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19 Marzo 2007 16:26

Garcia Marquez, cento anni nella folla

1247 visualizzazioni - 0 commenti

di Maurizio Chierici

Per Gabriel Garcia Marquez cominciano cento giorni di una felicità diversa dalla solitudine che lo ha reso famoso. Ogni ombra del suo passato sta per essere illuminata da libri e discorsi. Anniversari che lo ossessionano con le celebrazioni: venticinque anni fa, il premio Nobel; quarant?anni dalla pubblicazione di < Cento anni di solitudine >, e gli ottanta ai quali è arrivato resistendo ( < per continuare a scrivere > ) alla malattia che lo tormenta. Tutti in fila nelle settimane di una Colombia capitale della cultura 2007, capitale degli incontri della lingua spagnola, capitale dell?associazione internazionale della stampa con orazioni finali di Bil Gates, imperatore di Windows, e Gabo che scrive su sette computer: ogni mattina ne sceglie uno diverso giocando con la superstizione. Per quel che lo conosco, immagino diviso tra la vanità del sentirsi celebrato e il fastidio per le chiacchiere recuperate nelle pieghe di una esistenza inquieta. Indiscrezioni insipide, imprecise; pettegolezzi alla vallettopoli immiseriscono il suo impegno - non solo letterario - nelle sciocchezze destinate a chi non legge libri. L?occhio nero per il pugno di Vargas Llosa o il testamento di < quando stava per morire >. Immaginandolo prossimo all?ultimo respiro, un giornalista messicano si è inventato un testamento spirituale: < Se per un istante Dio si dimenticasse che sono una marionetta di stracci e mi regalasse un tozzo di vita, probabilmente non direi tutto ciò che penso ma penserei tutto ciò che dico. Darei valore alle cose non per ciò che valgono ma per ciò che significano >. Mesi dopo, al telefono, era ancora furibondo: < Non ho mai nominato il nome di Dio in un solo racconto. La sua presenza avvolge ogni albero e ogni mio personaggio. Ho provato vergogna nel pensare che i lettori potessero immaginarmi autore di tante banalità >. Banalità che continuano a circolare in ogni computer, virus senza antivirus: resistono per sempre. I non lettori le scoprono e le rilanciano, un girotondo senza fine. Chiederà consiglio a Bill Gate per come fermarle. Anche l?occhio nero per il pugno di Vargas Llosa rientra nelle malizie recuperate tanto per dare un brivido ai collezionisti del niente: Vargas Llosa si sarebbe vendicato del Gabo che faceva il filo alla moglie provvisoriamente abbandonata a Barcellona per una fuga d?amore. Ma non era gelosia sentimentale: quel Nobel < rubato >, piuttosto: Vargas Llosa ancora aspetta. E poi il silenzio di Gabo sulla condanna al poeta Herberto Padilla: nel 1971 Castro lo aveva costretto all? autocritica nella bella casa decò degli scrittori dell?Avana. La pena del doversi riconoscere < spia del nemico > per aver esagerato nella disinvoltura dei versi, e le bugie con le quali si flagellava per trasformare la prigione in esilio insinuano il primo disamore verso Cuba degli intellettuali d? Europa. A Barcellona gli scrittori della sinistra raccolta attorno alla rivista < Libre >, per la prima volta si dividono: Mario Vargas Llosa, Carlos Fuentes e Juan Goytisolo ( narratore incantato, perseguitato dal franchismo ) firmano una lettera senza tenerezze: a Castro non è permesso umiliare l?irriverenza culturale considerandola tradimento. Firmano Sartre e Simone de Beauvoir. Julio Cortazar, poeta argentino nascosto a Parigi, ammorbidisce con due parole: < Forse Fidel, tu non sapevi?>. Manca la firma di Garcia Marquez. Non lo si trova. E? in vacanza. E quando torna ne discutono per notti senza mettersi d?accordo. Sono passati 36 anni. Vargas Llosa, Fuentes e Alvaro Mutis nell?osanna delle celebrazione ringrazieranno Gabo per aver rivelato la letteratura latina all?Europa distratta. Prefazione all?opera magna che ha la stessa imponenza del volutone dedicato ai cinquecento anni di Don Chisciotte: 700 pagine, lettere, critiche, traduzioni. < Belle parole, come ai funerali? >, sorriso scaramantico di Garcia Marquez. Messa solenne non solo riservata al grande scrittore, ma a una letteratura latina che non c?