24 Maggio
L’antimafia, Falcone, le scuole siciliane e milanesi, i giornalisti liberi, i nuovi magistrati: per due generazioni la Costituzione in Italia ha rischiato di essere presa sul serio. Persino lo Stato, in certi momenti, sembrava diventato una repubblica, una cosa diversa dalla vecchia faccenda di re, duci e signori.. Va bene, la stagione è finita: Falcone decisamente non c’è più, ogni anno lo riammazzano fra riti e belle parole. I giudici nuovi ora si decidono - per esempio, a Catania - davanti a una scrivania con Mussolini: il busto del duce orna infatti l’appartamento di una delle massime autorità, il siciliano La Russa, che ha posto il veto alla nomina di un magistrato esperto ma ligio alla legge, e dunque scomodo per il Partito. E allora?
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Non è la prima volta che succede. Siamo andati vicini, nei primi anni novanta, a fare dell’antimafia sociale l’anima repubblicana del nuovo stato.
Dilettantismo politico, presunzione, divisioni dell’antimafia, timidezza e superbia di tutti i momenti alti della società civile l’hanno impedito allora. Ma solo allora, poiché il respiro della storia non è quello delle singole vite e la costruzione di una repubblica richiede molto più di una stagione. La repubblica va e viene, va costruita e ricostruita e difesa, non è mai completata, e mai perduta.
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E questo è un momento così. La
generazione di ora, che non ha ancora le idee e i nomi per definirsi ma
intuisce benissimo cosa succede, è una generazione storica. Vive una svolta
dell’epoca, come fra i liberalismi e gli anni venti o fra il dopoguerra e le
repubbliche. Chi ha conosciuto veramente l’Italia, girandola passo a passo in
tutti questi anni, chi ha avuto a che fare con così tante generazioni di
giovani italiani, può anche, razionalmente, non essere pessimista. Fiducia
nell’Italia profonda, rozza e lentissima ma umana, fiducia in queste ragazze e
ragazzi che incontriamo. Ingenui e ignoranti di tutto, ma sempre consapevoli
dell’essenziale.