?anno. Tempo fa, con Signorile ministro della Cassa del Mezzogiorno, si era progettato di raddoppiare la condotta che porta acqua dalla Balisicata a Taranto: 150 chilometri, appalto vinto da una società che fa riferimento a Caltagirone. Si è attrezzato un invaso fantastico, venti milioni di metri cubi. Inutilizzato. E il Salento e Taranto sono sempre sul filo della sete anche perché l?Ilva raffreda gli impianti della siderurgia con acqua potabile: cinquecentomila litri al secondo >. < Quand?ero presidente mi sono accorto che eliminare le perdite era un?azione complessa. Prima di tutto perché negli ultimi vent?anni l?acquedotto è stato disossato >, immagine catastrofica di Riccardo Putrella. < Via i grandi e piccoli ingegneri la cui scienza idraulica veniva visitata dagli inglesi desiderosi di imparare. Ma c?è anche un aspetto culturale che ha permesso la fuga dei cervelli: far capire ai pugliesi che l?acquedotto è un loro patrimonio, significa riportare il problema nell?arena politica della regione. Se ne sono dimenticati e nessuno ha davvero voglia di eliminare le perdite. Non solo buchi, anche le bollette in scadenza di chi non paga. Non pagano certe parrocchie per vecchi concessioni dei partiti, non pagano le forze armate, non ricordo se pagano le basi Usa, non pagano per protesta comuni ribelli: siamo proprietari dei tubi e non possiamo decidere niente sulla gestione dell?acquedot ? Interrogativi che non permettono di disegnare un futuro razionale. Bisogna prima capire come cambiare la gestione delle infrastrutture >. Le preoccupazione di Gianfranco Bologna, responsabile scientifico Wwf , partono da lontano: < Se non c?è la torta, inutile litigare sulla distribuzione fette: alla gestione pubblica o privata, alla popolazione civile o allo sfruttamento agricolo o industriale. Impegno primario resta difendere le falde ed impedire l?aggressione selvaggia alla natura >. E? preoccupato per l?indifferenza dei giovani: < La complessità dei meccanismi di comunicazione non fa loro percepire quale rischio li aspetta. In quale mondo vivranno fra dieci o vent?anni ? >. E le contraddizioni della burocrazia contribuiscono ad una paralisi dalla quale si esce solo < nella eccezionalità delle emergenze: inondazioni e siccità che si ripetono con cadenze sempre più ravvicinate. Eppure, superata l?emergenza, la rete di attenzione viene smontata fino a quando la crisi ricomincia >, pessimismo di Andrea Agapito Ludovici, responsabile acqua Wwf. Finalmente piove a Milano dopo l?inverno senza acqua. Comincia la primavera dalla nuvole generose, ma non basteranno a compensare il disastro dei mesi secchi. E l?estate annuncia problemi. In giugno e luglio l?agricoltura deve irrigare e le riserve sono poca cosa perché la neve non si scioglie: ne è caduta poca, la metà del 2003, e la primavera precoce l?ha già dispersa. Agapito Ludovici ripercorre le leggi che contribuiscono al disastro fino al testo maldestro del governo Berlusconi 2006: decentramento di funzioni già frazionate. Le regioni mantengono maggior potere sul piano acque con autorità di bacino svuotate, ed è una lotta paradossale tra soggetti nei quali in parte si raccolgono gli stetti protagonisti. Perché le autorità di bacino mescolano rappresentati regionali ai rappresentanti dei ministeri; assieme contrastano le decisioni delle regioni delle quali le stesse persone sono parte. Manca la regia di un coordinamento stabile: viene improvvisato solo nei casi di calamità affidate alla Protezione Civile. Pianficazioni affrettate dall?urgenza: siccità 2001, 2003, 2005, 2006. Quando la crisi é superata l?emergenza finisce: si staccano perfino i numeri verdi. Insomma non piove per mesi e le cadute furibonde concentrate in poche settimane non compensano i bacini vuoti e si disperdono in alluvioni. Come fare per non buttar via l? acqua e armonizzare le competenze ? Prendere nota