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3 Febbraio 2011 09:51

C’era una volta l’Accabadora Giornata Nazionale dei risvegli con Stati vegetativi (e minima coscienza)

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di Doriana Goracci

Apprendo da un invito che mi è appena arrivato:  il 9 febbraio del 2011, indetta dal Ministero della Salute, ci sarà la giornata nazionale degli stati vegetativi. L’invito, su Facebook, e che se non vi dispiace antepongo, dice testualmente: Libera scelta in libero Stato – chi decide sulla fine della vita? Mercoledì 9 febbraio,dalle 18 alle 21, MicroMega ha organizzato, sempre il 9, un convegno-dibattito che si terrà a Roma, ore 18, nell’Aula Magna della Facoltà valdese (Via Pietro Cossa 40). Il titolo della manifestazione sarà “Libera scelta in libero stato”. Interverranno il senatore Ignazio Marino, il giurista Stefano Rodotà, il teologo valdese Daniele Garrone, il fisico Giorgio Parisi, il teologo Dom Giovanni Franzoni e il direttore di MicroMega Paolo Flores d’Arcais. Un’iniziativa di alto profilo intellettuale che si interrogherà sul “chi decide sul fine vita?”.
Non so se  potrò esserci e la mia presenza non è così importante, ritengo importante invece comunicare, il tutto che ho condiviso, per internet.
Ricapitolo  quanto ha profuso il Ministero della salute, per la nostra salute: Presentazione alla stampa della Giornata Nazionale dei Risvegli 21 settembre 2010 – Lettera di saluto del Sottosegretario di Stato Eugenia Roccella
Il 26 novembre 2010 – Roccella: “Il ricordo di Eluana non sarà più una memoria che divide ma un momento di condivisione per un obiettivo che ci unisce tutti” è stato presentato dal ministero della salute, il  Libro bianco sugli stati vegetativi e di minima coscienza – Il punto di vista delle associazioni che rappresentano i familiari

Si  passa quindi  alla Commemorazione del caro estinto: 9 febbraio 2011 Giornata nazionale degli stati vegetativi. Il Consiglio dei Ministri ha approvato su proposta del Ministro della Salute la direttiva che indice  per il 9 febbraio 2011 la Giornata nazionale degli Stati vegetativi. In merito alla decisione il Sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella dichiara: “E’ molto importante, in particolare in questo momento di acceso dibattito, che dal prossimo anno il 9 febbraio sia la Giornata Nazionale degli Stati Vegetativi. A volerla fortemente sono state le associazioni dei familiari delle persone che vivono in questa condizione, che hanno lavorato al Libro Bianco del Ministero della Salute. Questa data ricorda a tutti noi l’anniversario della morte di Eluana Englaro, una ragazza affetta da disabilità grave la cui vita è stata interrotta per decisione della magistratura. Con questa giornata il ricordo di Eluana non sarà più una memoria che divide ma un momento di condivisione per un obiettivo che ci unisce tutti. Da oggi sarà un’occasione preziosa in più per ricordare a tutti noi quanto è degna l’esistenza di tutti coloro che vivono in stato vegetativo e non hanno voce per raccontare il loro attaccamento alla vita. Questa giornata sarà anche un appuntamento per fare il punto scientifico su tutte le scoperte su queste situazioni di cui sappiamo ancora troppo poco. E potrà rappresentare una finestra di visibilità per queste persone e le famiglie che le accudiscono amorevolmente, troppo spesso coscientemente accantonate dai media che si rivolgono al grande pubblico, come ha dimostrato la recente vicenda della trasmissione Vieni via con me.
Redazione salute.gov.it – Comunicato stampa n. 382 del 26 novembre 2010
Non ho finestre di visibilità, se non quella da cui sto scrivendo e mi scappa una smorfia a dire poco amara , ripensando ai Media e al cammino percorso dalle  Genti che comunicano…in questi due decenni di Videocracy e Basta apparirela storia, raccontata dal padre, sottolineo il padre… Luana Englaro? Ecco
 
Oggi, 3 febbraio,  grazie ad una segnalazione sempre su Facebook, da parte di Stefania Zuccari, apprendo l’esistenza  di una Donna Sarda:  l’Accabadora e l’ eutanasia. Funebre? Solo per la sostanza,  perchè la donna interviene su chi sta morendo. A  me sembra   vitale, questa energia che passa…persa. A lei è stato dedicato un libro, dalla scrittrice sarda Michela Murgia.

