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11 Gennaio 2010 09:58

PRIMO MARZO: SCIOPERO GENERALE DEI LAVORATORI IMMIGRATI

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di Riccardo Orioles

Viva i lavoratori neri di Rosarno, schiavi senza diritti ma coraggiosi e umani. I veri italiani si sono dimostrati loro, gli unici a ribellarsi contro i boss della 'ndrangheta che, da quel che s'è visto, sono il vero governo della Calabria. Solo della Calabria? E perché Maroni li ha lasciati fare? Chi è il vero ministro dell'interno, il quacquaracquà leghista o qualche boss? Qua finisce con le truppe dell'Onu, come in Uganda. E non per colpa dei "negri" Catania/ I soldi del Comune persi in banca - Indagini su Farmacia: la svolta - Italia anno zero Benvenuti a Rosarno Chi arriva a Rosarno è accolto alle porte del paese da un cartellone stradale emblematico, al tempo orgogliosamente installato dalle istituzioni locali: "Rosarno, città videosorvegliata". Proprio così. Qui si va dritti al sodo, ed attribuzioni culturali tipo "città d'arte" o simili non sono di casa. Benvenuti in terra di 'ndrangheta. Non è che gli altri comuni del reggino se la passino meglio, anzi. E' una "fenomenologia della criminalità" ormai consolidata da tempo: cassonetti con evidenti segni di danneggiamento, strade eternamente dissestate con crateri che farebbero arrossire anche un geyser islandese, palazzine con mattoni a vista, cartellonistica stradale nei migliori dei casi divelta, ma di consuetudine crivellata da lupare e P38 a mo' di groviera. E' così che qui i mafiosi marcano il territorio. Un po' come i cani quando fanno la pipì per strada. Le molotov inesplose si contano ormai come fossimo tornati negli anni Trenta quando la sera si lasciavano i vuoti del latte davanti alla porta di casa. Poi c'è il tritolo, raffinatissimo, che ieri ha fatto saltare per aria un negozio di informatica, oggi un bar o una pescheria, domani chi lo sa. Da un lato una potenza militare spietata e molto più avanti in strategia anche di organizzazioni terroristiche come l'Eta o Al Quaeda, dall'altra una classe dirigente in gran parte culturalmente e politicamente indietro di più di quarant'anni rispetto al resto d'Italia. Nel mezzo i cittadini, per lo più gente umile e che vorrebbe vivere onestamente, ma comunque facilmente inclini alla reverenza a questo o a quel padrone di turno. E questo è un problema patologico, non certo occasionale. La prima vera dimostrazione pratica di cosa volesse dire la parola "dignità" ce l'hanno data poco più di un anno fa gli africani, quando contro due di loro furono esplosi diversi colpi di pistola. Sì, proprio quegli stessi immigrati che da sempre sono pagati meno di un pacchetto si sigarette e che ora sembrano aver perso la testa. Vessati, malnutriti, picchiati, minacciati, e per di più ostaggio di quegli stessi caporalati 'ndranghetistici che in molte occasioni paradossalmente si saranno subdolamente finanche fatti scudo delle leggi dello Stato per costringerli nuovamente al silenzio ogni qual volta avranno accennato ad alzare la testa: "Se vuoi stare qui così è, altrimenti denuncia ed espulsione immediata". Per questo io voglio continuare a credere nella buona fede degli immigrati. E anche se hanno sbagliato nel modo di reagire, un po' invidio il loro senso di solidarietà civile. Perché se la 'ndrangheta oggi o domani sparasse ad un povero cristo calabrese, quello stesso popolo che si ritiene più civile di questi sporchi negri si volterebbe dall'altra parte. E' l'eterna condanna di questa terra, e purtroppo noi abbiamo già letto e riletto pagine come queste. Aldo Pecora, Presidente "Ammazzateci Tutti" www.ammazzatecitutti.org - Lavoratori