è più. Da < La casa verde > di Vargas Llosa, agli eroi contadini di Fuentes o ai viaggi, mare e foreste, del gabbiere di Mutis, una generazione ha raccontato le radici romantiche di un continente che ha cambiato radici. Solitudini e violenze sono ormai urbane; i nuovi narratori esplorano le città. E gli amati romanzieri si perdono in un olimpo quasi sconosciuto ai lettori sudamericani, come lo erano ai lettori d?Europa i protagonisti magici di < Cento anni di solitudine >. Fuentes insiste, ma vive di luce riflessa; Alvaro Mutis si nasconde nella pigrizia; Vargas Llosa recupera il grande giornalismo delle biografie mentre Gabo ripercorre la sua avventura di cronista e di uomo ( < Vivere per raccontarla > ), come è successo all?ultimo Jorge Amado ( < Navigazione di cabotaggio ) quando il tramonto cominciava a Bahia. Resistono le diversità nelle biografie dei mostri sacri. La giovinezza è lo spazio nel quale si formano caratteri e il segno di Vargas Llosa resta il segno del nipote del prefetto di Piura, deserti bollenti del nord cileno: alto borghese, sensibile all?autorità riconosciuta. La fama ne ha solo allargato le abitudini. Va a dimagrire ogni autunno nella beauty farm sulle colline di Salisburgo. Bagni di fieno e massaggi, 500 euro al giorno, e quando cala la sera, infila l?abito scuro per ascoltare Mozart. Alvaro Mutis è l?immaginifico che non ha rinunciato agli agi di quando lavorava alla Shell, public relation man fuggito coi 100 mila dollari rubati alla cassa del petrolio per amore di una ragazza di Città del Messico. Scrittore straordinario anche nelle tenerezze politiche: è il solo intellettuale latino americano a dichiararsi monarchico. Immagino la felicità di quando a Bogotà incontrerà Juan Carlos di Spagna e ospite d?onore. Carlos Fuentes è cresciuto nelle ambasciate del padre ed ha scritto del suo Messico descamisado quando era ambasciatore a Parigi. Nella casa bomboniera della Londra bianca mi ha raccontato perché considera ormai superato l?impegno degli scrittori 2000. Non serve si mescolino alla politica perché < la politica cammina da sola e cammina bene >. Gabo viene dalle retrovie: figlio di un piccolo telegrafista, infanzia ad Aracataca fra i banani dell?United Fruit che ha portato la macchina del ghiaccio nel panorama di polvere. Cosa diranno le penne eleganti del Garcia Marquez appena tornato da Cuba dove ha mediato tra il presidente della Colombia, Uribe, e i guerriglieri guevaristi dell?esercito Nazionale di Liberazione ? Dove ha incontrato Castro: < inesauribile come prima della malattia: con lui non si sa mai come va a finire >. Gabo che pretende 15 mila dollari per lasciarsi intervistare dai giornali e 40 mila dollari per gli incontri Tv. Da versare su un conto corrente di Città del Messico intestato alla Fondazione del Nuovo Cinema latinoamericano di Sant?Antonio de los Banos, attorno all?Avana. L?ha inventata nell? 84 e ne è presidente. I film che nascono a Cuba trovano i soldi anche nel suo portafoglio. Gabo è affascinato dal potere in modo diverso da Vargas Llosa, Fuentes e Mutis. Vuol conoscere gli uomini che contano non per riverenza o dividere le vacanze: adora studiarli. Si è fatto accompagnare da Adolfo Suarez, primo presidente della destra del dopo Franco. Ha incontrato Clinton con Carlos Fuentes che faceva salotto. < Ha mai incontrato Aznar ? voleva sapere il signore della Casa Bianca: < La sua faccia non mi dice niente. Parlargli è una perdita di tempo >. I potenti, spiega < sono i soli esseri umani ad avere la forza di cambiare la realtà. Ecco perché voglio ascoltarli: per capire come la cambieranno >. E Castro come l?ha cambiata ? La trappola lo fa sorridere: < Ha aperto un varco nell?immutabilità dei poteri che decidevano la vita del nostro continente. Si è poi aggiunta un?amicizia tormentata da disaccordi, a volte politici, ma il pensarla in modo diverso vuol dire confrontarci e comincia un?altra affinità >. Non ha mai sprecato un elogio pubblico per il leader maximo, ma interviene con ironia ogni volta che qualcuno ne parla male. Insomma: grandi scrittori disimpegnati celebreranno il grande scrittore impegnato nella festa che presenterà l?