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6 Maggio 2009 17:13

senza speranza

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di concetta centonze

Cosa ci possono ancora togliere?
Me lo chiedevo in questa mattina di maggio ancora più bella di fronte alla condizione miserabile in cui siamo.
E cercavo parole, parole per rifondare un mondo che possa dirsi umano, parole semplici e comprensibili.
Ma la maledetta cultura mi saltava al naso e scacciava via la semplicità ed io dovevo tornare a lottare anche contro quei quattro stracci di sapere che venivano avanti con parole alte mentre io temevo che esse mi allontanassero ancora di più dagli altri.
Gli altri che vorrei invece stringere ed abbracciare per condividere il lutto, andare per strada stringendo mani alla rinfusa chiedendo perché ci è accaduto questo.
“Questo cosa?”
Mi dicevo uno sconosciuto a cui stringevo le mani.
“Questo- dicevo io con la mia semplicità- questa miseria…”
“Sarà ea misera, misera e tocca de testa! Ahhhh ho capio: sé un modo per spillar schei. Una de quee che non sa cosa è laorar e vengono a rosegare nui, zente per bene!”
“Ma guardi, ascolti, ascolti che di questo si tratta: non siamo più gente per bene; nessuno più, nessuno innocente; mi ascolti!”
Ma la mia semplicità ebbe il bel successo di farmi ritrovare con cinquanta centesimi in mano ed essere scambiata per qualcuno fuori di testa.
“Ben ti sta.” mi tentò la cultura.
E parlò per me:
“La parola, e non è di quelle semplici, si chiama desublimazione! E’ presto detto: dare a bere per normale uno status ferino in cui tutte le grandi conquiste della cultura centenaria, tolleranza, democrazia, pluralismo, vengono irrise, cose di cui si deve certo parlare, ma parlare e basta: guai a pretendere che siano praticate! Sono un pour parler di facciata.”
“L’aspirazione ad una società più equa, e quindi più umana, è stata liquidata?”
“Aspirazione, tu mi insegni, è già di sua una parola pretenziosa e le altre che io ti spingo sulle labbra, latrocinio, fornicazione,  laicità… eh cara mia, chissà quando e se torneranno ad essere comprese.”
“Hai torto: hai torto ti dico perché tu parli, ma io sento e sento questo lutto, questo dolore per tutto quello che noi in Italia abbiamo perduto; e so, per certo, che tanti altri sentono lo stesso dolore, lo stesso lutto.
E anche quelli che non sanno di sentirlo e vivono in un baratro di noia e disillusione che riempiono con berlusconate prima o poi capiranno che quel vuoto è lo stesso Berlusconi, il vecchio bottegaio, il dio del Nulla.
Allora vedrai, vedrai sì: l’incantesimo sarà dissolto dal dolore per tutto quanto di umano c’è stato tolto e andremo per le strade e ci capiremo per quell’infelicità che gronda dagli occhi e ci abbracceremo ritornati umani.”
 
 
 

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