immigrati (e non da soli) E il primo marzo sciopero generale (organizzato su internet) "Vediamo cosa succede se per un giorno noi non lavoriamo". Sono le antiche parole del movimento operaio, quelle che prima o poi vengono in mente ai poveri stanchi di prendere bastonate. Adesso, sono gli immigrati a dirlo. I primi di loro cominciano a organizzarsi. Diamogli una mano Sarà il primo marzo il primo sciopero organizzato in internet in Italia. Sarà uno sciopero importante, uno sciopero che non s'era visto prima e che però era nell'aria da diversi anni: lo sciopero dei lavoratori immigrati. "Ventiquattr'ore senza di noi", l'hanno chiamato le promotrici. Di cui bisogna subito dare i nomi, che probabilmente resteranno nella storia: Stefania Ragusa, Daimarely Quintero, Nelly Diop e Cristina Seynabou Sebastiani: secondo le mummie una "italiana" e tre "straniere", in realtà quattro italiane nuove, di cui non conta più tanto la razza e il nome: come in America, per capirci. "La società vive col lavoro di migliaia di stranieri. L'Italia collasserebbe subito senza di loro. E'venuto il momento di farlo capire a tutti. Vediamo che cosa succede se per un giorno noi non lavoriamo". Non è n'idea originale, d'accordo. E' semplicemente l'idea del vecchio socialismo, del movimento operaio. Allora ha funzionato. Migliaia e migliaia di iscritti su Facebook ("Primo marzo 2010"), comitati locali dappertutto, un primo coordinamento nazionale. Come i Viola (e prima ancora il Rita Express), ma più preciso e più mirato. Tre anni dal Rita Express, un paio di mesi dai Viola. Le cose vanno in fretta, di questi tempi. "Certo, non molti lavoratori immigrati hanno internete; ma li contatteremo lo stesso; e molti ufficialmente non lavorano, o sono in nero, o non possono permettersi di alzare la voce; ma penseremo anche a loro. Anche uno sciopero degli acquisti può servire. Che altro? Aiutiamoli - ma c'è bisogno di dirlo? - con tutte le nostre forze e con tutto il cuore. Info: primomarzo2010@gmail.com *** Già, e poi dovremmo parlare degli altri, dei poveri "italiani" selvaggi (a Rosarno come a Verona), di quelli che ormai non sono più italiani da un pezzo ma semplice white trash, come in Alabama. Non abbiamo molto da dirgli, salvo che ci dispiace per loro, e che ci vergognamo per loro, ma che non intendiamo assolutamente pagare per loro, sprofondare nella cloaca insieme a loro. Non sono più calabresi, non siciliani, non sono affatto , non sono niente. Sono solo una povera morchia umana, la vittima più vittima del razzismo (gli schiavi si liberano, ma chi si crede padrone non si libera mai), che ormai costituisce una zavorra per il Paese. Questa zavorra, questo dieci per cento del paese, ha un suo governo ufficiale e un suo governo di fatto. Quest'ultimo, è evidentissimo, si chiama mafia, 'ndrangheta e camorra. Non può essere più combattuto con mezzi normali. Il governo ufficiale vorrebbe rozzamente servirsene, ma ne viene usato. La 'ndrangheta che prende in mano il potere, che esercita funzioni di polizia, che indice i pogrom (l'aveva già fatto la camorra a Napoli, contro i rom: e col plauso di Bossi) non può essere combattuta con mezzi democratici. Finché si scherza si scherza, ma ora si è davvero andati troppo oltre. E' bene che il governo vi rifletta, perché la corda è stata tirata abbastanza. O si ricostituisce un governo, o si fa appello ai paesi civili (Rosarno povrebbe essere presidiata dalle forze dell'Onu, come l'Uganda), o gli italiani prenderanno in mano la situazione. Le parole "italiani" e "patria", che noi usiamo raramente e con pudore, cominciano a chiedere prepotentemente d'essere pronunciate e messe in pratica, come nel '43. Beppe Sini, in queste ultime