degli esempi che vengono dagli altri paesi: le piene del Reno che hanno inondato mezza Europa hanno suggerito di ripristinare i bacini naturali impacchettati dalle canalizzazioni all?origine dei disastri. Tornano le paludi dove i fiumi si disperdono rallentando la foga e l?acqua non va perduta. In qualche modo succede nel Ticino mentre il Po sembra un?autostrada < che riesumando un progetto anni ?60 si pensa di renderlo navigabile con un?incidenza dello zero e qualcosa sul traffico merci, ma con conseguenze disastrose nell?inquinamento delle acque che nutrono gli acquedotti padani >. Anche i laghi devono fare i conti con burocrazie ed egoismi. I bacini idroelettrici rilasciano l?acqua solo quando l?estate minaccia coi sui black out condizionatori e frigoriferi. Prima no. E i laghi non sono bacini naturali anonimi. Garda, Maggiore, Como vivono anche di turismo e il turismo viene difeso dal marketing che seduce i vacanzieri, stranieri del nord, soprattutto. I panorami di quando aprono le finestre devono somigliare all?incanto promesso dai depliant. Non rive svuotate dall?acqua che si ritira. Dunque, intoccabile fino ai temporali d?autunno quando gli alberghi tornano vuoti. Ma l?agricoltura protesta e i rubinetti restano vuoti come attorno ai castelli romani, crisi idrica pesante. Si pesca ormai nelle falde profonde per un consuno aumentato vertiginosamente dal 1980 al 2001, verde dei colli d?antan divorato da case e palazzi e l?acqua sta finendo. In quale modo salvare il futuro ? < Razionalizzando i consumi e distribuendo l?acqua in modo ottimale: tra il 46 e il 50 per cento all?agricoltura ( che potrebbe utilizzare risorse non potabile, acqua piovana o depurata ), 18 per cento ai consumi personali, 17 per cento idroelettriche e poi l?industria. Torna il tormento: come cambierà la nostra vita ? < Cambieranno le colture quindi i menu delle nostre tavole. Riso e mais hanno bisogno di troppa acqua. Dovremo ridurre le coltivazioni; certi piaceri potremo permetterceli sempre meno >. Nella settimana dedicata ai problemi dell?acqua si raccolgono le firme di una legge di iniziativa popolare promossa dalla una galassia di volontari ed intellettuali che da Milano alla Sicilia hanno già raccolto 55 mila firme ( quasi il doppio delle firme richieste ) ma vogliono superare le centomila per rafforzare le scelte del governo, Bersani che sta rovesciando il passato. La legge proposta dalla gente pretende acqua pubblica sottraendo alle società anonime e private il controllo di un bene < che deve essere di tutti >. Nelle due stanzette, una sopra l?altra, ricavate nel piccolo campanile dove vive nella Napoli del rione Sanità, Alex Zanotelli continua la battaglia cominciata quand?era missionario in Kenya. Acqua preziosa come il pane. Vedremo con quali strategie. Per difendere il diritto all?acqua di chi vive a Napoli, padre Alex Zanotelli si impegna con l?innocenza tenace che lo ha accompagnato nella missione africana. Barricate disarmate. Digiuni; presidi di piazza dove i problemi vengono cantati assieme alle chitarre. O incontri nella chiesa di Santa Maria della Sanità, cuore non tranquillo della città. Sull?altare le prediche laiche dello scrittore Erri De Luca e Aldo Masullo, studioso che esplora la filosofia del benessere. La gente ascolta e capisce: l?acqua non deve diventare la merce annunciata dalla pubblicità, pagine costosissime sui giornali. < Pesa più un litro d?acqua che un litro di petrolio. La tua banca lo sa? >. Spot col nome della banca e i consigli degli gnomi di Wall Street. Suggeriscono ai risparmiatori: investite nelle holding interessate a una merce sempre più preziosa nel tempo. Guadagni assicurati, ricchezza a portata di mano. La parola < merce > non piace a Zanotelli, a Salvatore Lombardo e ai volontari che lo seguono. Come spiega Rosario Lembo, segretario italiano del Contratto dell?Acqua < l?acqua per