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30 Giugno 2011 09:24

Legale dei dirigenti baha'i detenuti parla nella sede del Parlamento Europeo.

822 visualizzazioni - 0 commenti

di filippo Angileri

 



 
Inoltro questo articolo dall' Ufficio stampa dell' Assemblea Nazionale saluti khosrow
Ogg: Legale dei dirigenti baha’i detenuti parla nella sede del Parlamento europeo

 
Legale dei dirigenti baha’i detenuti parla nella sede del Parlamento europeo
 
 
BRUSSELS, Belgio, 29 giugno 2011 (BWNS) – Uno dei legali che hanno difeso i sette dirigenti baha’i detenuti in Iran ha pronunciato un appassionato appello alla giustizia durante un incontro straordinario nella sede del Parlamento europeo.
 
Mahnaz Parakand ha detto ai convenuti che il popolo dell’Iran si aspetta di «non essere abbandonato dai governi e dalle organizzazioni internazionali che si prefiggono in primo luogo il rispetto dell’umanità e dei diritti umani . . .».
 
L’intero popolo iraniano è «detenuto in una grande prigione che si chiama Repubblica Islamica dell’Iran», ha detto, «soggetto a oppressioni e sofferenze e molti sono messi in prigione, torturati e giustiziati per varie accuse».
 
L’incontro, che si è svolto ieri in una sala conferenze della sede del Parlamento europeo, è stato la prima apparizione pubblica della signora Parakand dopo che è fuggita dalla sua terra avendo saputo che stava per essere arrestata per aver difeso i sette dirigenti baha’i e per altri casi, fra i quali quello di Nasrin Sotoudeh, anche lei avvocato, condannata a 11 anni di prigione per aver patrocinato alcuni attivisti dei diritti umani.
 
Membri del Parlamento europeo e membri della Commissione europea e del Servizio europeo per l’azione esterna hanno ascoltato la signora Parakand mentre esponeva un dettagliato resoconto del caso dei sette dirigenti e dell’ingravescente persecuzione subita dai loro correligionari.
 
«Il dolore e le sofferenze subite dai baha’i si aggiungono alle crudeltà subite dall’intero popolo iraniano», ha detto.
 
Dopo aver espresso la sua gratitudine per poter «parlare liberamente e senza restrizioni e senza sentirsi in pericolo e aver paura di essere imprigionata e torturata», la signora Parakand ha affermato di sentirsi onorata di essere «la voce di martiri giustiziati solo per le loro credenze» e «di parlare apertamente a nome di persone che hanno trascorso anni in prigione e sono state torturate per il solo fatto di aver espresso la propria opinione . . .».
 
La signora Parakand ha affermato di parlare anche a nome di «coloro ai quali è impedito di occupare posti governativi e di accedere agli studi superiori, coloro le cui case sono state distrutte, i cui cimiteri sono stati profanati solo per le loro credenze, persone costantemente vessate mentre svolgono il loro lavoro, perché hanno una fede diversa da quella che domina il paese».
 
Alludendo ai recenti attacchi delle autorità iraniane contro il Baha’i Institute for Higher Education, un’iniziativa presa dalla comunità per dare ai giovani baha’i ai quali è vietato accedere alle università la possibilità di proseguire gli studi superiori, la signora Parakand ha detto che lei rappresentava «le persone cui è stato impedito avere istituzioni per educare i loro figli, ai quali è fatto divieto di accedere alle scuole e alle università pubbliche. 
 
«Quando queste istituzioni esistono, vengono chiuse e i loro gestori sono arrestati e imprigionati», ha detto.
 
«Voglio parlare dei bambini che non sono liberi di esprimere le proprie credenze, altrimenti sarebbero espulsi dalla scuola. Voglio parlare di persone che non hanno la libertà di scegliersi gli amici e la cui amicizia con persone che non siano baha’i è considerata insegnamento della Fede baha’i, cosa che li espone all’imprigionamento e alla tortura».
 
 
Un elenco di ingiustizie
 
La signora Parakand è membro del Defenders of Human Rights Centre, fondato dal Premio Nobel per la pace Shirin Ebadi, che si è occupata della difesa dei sette dirigenti baha’i. Durante l’incontro di ieri la signora Parakand ha potuto fornire il primo resoconto dettagliato di ciò che è accaduto dietro le porte chiuse durante il processo dei sette dirigenti baha’i l’anno scorso, presentando un lungo elenco di ingiustizie e di irregolarità del sistema giudiziario iraniano.
 