Ho ritenuto integrare la nota, con altre e più ampie  informazioni dal centrosardegna: “S’Accabadora…Fino a qualche decennio fa in  Sardegna si praticava l’eutanasia. Era compito di sa femmina accabbadora procurare la morte a persone in agonia. Studi  approfonditi e analisi della documentazione rinvenuta presso curie e  diocesi sarde e presso musei, hanno accertato la reale esistenza di  questa figura. S’accabadora era una donna che, chiamata dai familiari del  malato terminale, provvedeva ad ucciderlo ponendo fine alle sue  sofferenze. Un atto pietoso nei confronti del moribondo ma anche un  atto necessario alla sopravvivenza dei parenti, soprattutto per le  classi sociali meno abbienti: negli stazzi della Gallura e nei piccoli  paesi lontani da un medico molti giorni di cavallo, serviva ad evitare  lunghe e atroci sofferenze al malato.  Sa femmina accabbadora arrivava nella casa del moribondo sempre di  notte e, dopo aver fatto uscire i familiari che l’avevano chiamata,  entrava nella stanza della morte: la porta si apriva e il moribondo,  dal suo letto d’agonia, vedeva entrare sa femmina accabadora vestita di nero, con il viso coperto, e capiva che la sua sofferenza stava per  finire.  Il malato veniva soppresso con un cuscino, oppure la donna assestava  il colpo de su mazzolu provocando la morte. S’accabbadora andava via  in punta di piedi, quasi avesse compiuto una missione, ed i familiari  del malato le esprimevano profonda gratitudine per il servizio reso al  loro congiunto offrendole prodotti della terra.  Quasi sempre il colpo era diretto alla fronte, da cui, probabilmente, il termine accabbadora, dallo (spagnolo?) acabar, terminare, che  significa alla lettera dare sul capo. Su mazzolu era una sorta di  bastone appositamente costruito e che si puo’ vedere nel Museo  Etnografico Galluras. E’ un ramo di olivastro lungo 40 centimetri e  largo 20, con un manico che permette un’impugnatura sicura e precisa. Su mazzolu esistente al museo Galluras e’ stato trovato nel  1981: s’accabbadora lo aveva nascosto in un muretto a secco vicino a  un vecchio stazzo che una volta era la sua casa.  In Sardegna s’accabbadora ha esercitato fino a pochi decenni fa,  soprattutto nella parte centro-settentrionale dell’isola. Gli ultimi  episodi noti di accabbadura avvennero a Luras nel 1929 e a Orgosolo nel 1952. Oltre i casi documentati, moltissimi sono quelli affidati  alla trasmissione orale e alle memorie di famiglia. Molti ricordano un  nonno o bisnonno che comunque ha avuto a che fare con la signora  vestita di nero. A Luras, in Gallura, s’accabbadora uccise un uomo di 70 anni. La donna  non fu condannata e il caso fu archiviato. I carabinieri, il  Procuratore del Regno di Tempio Pausania e la Chiesa furono concordi  che si tratto’ di un gesto umanitario. Infatti tutti sapevano e tutti  tacevano, nessuna condanna sembra sia stata mai perpetrata nei  confronti di questa donna missionaria che si faceva carico  materialmente e moralmente di porre fine alle sofferenze del malato. La sua esistenza e’ sempre stata ritenuta un fatto naturale… come  esisteva la levatrice che aiutava a nascere, esisteva s’accabbadora  che aiutava a morire. Si dice addirittura che spesso era la stessa  persona e che il suo compito si distinguesse dal colore dell’abito  (nero se portava la morte, bianco o chiaro se doveva far nascere una  vita).” Questa figura, espressione di un fenomeno socio-culturale e storico e’  la pratica dell’eutanasia, nei piccoli paesi rurali  della Sardegna e’ legata al rapporto che i sardi avevano con la morte.  Nella cultura della comunita’ sarda, non e’ mai esistito una vera paura  di fronte agli ultimi istanti della vita dell’uomo. Si puo’ anzi dire  che i sardi avessero una propria e personale gestione della morte,  considerata il naturale ciclo della vita.”