pagine, parla di insurrezione e, da buon pacifista, aggiunge "nonviolenta": ma non tutti possono essere sempre pacifisti. Per intanto chiediamo a quanti hanno funzioni di responsabilità civile e militare ­ funzioni che hanno assunto con giuramento ­ di riflettere profondamente su quel che è oggi, e quel che potrebbe essere domani, il loro dovere di cittadini fedeli all'Italia e al giuramento prestato. Riccardo Orioles - In città, cioè nella giungla... Che ti dice la Il giusto l'ingiusto, il legale e il così così... Tutte queste parole dovrebbero essere parenti fra di loro, eppure non sempre quando le incontri vanno d'accordo. Per lo meno a Catania. Dove c'è sì lo Stato, ci sono le Istituzioni, ma c'è anche l'antichissima mentalità dei Notabili che si riconoscono fra loro come vecchi elefanti nella giungla... Questo è giusto, questo non è giusto, questo è legale, questo non è legale. Lo sentiamo dire dai nostri genitori (ma anche dai nostri figli), dai nostri insegnanti, dai preti, dai politici e molto pomposamente dai giudici. Succede però a volte che quello che è giusto non è legale, così come quello che è ingiusto è a volte legale. Qualche anno fa ad un povero fruttivendolo catanese tolsero la licenza perché in ritardo con il pagamento dei tributi comunali. Solo che lui aspettava da mesi e mesi parecchi soldi dallo stesso comune di Catania per le forniture di frutta ad un asilo nido. Lui ha fatto una cosa illegale, il comune era (ed è) senza una lira per i poveri cristi (per altri i soldi li trova), e può permettersi di non pagare i suoi fornitori. Questo non è giusto, ma la licenza gli è stata tolta per rispettare la legalità. Un esempio che ci riguarda da vicino è la storia della scuola A. Doria a San Cristoforo, protagoniste le donne madri del quartiere e, come vedremo, il procuratore capo Vincenzo D'Agata. Il comune di Catania da diversi anni non paga l'affitto per la scuola. Il Tribunale ha più volte mandato l'ufficiale giudiziario per procedere allo sfratto dei locali. Solo la determinazione di un comitato di mamme ha, fino a questo momento, scongiurato il pericolo. Mamme che negli anni scorsi hanno occupato più volte la scuola e interrotto le attività scolastiche per protesta. Lo sapete cosa succedeva mentre le mamme "illegalmente" occupavano la scuola e rischiavano che la polizia entrasse per sgomberarle? Il procuratore D'Agata, uno dei più alti magistrati presenti in Tribunale, telefonava al ragioniere generale del comune Francesco Bruno per chiewdere "amichevolmente" di provvedere al pagamento dell'affitto dei locali che la moglie di D'Agata aveva affittato al comune (la telefonata è confermata dallo stesso magistrato su La Sicilia del 20/12/09). Il rag. Bruno e gli assessori che si sono susseguiti hanno sempre detto che non c'era una lira in cassa per gli affitti. Non era vero! Esistevano delle somme di denaro, ma anziché destinarle a far vivere l'unica scuola media del quartiere, questo soldi servivano per pagare gli affitti ai loro amici! Ma la cosa assurda di tutta questa storia è che le mamme facevano un'azione giusta ma illegale e D'Agata faceva un'azione ingiusta ma probabilmente legale. Ci saremmo aspettati, forse, un altro tipo di telefonata da un rappresentante delle istituzioni, forse quella che avrebbe fatto un altro Magistrato, l'ex Presidente del Tribunale dei Minorenni Giambattista Scidà. Lui avrebbe sicuramente detto questo: "Rag. Bruno, in nome di tutti quei ragazzi e quelle ragazze che rischiano di non avere la loro scuola media. In nome di una giustizia e di una politica che non è al servizio dei potenti e dei loro affari, ma al servizio dei cittadini e delle cittadine che vivono situazioni più difficili. In