usi potabili o produttivi diventa un prodotto, un bene industriale distribuito come merce, gestione affidata al mercato per soddisfare bisogni differenziati. Ecco che in funzione di questa rilevanza economica la gestione delle risorse idriche passa dai comuni e dalle agenzie municipalizzate, a società per azioni partecipate da privati. Si fissa per legge un profitto minimo del 7 per cento e promuove il modello pubblico- privato come strumento efficace per portare l?acqua alla gente >. Insomma, chi distribuisce ha la voce grossa. E? quel 7 per cento minimo a spaventare. Può diventare 9, 10, 12: paga sempre chi apre il rubinetto. Zanoteli comincia con la Rete Lilliput, ma capisce che la ramificazione deve coinvolgere i < clienti > inconsapevoli. Subiscono gli egoismi di un mercato che non controllano col voto; non sanno, quindi tacciono. Zanotelli allarga Lilliput ai comitati civici. Ricomincia dal basso. Intanto gli appalti galoppano. Due anni fa la decisione di privatizzare a metà l?acqua, viene da 136 comuni del napoletano senza informare cittadini e l?opposizione, insomma parlarne per decidere assieme. Le comunità locali scoprono che l?acqua si può vendere a chi non ne ha. I comuni ossessionati dai bilanci in rosso possono fare cassa se affidano la gestione delle risorse a Spa gestite da privati: ne diventano azionisti, ma decide sempre chi distribuisce. 36 primi cittadini con le tasche gonfie di deleghe scelgono questa strada. L?avvocato Sarro, eletto a Piedemonte Matese per Forza Italia, vota < si > a nome di quindici colleghi rimasti a casa. Ne sono rimasti a casa 99. In pochi scelgono il futuro dell?acqua a nome di tutti. Loro decidono anche per gli assenti. Comincia il lavoro paziente di Alex e degli altri. Spiegare nelle circoscrizioni per invitare a riflettere. Si accorgono che la gente non è interessata. Nessuno ne parla, non immaginano il problema. L?informazione è distratta: non raccoglie l?inquietudine della società civile e dà spazio solo all?ufficialità. E quando la Russo Jervolino e i Ds decidono di ritirare la delibera che apriva le porte alle tasche private, la notizia viene sbrigata senza far sapere perché. Ma il 31 gennaio 2006 votano cento sindaci.. C?è anche l?avvocato Sarro, Giovanna D?Arco delle Spa. Si astiene per pudore. Vicono i no: 58 per cento. Anche perché la gente è cambiata: sa e vuol saperne di più. Facce sconosciute interrogano per strada Alex e Carnevale: < Adesso, cosa succede ? >. Non era mai successo. Il problema è uscito dalle segrete stanze e la legge di iniziativa popolare destinata a raccogliere centomila adesioni, sta per arrivare in parlamento il quale deve decidere con una certa fretta. Se si impantana per un anno o due, le società per azioni vanno avanti complicando l?iter delle riappropriazioni. < Ogni napoletano che non può pagare, ha diritto a 40 litri al giorno. E? il segno minimo della civiltà >. Ma i titoli emessi sul mercato dal comune di Napoli ( Boc ) sono obbligazioni garantite dalla Merry Lynch, banca di New York, virtualmente proprietaria dell?acqua di Napoli se Napoli non onora il credito. Gli ultimi annunci danno < la visione positiva della Merill Lync sui beni di lusso e di uso quotidiano nei prossimi 12-18 anni >. L?acqua è fra i gli investimenti consigliati e i fondi dedicati all?acqua si moltiplicano come funghi. Dopo la banca svizzera Pitctet, l?olandese Abn-Amro, canadesi della Criterion Water Infrastructure Fund, la belga Kbc Eco Water Fund e poi cinque istituti americani: elenco che si allunga ogni settimana. La banca Mc Quaire ha comprato con 14 miliardi di dollari la Thaimes Water inglese, e controlla il 90 per cento dell?acqua dei rubinetti di sua maestà. < Ma l?acqua è un bene limitato. Va tutelata perché indispensabile a tutti. Nessuno deve soffrire per gli appetiti del mercato >: amarezza di Rosario Lembo. L? Italia dell?acqua ramifica