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Quando Maradona giocò l'assurdo spareggio interzona

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“Dottore, come devo allenare Maradona?”
“Tu hai mai visto allenarsi un gatto? Gli basta nutrirsi e riposare per essere il migliore”
(Dialogo tra il preparatore Fernando Signorini e il dottore Ruben Oliva)
Le vie del Mondiale sono praticamente infinite. C’è quasi sempre una seconda chance per le grandi
squadre che steccano al primo tentativo. Ma se in Europa siamo abituati a risolvere la contesa
all’interno dei confini continentali, per le altre confederazioni la musica è diversa, e spesso bisogna
vedersela con il mitologico spareggio interzona. Per Usa 1994, solamente un posto passa
dall’incrocio tra squadre di continenti diversi: un primo turno preliminare tra la seconda
classificata dell’area Concacaf e la vincente del percorso dell’Oceania, quindi la finalissima tra la
superstite e la seconda classificata del Gruppo A del cammino sudamericano.
Il sistema cervellotico riguarda soprattutto i gironi della Conmebol, la confederazione
sudamericana. A queste qualificazioni mondiali, infatti, non prende parte il Cile, escluso dalla Fifa
per la notte del “Condorazo”: il 3 settembre 1989, nel match decisivo contro il Brasile, il portiere
Roberto Rojas simulò di essere stato colpito da un petardo, incidendosi con una lametta che aveva
nascosto nel guanto. Una storia incredibile che meriterebbe un video a parte. Al Sudamerica erano
stati riservati 3,5 posti al Mondiale: lo 0,5 sta ovviamente nello spareggio interzona, destinato alla
seconda squadra del Gruppo A, quello da quattro squadre, mentre nel Gruppo B avevano già
trovato la strada per gli Stati Uniti il Brasile e, a sorpresa, la Bolivia.
A sancire la prescelta per lo spareggio ci aveva pensato una delle partite più incredibili della storia
delle qualificazioni mondiali: l’Argentina si era schiantata contro la migliore Colombia di tutti i
tempi, che aveva sbancato il Monumental con un netto 0-5 e aveva costretto i campioni del
Sudamerica all’umiliante confronto con l’Australia, che nel frattempo aveva superato il Canada nel
turno preliminare soltanto ai calci di rigore, con l’ultimo penalty siglato dall’ex Bari Frank Farina.
Ma questa Argentina travolta dalla Colombia scopre di essere fragile, senza una guida, anche
davanti a un avversario modesto.
SYDNEY FOOTBALL STADIUM, 31 OTTOBRE 1993
«Questo Maradona non può giocare nemmeno a golf». Il presidente del Siviglia, Luis Cuervas,
aveva messo fine così all’unica stagione in Andalusia di Diego Armando Maradona, nell’estate del
1993. El Pibe era arrivato a Siviglia nel tentativo di togliersi di dosso la ruggine maturata durante la
lunga squalifica rimediata nel corso della sua ultima annata napoletana. A 33 anni, la carriera del
fuoriclasse sembra già finita, con una parabola surreale, degna di un film di Buñuel.

L’ultima immagine del Pibe con la maglia dell’Argentina risale addirittura al Mondiale del 1990: la
finale dell’Olimpico giocata dopo aver eliminato gli azzurri al San Paolo, i fischi indegni del
pubblico romano, Diego che ruggisce un «hijos de puta» in mondovisione e poi deve arrendersi
all’inesistente rigore concesso alla Germania Ovest. Da lì, più nulla. Ma ora Alfio Basile, c.t.
dell’Argentina, è in un mare in tempesta, e vede in Diego l’unica boa alla quale aggrapparsi. La
prima telefonata arriva dal professor Cheverria, che chiede al Diez di tornare in campo per la
doppia sfida con l’Australia. La reazione è un no secco. Quando ad alzare il telefono sono Basile e
Grondona, presidente federale, la questione cambia. In tre mesi, Maradona deve perdere
qualcosa come 22 chili. Non può farcela solo con l’allenamento.

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