nome di una città che non può prendersela solamente con il ragazzino che ruba per ignoranza o per bisogno, ma che deve alzare la testa anche e soprattutto contro chi in questa città ha fatto affari e carriere d'oro e ha utilizzato i soldi pubblici (cioè di tutti) per interessi privati. In nome di tutto questo la invito a pagare immediatamente l'affitto della Scuola Andrea Doria!". Pretendiamo con forza che in questa città il contenuto delle telefonate istituzionali cambi costume e tono: da ammiccante ed amichevole pieno di favori e scambi, a trasparente e dignitoso pieno di senso civico e solo per il bene comune. Toti Domina, I Cordai Catania: 750mila euro persi in banca A febbraio due ragionieri generali del Comune di Catania saranno chiamati a rispondere per i danni causati alle casse comunali. I politici ed il Banco di Sicilia sarebbero estranei. Beneficiari inconsapevoli o personaggi intoccabili? I nodi potrebbero arrivare al pettine anche per il Comune di Catania. Le casse dei cittadini catanesi, svuotate dall'allegra gestione dell'amministrazione cittadina, reclamano giustizia ed i responsabili dell'ammanco potrebbero essere individuati e costretti a restituire una parte del maltolto. Un primo nodo potrebbe sciogliersi il 10 febbraio a Palermo, nelle aule della Corte dei conti di via Cordova. Il Presidente Luciano Pagliaro ha deciso che qui si terrà l'udienza del procedimento contro due ex ragionieri generali del Comune etneo, Vincenzo Castorina e Salvatore Di Gregorio. Quasi un anno dopo la chiusura dell'indagine, condotta dal vice procuratore Maria Aronica, i due ragionieri potrebbero essere condannati al risarcimento. L'indagine ha infatti riscontrato un danno di 750 mila euro alle casse comunali, per una serie di omissioni e dimenticanze che hanno favorito il Banco di Sicilia. Nell'aprile del 2008 i magistrati contabili stavano lavorando su un altro caso, quando vennero a conoscenza di questa trasfusione di denaro dalle tasche dei catanesi alle casseforti della banca. Era successo che il Banco di Sicilia, il 5 marzo 1997, aveva ottenuto l'affidamento del servizio di tesoreria fino al 3 dicembre 2001. Prima della scadenza bisognava provvedere ad una nuova convenzione o al rinnovo di quella precedente. I due ragionieri che si sono succeduti non l'hanno fatto e, fino a giugno del 2004, le spese e gli interessi intascati dal Banco di Sicilia sono quindi cresciuti liberamente. Secondo il calcolo del vice procuratore, il conseguente danno ammonterebbe proprio a 747.025,78 euro e sarebbe dovuto alla responsabilità dei due dirigenti che, intanto, si dichiarano innocenti. Non emergerebbe invece colpe da parte dell'amministrazione Scapagnini né da parte di chi, nel frattempo ci guadagnava. Almeno che, in tal senso, non scenda in campo anche la Procura della Repubblica etnea. Sempre che non sia, anch'essa, troppo impegnata nel fare affari con gli amministratori pubblici locali. Difficile, infatti, credere che due ragionieri, del calibro e con la professionalità dei due dirigenti citati in giudizio, abbiano favorito interessi privati senza che nessuno glielo abbia chiesto o li abbia quantomeno ringraziati. Piero Cimaglia La cronistoria · 3 dicembre 2001: scade il contratto di tesoreria con il Banco di Sicilia senza essere rinnovato. 31 dicembre 2002: il ragioniere Castorina lascia l'incarico. 14 gennaio 2003: subentra il ragioniere Di Gregorio. 29 aprile 2008: La Corte dei conti apre un'indagine. 