i problemi in mille condutture. Dagli sprechi alle perdite di acquedotti che accomunano ogni sistema idrico del paese: quel 39 per cento di liquido disperso per mancanza di manutenzione fa degli italiani i più grandi sciuponi tra i paesi industrializzati. La realtà è un po? diversa. Statisticamente consumano ciò che non arriva. Ma non è la sola causa di fragilità. Raccontano Augusto De Sanctis ( Wwf ) e Antonio Setta ( ricercatore nel settore acqua ) le manovre che fanno sospirare gli angoli d? Italia dove le fonti sono abbondanti. Può sembrare una benedizione, diventa l?incubo che ha tormentato l?Abruzzo anni Sessanta. Due tunnel autostradali ( quasi paralleli per la rivalità di due notabili democristiani ) hanno scavato il Gran Sasso danneggiando le falde acquifere. Vera e propria inondazione: ventimila litri al secondo hanno travolto operai e sommerso un paese. La falda si è abbassata da 1600 a 1060 metri riducendo la portata delle sorgenti lontane 50 chilometri. Meno acqua per tutti. Ma non è bastato: la montagna è una torta prediletta. Si sono scavati tre grandi laboratori, sale concepite per esperimenti di fisica ? professor Zicchicchi superstar - cattedrali lunghe cento metri, alte trenta, scavo di 21 milioni e 200 mila metri cubi di roccia. Falda acquifera sempre più compromessa e la si voleva insidiare con altri allargamenti. E gli abruzzesi sono scoppiati. La rivolta civile di 35 mila persone aggrappate al Wwf e all?Abruzzo Social Forum, blocca il progetto di un altro tunnel e di laboratori mastodontici. Ma i laboratori continuano gli esperimenti con prodotti chimici: la falda dell?acqua resta in pericolo. L?Abruzzo e il Gran Sasso restano tentazioni alle quali nessun governo resiste, soprattutto il Berlusconi Due, mentore il ministro Lunardi tecnico dei primi scavi. Nel 2002 si elabora un progetto per travasare 270 milioni di metri cubi d?acqua ( 270 miliardi di litri ) dai corsi del Pescara, Sangro e Vomano, in condutture sottomarine destinate alla Puglia. Voleva dire la morte biologica dei tre fiumi. Progetto faraonico attribuito alla Black and Veatch, gigantesco consorzio anglo- americano che organizza la fornitura di acque private in ogni paese del mondo. Bloccato, per il momento. Ma non sarebbe più facile, senza lo stravolgimento dei trafori, attraversare i 35 chilometri dello stretto che divide Otranto dall?Albania di Valona dove cascate trasparenti si gettano inutilmente nel mare ? Aggrediti dalla pubblicità, gli italiani diffidano dell?acqua potabile e si rifugiano nelle bollicine minerali. Bottiglie e bottigliette: siamo leader mondiali nel consumo. Primato della stupidità. Lo vedremo nella prossima puntata. Per far ricredere il consumatore, l?ente che tutela l?ambiente nella provincia sud di Milano, ha organizzato una rete di Case dell?Acqua, acqua pubblica in boccioni da 18 litri refrigerati e, a scelta, gasati: distribuzione gratuita che riempie bicchieri e bottiglie. Sono i paraventi di ogni ufficio da New York a San Francisco. I film che ce li hanno fatti scoprire cominciano negli anni del bianco e nero e arrivano ai nostri giorni: consuetudine radicata. Il 30 per cento degli americani beve così. In Europa solo il 3 per cento. Le statistiche trascurano l? Italia: non esiste. Milano comincia. La proposta di Tiziano Butturini, presidente del Tasm, ente provinciale, è far concorrenza con l?acqua pubblica al mercato delle minerali. Lombardi invitati a diventare americani, almeno in questa abitudine. Bisogna tener d?occhio la qualità che sgorga dei rubinetti e ritoccarne l?immagine, ecco l?idea delle Case dell?Acqua, venti per il momento, alcune già aperte in chalet o piccole strutture: si può portare via un certo numero di litri come succedeva attorno alle fontane di un?altra Italia. < Un impegno della politica annullare le differenze tra diversi territori, nord-sud, regioni