E spesso si affiancava  un ‘ altra donna: “s’attitadora”, solitamente   donna anziana,  vestita di nero,  chiamata dai parenti dell’ ormai morto,  per narrare  quanto aveva fatto in vita, con una cantilena  che elencava tutte le azioni positive, gesti e grida di passione dolorosa, che prendevano profondamente, i sentimenti dei parenti e di chi assisteva.

Cosa aggiungere a tanto strazio “attuale”, a tanta furibonda e penosa invasione sulla nostra mente e peggio sui nostri corpi, ad opera di ben altre massaggiatrici e massaggiatori della nostra esistenza? O dovrei copiare quanto scrissi il  il 9  febbraio del 2009,  La Quiete durante la tempesta? Nelle conclusioni: …Chi lentamente muore? Chi vorrebbe non cessare di esistere sul colpo, magari in un incidente stradale? E per chi rimane, non assistere a questo spettacolo sul corpo di chi si è amato più della nostra stessa vita? E sia la quiete dopo la tempesta.”

 

Ma si, facciamolo questo Dialogo con Dio. Tra cui quello  di trovarsi a scrivere di queste cose. In Italia, all’inizio di un febbraio 2011.
E’  servito a me scrivere, oggi e allora, apprendere, perchè non sapevo.
Il 5  febbraio vi invito a Capranica, così tanto per fare il sabato del villaggio e capire insieme cosa significa minima coscienza e partecipazione giornalistica e  on line: Un altro mo(n)do è possibile?


 

Le Memorie della Musica Ombre fuggite dai monti lontanissimi delle madri ove state quiete in albe fantastiche
Voi veniste a me nella notte perché lo spavento levasse a me un urlo contro il dolore del mondo.
Quando entravo coi piedi nel fiume voi svanivate nell’alba restava il canto disperato.
Danzano, le memorie danzano
E suonano, i ricordi suonano
E cantano vecchie ninnie…vecchie madri cantano…
“Deus meu, Deus meu,
Non bides cantas lacrimas in musica
Deus meu, Deus meu, Deus meu. ”
Cantano, i ragazzi cantano
E ballano ad occhi chiusi…
Disperati ballano
Deus meu, Deus meu, Deus meu.
Nella musica la voce delle lacrime,
Nella musica la forza delle idee,
E’ una liturgia di dolore e di allegria
questa musica deus meu.
Perchè musica è la voce di ogni popolo
E raccoglie tutta la sua eredità
Chi la canterà chi la scrive non lo sa…
Ma nell’aria c’era già: Ninninninia…Deus meu.
Ma si s’amore non s’illumina de musica
E tando no est amore coro meu.
Non si cullano i bambini senza musica
Non si resta insieme senza una canzone
E’ una liturgia di dolore e d’allegria
Che ci tiene compagnia.
Sono eterne le memorie della musica
Perché in fondo le canzoni siamo noi,
anche se non vuoi le ritrovi prima o poi
proprio come Te Deus meu.
Ninninninia…Deus meu.
Cantano, i bambini cantano (dillos e anticos duru duru de allegria)
e danzano (a toccos de tamburos dilliriende)
le memorie danzano
e nascono nuove ninnie che le madri imparano
Deus meu, Deus meu, Deus meu.

 

 


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