30 aprile 2009: La Corte cita in giudizio i due ragionieri per un danno di 747.025,78 euro. 10 febbraio 2010: data fissata per l'udienza. - Il dimenticato caso della Facoltà Che Uccide... Indagini a una svolta "Laboratori a rischio fino al 2006" Sono state consegnate le perizie sui laboratori della Facoltà di Farmacia di Catania, dove numerosi ricercatori e docenti hanno perso la vita a causa delle esalazioni nocive. Solo da pochissimi anni ­ dicono i periti ­ l'Università ha preso sul serio la necessità di provvedere a interventi di sicurezza. Il pericolo è stato deplorevolmente sottovalutato fino almeno al 2006 Le aule e i laboratori di Farmacia sono adesso sani e sicuri. E' vero. E l'aria dell'edificio 2 è uguale a quella esterna, come detto pure dal rettore dell'Università di Catania, Antonio Recca. Ma per almeno sei anni, a cominciare dal 2000, in quello stesso edificio sono mancati i requisti di sicurezza per studenti, ricercatori, docenti e dipendenti vari. I quali talvolta svenivano per via dei vapori tossici presenti e che inviavano, invano, lettere di protesta e denuncia. Inascoltate. Questo è solo parte di quanto hanno scritto su un lungo documento di 90 pagine, consegnato il 30 Novembre, i periti del Ctu nominati dal gip Fallone del Tribunale di Catania, ed è quanto discusso nell'ultima udienza del 18.12 2009, udienza (incidente probatorio) che ha permesso alle parti di fare osservazioni proprio sull'ultima relazione dei periti. Questi hanno pure sottolineato in una chiara premessa che lo stato dei luoghi dell'edificio di Farmacia analizzato risulta notevolmente alterato al momento delle perizie, realizzate nel 2008. E ciò a causa dei seri interventi di messa in sicurezza fatti all'Università catanese tra il 2006 e il 2007. Difatti, gli eventi che sono oggetto delle indagini, ovvero i due filoni dell'inchiesta ­ disastro ambientale e omicidio e lesioni colpose ­ risalgono agli anni precedenti al 2006: 10 morti (tra cui Emanuele Patanè, autore di un importante memoriale scritto prima della morte a soli 29 anni) e 38 casi finora registrati di patologie gravi e meno gravi fra ricercatori e docenti, di tumore della tiroide, tumore polmonare, tumore del colon, cardiopatia dilatativa, linfoma di Hodking, Leucemia a cellule capellute. Attualmente, gli ambienti di Farmacia sono sicuri, come annunciato tre mesi fa dal rettore Recca, ma ciò è accaduto anche perchè le attività di laboratorio sono state sospese sei mesi prima. Per questo motivo il gip ordinò nell' Ottobre 2009 il totale dissequestro della Facoltà, e dunque la ripresa veloce delle lezioni e delle normali attività di ricerca. L'edificio 2 di Farmacia dell'Università di Catania fu sequestrato dalla magistratura nel Novembre 2008, e nove persone, tra cui l'ex rettore Latteri, risultano indagate. Ma secondo i periti l'analisi condotta recentemente si muove su uno spazio ormai definitivamente modificato per via dei lavori effettuati dalla stessa Università "nel periodo compreso tra il 19/06/2006 ed il 18/02/2007 ed hanno comportato interventi di demolizione con asportazione dei materiali demoliti e di parte del terreno per l'esecuzione degli scavi necessari al posizionamento delle nuove strutture di carico (...) ed in particolare lo stato delle reti e dei sistemi di scarico dei reflui idrici e di ventilazione dei locali è risultato notevolmente differente da quello esistente al momento dei fatti a base del procedimento penale". Non solo. I periti del Ctu hanno aggiunto che tra il 2003 e il 2004, a seguito di continue lamentele, richieste e lettere di docenti e ricercatori, l'Università ricevette delle relazioni interne e pur leggendone la gravità del contenuto valutò il rischio chimico di grado moderato. I periti del giudice però hanno scritto nero su bianco che il rischio non poteva essere definito moderato, ma modesto o elevato, per l'elevatissima presenza di sostanze chimiche e agenti cancerogeni, per le