< edizione definitiva di ? Cento anni di solitudine? >. Il realismo magico è figlio del surrealismo respirato da Garcia Marquez negli anni di Parigi, e surreale si annuncia il monumento oratorio che la Colombia sta organizzando. Cosa aggiungerà al libro tradotto in 53 lingue l?edizione definitiva della quale si favoleggia ? Definitiva perché Gabo l?ha ricamata con note, correzioni, pagine cancellate e pagine nuove. La conversione è recente: < Fino a qualche anno fa, appena il libro era stampato mi rifiutavo di aprirlo per paura di doverlo riscrivere quando era impossibile mettervi mano. Impotenza insopportabile >. Ma una volta, in treno, un viaggiatore cede alla tentazione. Era il 1978: < Sono salito a Barcellona. Un amico aveva chiamato da Parigi. Voleva < Cento anni di solitudine > con due righe d?affetto. L?ho comprato in stazione, infilato nella borsa sotto giornali e libri. Ma i giornali erano noiosi, i libri illeggibili e la mano ha sfiorato quel vecchio romanzo. Lo sfogliavo ascoltando musica?>. Viaggio lungo. Non smette di graffiare, cucire, aggiungere storie sui bordi bianchi. < Quando sono arrivato era un altro racconto e non l?ho regalato. Nel tempo mi sono reso conto che dovere di uno scrittore è sapere cos?ha scritto per non pattinare fra le pagine con ricordi sfuocati. Ho riletto i romanzi nell?ordine in cui sono apparsi. Con tutta la vanità devo confessarlo: mi piacciono. Non sono proprio i libri che adesso ho in testa. Sto imparando a raccontare trasversalmente come sono cresciuti i vecchi romanzi, un modo per sfoltire le leggende dalla mia biografia; rimpicciolire gli aggettivi che mi perseguitano?>. Non sarà facile nelle tre settimane di gloria. Iperboli ed imprecisioni dei laudanti. L?imprecisione è la sua angoscia di cronista ossessionato dal controllare e ricontrollare fino all?ultima virgola. Si infuria appena si parla di lui confondendo la memoria: appallottola i giornali, manda lettere di protesta con ricevuta di ritorno quasi fosse un lettore anonimo perduto in province sconosciute. Chissà quanti fogli voleranno dalla sua terrazza di Cartagena nascosta dagli ombrelloni che la proteggono dalla curiosità degli ospiti dell?albergo Santa Clara: dieci dollari di sovraprezzo per le camere con < finestre su Garcia Marquez che scrive >. I depliant avvertono: < si consiglia di svegliarsi alle 7 del mattino perché alle 7 del mattino lo scrittore comincia a lavorare >. Probabile che i congressisti facciano un salto a Macondo, fino a qualche mese fa si chiamava ancora Aracataca: finalmente ha adeguato il nome all?invenzione del romanzo ammettendo che la fantasia può cambiare la realtà. Da ragazzo, quando faceva il cronista all?< Heraldo > di Baranquilla, Gabo arrotondava la paga vendendo enciclopedie. Arrivava ad Aracataca carico di libri, ripartiva con le mani vuote, ma dopo il Nobel si è fatto vivo solo per l?obbligo della festa che gli amici avevano preparato. E non è più tornato. < Don Premio non torna ? ricordava due anni fa Dario Noches, compagno d?infanzia seduto fra i tavoli impolverati di un caffè non lontano dalla casa museo di Garcia Marquez ? perché Don Premio è superstizioso. Nel Caribe si dice che tornare sui propri passi è come rassegnarsi alla vita che sta finendo >. Porta male e sta alla larga. Il fastidio delle celebrazioni sarà quel rivoltare la sua bohème e i giorni felici. Gabo musone che chiude la vita in un privato ermetico. Le sole parole pubbliche inseguono letteratura e cinema; adesso, giornalismo. Mai ricette politiche anche nelle battaglie per i diritti umani. Mai mogli e figli in vetrina. Ha sempre rifiutato di farsi imbalsamare dalla gloria. Adesso, tre settimane sotto i riflettori con applausi e le ipocrisie che non sopporta. I cento anni di solitudine finiscono nella folla dei complimenti. Soffocato da giacche e cravatte, riuscirà a respirare ? mchierici2@libero.it Cortesia dell?Unità

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