In questo elenco c’erano l’arresto clandestino dei sette, senza alcuna citazione, nel 2008, la loro iniziale detenzione in celle d’isolamento, senza contatti con le famiglie, interrogatori e detenzione illegale per oltre due anni senza poter consultare i loro legali, un processo in base ad accuse inventate e una successiva procedura dell’appello che ha visto la condanna a vent’anni prima ridotta a dieci e poi riportata a venti.
 
«L’atto d’accusa contro i nostri clienti . . . è stato una dichiarazione politica, piuttosto che un documento legale», ha ricordato la signora Parakand. «Era un documento di 50 pagine . . . pieno di accuse e di offese contro la comunità baha’i in Iran, soprattutto i nostri clienti. È stato scritto senza produrre alcuna prova delle imputazioni.
 
«È stato emesso un unico atto di accusa per i sette dirigenti . . . contro tutti gli usi del mondo legale, senza specificare il reato di cui ciascuno di essi era imputato», ha detto.
 
La signora Parakand ha aggiunto che prima del processo, durante i due anni e mezzo di detenzione illegale, né lei né i suoi colleghi hanno potuto incontrare i loro clienti. 
 
«In un solo mese abbiamo studiato con grande diligenza la pratica, che occupava oltre duemila pagine, e abbiamo letto con attenzione ogni pagina, cercando di scoprire le ragioni, i documenti, le prove e le testimonianze in base alle quali sette persone erano state private in quel modo della libertà. Fortunatamente, non siamo riusciti a trovare né documenti né ragioni legali che dimostrassero la verità delle accuse mosse contro i nostri clienti», ha detto.
 
«Speravamo che sarebbero stati prosciolti, perché non c’era alcuna ragione per condannarli».
 
Dopo aver esaminato la pratica, i legali hanno potuto incontrare i detenuti una sola volta. «Mentre visitavamo i nostri clienti, le autorità carcerarie controllavano e le donne presenti registravano furtivamente la nostra conversazione . . . Questo atto viola il diritto dei clienti di descrivere in libertà ciò che è accaduto loro in prigione», ha spiegato la signora Parakand.
 
Ricordando il processo, la signora Parakand ha descritto le numerose violazioni delle procedure legali e la presenza durante il processo di agenti dei servizi segreti, con l’intenzione di intimidire gli imputati.
 
«Una delle condizioni di un equo processo è l’imparzialità del giudice che presiede», ha detto la signora Parakand, mentre in questo caso, «il giudice che presiedeva . . . ha usato lo stesso linguaggio e le stesse frasi esposte nell’atto di accusa come “perversa setta bahaista”. Questo dimostra chiaramente la parzialità del giudice che presiedeva e un iniquo processo basato sul credo degli imputati».
 
Durante il processo, il giudice ha spesso interrotto i clienti mentre parlavano per difendersi con il pretesto che stavano “insegnando il bahaismo”», ha detto.
 
«L’ingiustizia fatta ai nostri clienti . . . è un riflesso dell’oppressione esercitata su tutti i baha’i che vivono in Iran», ha aggiunto la signora Parakand. 
 
 
Continuare ad agire
 
La signora Parakand ha concluso esortando i governi e le organizzazioni a chiedere all’Iran di modificare le sue leggi interne discriminatorie contro le minoranze intellettuali e religiose e a costringere i paesi che violano i diritti umani ad agttenersi scrupolosamente al contenuto della Dichiarazione universale dei diritti umani e del Patto internazionale sui diritti civili e politici.
 
Ha anche rivolto un appello all’Unione Europea affinché mandi in Iran un rappresentante che indaghi sulla situazione dei sette dirigenti baha’i, «per migliorare le loro attuali circostanze illegali e per prendere i provvedimenti necessari per il loro immediato rilascio».
 
La signora Parakand si è recata al Parlamento europeo per invito di Barbara Lochbihler, deputato tedesco al Parlamento europeo, che preside la delegazione parlamentare per le relazioni con l’Iran. La signora Lochbihler ha assicurato alla signora Parakand che la situazione dei diritti umani in Iran non è dimenticata.
 
Oltre ai sette dirigenti, circa 90 baha’i sono attualmente in prigione in Iran, compresi i nove membri del corpo docente e del personale del Baha’i Institute for Higher Education, ancora detenuti dopo le irruzioni in 39 case baha’i il mese scorso.
 
 
 Filippo Angileri
 
 
Per leggere l’articolo online, si vada a: http://news.bahai.org/story/836
 


 


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