lettere continue e circostanziate dei dipendenti, e in particolare per la relazione dell'ing. La Pergola, risalente al 2004, che chiedeva interventi urgenti per l'impianto di areazione, malfunzionante, e per gli scarichi non regolari di rifiuti tossici, gettati direttamente nei lavandini. Siamo dunque nel 2004. Patanè muore giovanissimo nel 2003, e già dal 2000 ci sono state segnalazioni di infortuni ai dipendenti dei laboratori per inalazione di vapori tossici. Nel 2005 c'è una nuova perizia di una ditta esterna, la It Group e nell'estate del 2006 si fa qualche intervento all'edificio, intervento non sufficiente. Ma solo nel 2007, scrivono sempre i periti del Ctu, e in urgenza, l'università rifà l'impianto di areazione e aspirazione, e gli scarichi dei rifiuti, che prima confluivano attraverso condutture comuni in vasche che mescolavano gli agenti chimici. Sette anni per mettere tutto in sicurezza. "In quel contesto", spiega l'avvocato Santi Terranova che difende il padre di Patanè e altri ex dipendenti malati, seguendo il filone dell'omicidio colposo, "questa valutazione moderata fu fatta probabilmente perchè così il datore di lavoro è esonerato dall'intraprendere maggiori e più significative misure di prevenzione e protezione, e dunque spende meno e si riconosce, di fronte a chi moriva o stava già male, meno responsabilità. Se si valuta invece un giudizio non moderato, ma più alto, modesto o elevato, come rimarcano gli stessi periti del giudice, il datore di lavoro è tenuto alla sorveglianza sanitaria dei lavoratori e ad attuare senza alcun ritardo tutti gli interventi per la messa in sicurezza." L'avvocato Terranova ci dice tra l'altro che parecchi studenti, ricercatori e alcuni professori, testimonieranno in tribunale che mai furono utilizzate mascherine e guanti all'interno del laboratorio, né mai applicate norme di sicurezza basilari, né mai fatti corsi di preparazione adeguati all'utilizzo di sostanze potenzialmente nocive. E che "non utilizzando scarichi adeguati alle sostanze usate, le quali invece erano gettate negli scarichi del lavandino, si è creata un piccola vasca nel terreno sotto l'edificio 2 di Farmacia che, essendo costituito da argilla, e dunque impermeabile- come provato dalla carta dell'area geologica disegnata dalla stessa Università di Catania ­ non assorbe i liquidi gettati dalle fogne a perdere, ma le raccoglie in una vasca naturale chiamata bicchiere. Dal bicchiere, come testimoniato dalla perizia del 2005 dell'IT Group, risalivano vapori tossici attraverso le stesse condutture dell'acqua e attraverso fessurazioni del solaio e delle pareti dovute a totale abbandono dei locali. Come detto sopra, i lavori effettuati nel 2006 portarono alla costruzione di scarichi più isolati, ma poiché la valutazione del rischio fu moderata, i lavori sono stati comunque inadeguati alla situazione" Secondo Terranova anche se non è dimostrabile scientificamente il rapporto di causa-effetto tra ambiente cancerogeno e tumore della singola persona - "è immediatamente relazionabile l'altissima percentuale di malattie e la loro tipologia occorse ai frequentatori dei locali con l'altissima presenza di vapori tossici respirati dai suddetti soggetti a causa della scarsa osservazione delle norme di sicurezza. Sebbene le polveri e le sostanze cancerogene siano presenti pure nelle strade cittadine, come ha precisato l'Università, non è ancora stata denunciata questa altissima percentuale di morti e malati all'interno di uno stesso luogo nel resto della città di Catania (scuole, uffici etc...) come invece avvenuto per l'edificio 2 di Farmacia". Per l'avvocato il reato è quello di omicidio colposo plurimo, ovvero strage, e tra le prove che