Sempre più spesso la ‘passione civile’ viene esaltata come componente della personalità o della condotta, a volte eroica, di uomini e donne che si spendono per onorare i valori in cui credono: principi nobilissimi quali uguaglianza, giustizia e legalità, diritti e libertà, cura degli individui soprattutto se vulnerabili, e attenzione alla ‘cosa pubblica'. Ma è davvero auspicabile a priori, come dato positivo in assoluto, l'esercizio di quella passione che può far brillare l’animo ma potrebbe offuscare lo sguardo proprio quando sarebbe opportuno un giudizio cristallino, lucido e imperturbabile? Etica e senso di responsabilità possono convivere con una forte passione civile senza che, da una parte, si scambi quest'ultima con il diligente adempimento del proprio dovere e senza rischiare, dall'altra, di smarrirsi nell'ideologismo? Dove, invece, la passione civile s’impone senza se e senza ma?
Intendo per «passione» la capacità di resistenza e di rivolta; l’intransigenza nel rifiuto del fariseismo, comunque mascherato; la volontà di azione e di dedizione; il coraggio di «sognare in grande»; la coscienza del dovere che abbiamo, come uomini, di cambiare il mondo in meglio, senza accontentarci dei mediocri cambiamenti di scena che lasciano tutto com’era prima; il coraggio di dire di no quand’è necessario, anche se dire di sì è più comodo, di non «fare come gli altri», anche se per questo bisogna pagare un prezzo. (Gianni Rodari, Educazione e passione, 1966)
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