ricche-regioni povere, assicurando lo standard della qualità per cancellare la diffidenza gonfiata dalla pubblicità >. L?acqua deve restare di tutti sfuggendo alle ambizioni dei privati, in fondo giuste perché la filosofia di ogni azienda è il guadagno, ma quanto peserà la seduzione del guadagno sulla qualità e il portafoglio di chi gestisce la distribuzione ? Se le Case dell?Acqua rappresentano la buona volontà della provincia di Milano, la Lombardia degli affari fa altri conti. La città di Milano preferisce gestione e orientamenti diversi dalle scelte della Provincia. Il governatore Formigoni stringe i tempi per la fusione delle < multiutility > tra a capitale lombarda e Brescia, pubblico e privato riunite in un grande affare. Pazienza se le regole europee escludono il connubio delle Spa, pubblico e privato. O l?uno o l?altro. Ma i danè sono danè. La regione fa finta di niente. Non solo acqua, ma rifiuti, eccetera. Frena la Lega. Ogni comune del Carroccio resiste col vecchio slogan: l?acqua è mia e me la gestisco io. Federalismo duro e puro che non si arrende. Nel resto d? Europa l?acqua di chi è ? < Prelievi e distribuzione sono pubbliche. Le regioni applicano le direttive Ue >: Cristian Legeos, direttore Belgio-Acqua ricorda cosa è successo dalla fine della guerra al 2000. Nel 1945 solo metà del paese aveva acqua e fognature in ogni casa. Esistevano fonti private che escludevano i clienti isolati, paesini o frazioni lontane. Non < collegavano perché economicamente voleva dire buttar via i soldi in strutture destinate a restare passive >. Oggi l?acqua pubblica arriva ovunque: 106 litri a persona per uso domestico, 3 euro il prezzo di mille litri. La Vallonia risparmia: beve solo 89 litri. Per l?irrigazione, integra l?acqua potabile con acqua piovana raccolta in una rete di cisterne. Alle persone in difficoltà lo stato regala 15 mila litri l?anno. E la dichirazione dei redditi determina tariffe differenziate: più alte per chi può, meno pesanti per gli altri. Scontento il mercato ed anche la Commissione Europea ha da ridire. Possibile che in Belgio nessun privato possa pompare e vendere acqua ? Con una sola eccezione: il gigantesco depuratore di Bruxelles Nord. Lo stato ha ritenuto sconveniente spendere 3 miliardi di dollari e l?ha affidato ai privati che fra vent?anni devono restituirlo alla gestione pubblica. Diversa la situazione francese: Jean Paul Geoffroy, direttore di Arpège, società pubblico- privata che copre il cuore montagnoso del Puis de Dome: Alvernia e Clermont Ferant. Tre grandi società distribuiscono l?acqua ai 936 mila comuni della Francia. 70 per cento Spa, le altre sono pubbliche; la proprietà delle sorgenti resta ai municipi. < Ma distribuire vuol dire governare il mercato e per il momento il mercato è in mano ai colossi >. Alcune collettività locali hanno adottato una carta etica per rovesciarne la prevalenza: succede a Nantes, Strasburo, Poitier. < Vogliono allargare l?influenza della mano pubblica >. Anche perché l?acqua francese non finanzia solo acqua e condutture. Come in ogni posto del mondo i soldi dell?acqua scalano telefoni, sistemi di comunicazione elettronica, tante cose. Nei pozzi pescano un mare di soldi. Distribuiti male. Il rapporto dello sviluppo umano 2006 calcola che per portare acqua e servizi igienici ai milioni di senza niente rintanati nelle regioni del mondo dove la vita è ferma alla miseria di secoli fa, servono 10 miliardi di dollari l?anno. Un?enormità, ma il primo confronto ne ridimensiona l?impegno. Con un occhio al petrolio, nei quattro anni di guerra in Iraq, la Casa Bianca di Bush ha speso 630 miliardi, vuol dire 157 miliardi di dollari l?anno: missili, truppe d?assalto, armi e giornalisti embedded. Basta saltare un anno di guerra per aprire i rubinetti di chi non li ha e restano gli spiccioli: 57 miliardi di dollari, magari per i farmaci che placano l?Aids.