verranno fornite ai giudici, quella che farà da chiave di volta è il pc di E. Patanè, sul cui hard disk è stato rilevato quel memoriale originale, scritto appena prima della morte ­ a 29 anni ­ e le cui affermazioni, tra cui la conservazione di sostanze inquinanti in armadi arrugginiti e senza protezione, sono poi confermate dalle lettere di alcuni docenti inviate ai rettori nel corso degli anni e dalle testimonianze di ricercatori e studenti di Farmacia. Giuseppe Scatà - Storie italiane Quattro vite tranciate Un racconto quasi di Natale. Dal vero Non vi è mai capitato, probabilmente, di avere amici ebrei nella Germania del 1936 o nella felice Italia del re e del duce, che tanti oggi rimpiangono, e delle leggi razziali. Peccato. Avreste potuto leggere con più discernimento l'articolo che segue, che è semplicemente la testimonianza di un tale che, pur sotto un fascismo, non ha voluto rinunciare a scegliersi da sé i propri amici: anche fra quelli definiti dalla legge "non-ariani" o "clandestini" Incipit Non vorrei che a qualcuno venisse la bella idea di denunciarmi per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Ma sta di fatto che con alcuni cari amici, che vivono in Italia - talora da molti, molti anni - ma che in Italia non sono nati, continuiamo a frequentarci; e non ignoro che a norma delle leggi di Norimberga riesumate costì con l'imperial-regio decreto n. 94 el 15 luglio 2009 essi sono schedati come "clandestini", e che la modesta ospitalità ed il menomo sostegno che riesco ad offrir loro dispiace ai nazisti al potere (del resto credo che i nazisti al potere non ignorino che anch'essi, e il loro governo e la loro politica, a me dispiacciono in sommo grado, e che da tempo vado predicando la necessità di un'insurrezione nonviolenta per far cessare la dittatura razzista e schiavista da essi criminalmente imposta e ripristinare la piena vigenza della legalità costituzionale e dei diritti umani nel nostro paese). *** Storia di Emme Sotto le feste sono venuti a trovarmi Emme e Erre, che non vedevo da qualche mese l'uno e qualche settimana l'altro. È stata una dolente rimpatriata. Emme è un "extracomunitario" (come si diceva qualche anno fa), anzi un "clandestino" (come si dice oggi), che vive in Italia da più di vent'anni, "rigando sempre dritto" (da quando lo conosco non so quante volte gliel'ho sentita ripetere questa locuzione, con voce gentile e orgogliosa, e nobile il volto e la postura); ama questo paese e vuole vivere qui; ottimi studi, esprit de finesse, plurime esperienze di organizzatore sindacale, di animatore sociale e culturale, di promotore di iniziative di civile convivenza e limpida solidarietà: io gli affiderei un ministero. Di colpo a metà luglio è stato dichiarato criminale dal governo del Reich, in forza della legge 94/2009. Gli chiedo dove alloggi adesso, e come se la passi. Negli ultimi tempi è stato ospite di diversi amici (sempre spostandosi dopo pochi giorni, poiché si sa che l'ospite è come il pesce, soprattutto se è perseguitato), ha dormito anche in casali abbandonati finché il freddo lo ha consentito, adesso vive accampato dentro un'automobile scassata. Lavoro nei cantieri e nei campi non ne trova quasi mai, non è più giovane e forte, e i caporali diffidano di uno come lui che parla bene italiano e ha letto Cicerone e Marx (lui cerca di nascondere la sua competenza linguistica e la sua cultura, ma i suoi compagni di sventura si rivolgono a lui come a una sorta di avvocato dei poveri, cosicché i caporali dopo un po' lo individuano e si passano la voce); si è adattato a far mille mestieri, tutti faticosi e sempre più precari e pericolosi per la propria incolumità; ha subito minacce ed aggressioni per la sua condotta onesta e generosa; si sente ridotto allo stremo, e teme che prima o poi farà "uno sproposito". Lo dice, e la parola gli si strozza in gola. *** Storia di Erre Erre una volta era quel che si dice una persona "integrata", ma ha perso la casa per una serie di lutti familiari e di altre circostanze sfortunate. Forte come un toro, ha sempre fatto umili e pesanti lavori manuali; ma anni fa ha avuto una grave malattia che lo ha lasciato debilitato per sempre. Dovrebbe seguire una dieta rigorosissima ed aver cura della sua salute: ed ogni volta che lo vedo mi promette solennemente di seguire i ragionevolissimi consigli di cui infarcisco le mie solennissime prediche, ma dubito assai che lo faccia. E del resto ha paura a presentarsi in ambulatorio, e non ha nè pensione nè assistenza, poiché è anche lui un "clandestino". Vive in un "campo nomadi", in una baracca ricavata da una roulotte semidemolita. Per sopravvivere "si arrangia". Non gli chiedo come. Necessitas non habet legem, la fame è fame, ogni essere umano ha diritto a salvarsi la vita. *** Spariti nel nulla Parliamo di comuni amici che in questi ultimi mesi sono scomparsi: che fine ha fatto Ics? e Ipsilon, e Zeta? Mi danno frammentarie, non buone notizie di alcuni. Di altri non si sa più nulla. Su altri ancora girano voci agghiaccianti, che vorrei sperare non vere. *** Storia di Esse Esse lo incontro in piazza che sfida la sorte, in questi giorni di festa, col solito suo borsone di carabattole, come una volta. Sa che in qualunque momento gli può piombare addosso "la guardia" (come lui chiama chiunque indossi una divisa), e in nome della legge (l'anti-legge dei gangster al governo) rapinarlo di tutte le sue mercanzie, e farlo recludere per sei mesi in campo di concentramento, e contestargli il reato di "clandestinità", ed avviarlo alla deportazione verso il paese dalle grinfie della cui efferata dittatura era sfuggito rifugiandosi in Italia. Gli dico che a casa mia per lui c'è sempre un piatto caldo, e gli dò da ricordare a memoria qualche telefono e indirizzo di amici fidati. *** Storia di Ti Faceva il maggiordomo e il giardiniere, il cuoco e il cameriere, l'aio e il tuttofare, in breve: il "badante". Non ha avuto accesso alla pseudo-sanatoria. I suoi anziani datori di lavoro (più precisamente i figli loro) "non volendo grane" - ora che la legge lo dichiara ipso facto criminale per il solo fatto di esistere - lo hanno licenziato in tronco; del resto non aveva un contratto e non può certo fare una vertenza di lavoro, lui misero "clandestino". Mi racconta di umiliazioni e violenze, rapine e percosse, che ha subito in questi ultimi mesi, senza possibilità di invocare la legge a difesa dei suoi diritti e del suo stesso corpo, della sua vita medesima. A questo siamo in questo felice paese governato dal partito dell'amore e delle spranghe. Mi dice di essere felice di non essersi sposato, di non aver messo al mondo figli. "Altrimenti, adesso, sai che tragedia che sarebbe". *** Explicit Non vorrei che a qualcuno venisse la bella idea di denunciarmi per istigazione all'insurrezione nonviolenta contro il governo nazista in carica. Ma è proprio questo che sostengo: la necessità e l'urgenza di una insurrezione nonviolenta contro il governo nazista in carica e le sue disumane anti-leggi razziste, schiaviste e squadriste; un'insurrezione nonviolenta per ripristinare la legalità costituzionale, lo stato di diritto, la democrazia, la civiltà, i diritti umani di tutti gli esseri umani. Sissignori, è proprio questo che sostengo. Peppe Sini Centro di ricerca per la pace http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ LEGGI PDF

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