COMMENTI

31 Marzo 2007 00:07

Il resoconto di Chierici è esemplare di come questa nostra società dia tutto per scontato: che cos'è per noi l'acqua, quale il suo valore, quando con un semplice gesto della mano essa esce magicamente dal rubinetto, quando basta pescare dal portamonete 80 centesimi per avere al bar una bottiglietta di plastica col trasparente liquido? E' sempre il solito discorso, noi popoli ricchi siamo il 20% della popolazione mondiale e consumiamo l'80% delle risorse del globo. Io "occidentale" sono nato qui, ho, consumo, non comprendo il valore di qualsiasi cosa, ormai non solo delle cose materiali, in generale si è perso anche il valore degli affetti, della nostra comune appartenenza al genere umano, legame che dovrebbe unirci indiscriminatamente. I nostri nonni (ho 22 anni) comprendevano il valore delle cose e degli affetti, perchè ben poco avevano; ora mi sembra che di generazione in generazione tutto si perda: radicalmente, il senso della vita. Tu, nato nel Sud del mondo (o moribondo sotto casa mia), hai avuto la sfiga di venire alla luce nel posto sbagliato, nell'ambiente sbagliato, e pace all'anima tua. Il caso ha governato l'esistenza dell'uomo dagli albori, ma ora che andiamo sempre più "civilizzandoci" è paradossale, sconfortante, insopportabile alla coscienza, che una parte del mondo vada sempre più avanti, in benessere e conoscenza, e un'altra rimanga indietro, sopraffatta. La lettera di Chierici è uscita su l'Unità, certamente altri giornalisti (credo) avranno trattato il tema, in questi giorni si raccolgono firme per mantenere l'acqua pubblica...ma qual è la consapevolezza riguardo questo bene? Il sistema dei media cosa sta facendo per sensibilizzare le coscienze? E dal generale passiamo al particolare: cosa sto facendo, cosa posso fare io? Sì, io ho sempre bevuto l'acqua del rubinetto, proprio perchè non ho mai capito perchè debba comprare bottiglie se posso bere quella di casa (abitudine famigliare); quando vado in università mi riempio una bottiglietta comprata precedentemente e la utilizzo più e più volte; ma Chierici ci dice che una sola bottiglia a settimana a persona è già troppo. Siamo tanti su questo pianeta,e le risorse diventano scarse. Quando ciò accade, ci insegnano gli economisti, i prezzi dei beni salgono, e possiamo ben immaginare che i manovratori della terra, figurarsi se loro non lo sanno che l'acqua a poco a poco se ne va, chissà quali piani stanno architettando per accumulare profitti un domani, un domani grigio per i nostri figli, che forse si fa sempre più vicino e riguarda innanzitutto noi. Che posso fare, quando l'acqua è uno solo di quei tanti aspetti, paradossali sconfortanti insopportabili, sui quali la società non compie ragionamento alcuno? Diventa un resistere fine a sè stesso, in cui la pace della propria coscienza si scontra col realismo (pessimismo?) di un mondo che gira nel verso sbagliato. Si vuole una vita con le bollicine: ci si annoia se non si progettano vacanze esotiche, non si è appagati senza l'occhiale griffato, e non si comprende più il valore della vita al naturale. Figuriamoci l'acqua. Sapete cosa vi dico? M'è venuta una gran sete. Daniele

Daniele

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