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20 Aprile 2009 12:05

Ho dormito accanto ai resti del Che per proteggerli dai militari boliviani

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di Maurizio Chierici

Alejandro Inchauregui è un antropologo argentino. Capelli e barba che sbiancano, 52 anni. Era nero come il carbone quando i giornalisti lo hanno incontrato con gli occhi che ridevano. Scavava fra i sassi di Valleverde, Bolivia dove era stato ucciso Guevara; aveva trovato ciò che restava del Che, quel corpo misterioso nascosto dai militari trent’anni prima. Non sopportavano che la sua tomba richiamasse i pellegrini della nostalgia. Attorno ad Alejandro e all’ antropologo cubano Jorge Hernandez Perez e ai contadini che spalavano senza fare domande, le ruspe e un cordone di militari. Per evitare il fastidio dei curiosi, si diceva ma Inachauregui era agitato da altri sospetti. Solo le Tv e le facce che non andavano mai via lo confortavano: in quell’angolo dimenticato delle americhe la gente continuava a vivere come raccontano i diari di Guevara. Fame e miseria. Il richiamo del ricordo del Che, un monumento, chissà, apriva la speranza di un turismo immaginario, adesso immaginario non lo è piu. Atterra l’elicottero del generale Josè Perez, vecchio capo di stato maggiore. Passi larghi e furiosi.. Non è d’accordo col presidente Sanchez Losada il quale ha permesso la ricerca dei resti di sette guerriglieri: fra loro il Che. Non vuole gli sia data < sepoltura cristiana. Un terrorista. Finché sono vivo non lo permetterò >. Racconta Alejandro ai ragazzi che lo ascoltano a Pordenone, Festival < Le voci dell’inchiesta >, dove sta per cominciare la proiezione di < Che Guevara, il corpo e il mito >, documentario di Raffaele Brunetti e Stefano Missio; racconta Alejandro che l’ostilità delle alte uniformi che gli erano sempre addosso con domande non gentili, gli aveva messo paura. < Quando ho riconosciuto il giubbetto del Che e nella tasca le briciole del suo tabacco; quando ho confrontato le protesi dei denti con le radiografie arrivate dall’Avana; quando il ciuffo dei capelli rimasto sulla nuca aveva il colore e lo spessore dei reperti che l’amico cubano custodiva in certe buste. Quando fra i sette scheletri riportati alla luce, ciò che restava di Guevara mancava di qualcosa, mancavano le mani, ho capito che di avercela fatta. Subito dopo la morte le mani erano state tagliate e portate a La Paz per le impronte digitali da confrontare con le impronte arrivate da Buenos Aires, ufficio passaporti. Insomma, quando ho capito che era proprio lui e lo hanno capito i comandanti che ci stavano addosso, ho pensato: adesso lo fanno sparire >. Alejandro non esce più dallo scavo. Per tre notti dorme accanto alle spoglie di Guevara con tanti pensieri. Anche di giorno non si stacca. E nell’ospedale giapponese di Santa Cruz de la Sierra ancora spalle militari che li isolano dal mondo, il dottor Ichauregui non esce per un secondo dall’ l’obitorio dove i medici legali confermano: è proprio il Che. Dorme e mangia qualcosa. < Non so cos’hanno pensato >. Quale può essere il suo timore se il presidente Sanchez Losada aveva approvato il recupero ? La Bolivia è il paese dove la storia va avanti e indietro: prima di Evo Morales i protagonisti non cambiavano mai. Quindici anni dopo anche Sanchez Losada era ancora li, sempre dalla parte dell’america di Bush. Appartiene alle grandi famiglie dell’altipiano. E’ nato a La Paz e non ha niente da spartire con le famiglie militari di Santa Cruz, grano, petrolio e gas con attorno i reduci dell’Europa nazista: tedeschi e ustascia, Kluas Barbie e Stefano delle Chiaie. Una cultura radicata: sopravvive negli scontri che agitano la Bolivia di oggi. Sanchez Losada aveva studiato ad Haward ed era tornato in patria con l’impegno di modernizzare il paese. Nel suo governo un vice ministro degli interni socialista - generale Hugo San Martin – raccontava ad Alejandro che le forze armate erano contrarie a disseppellire Guevara. Avevano destituito il generale Mario Vargas Salinas per la colpa insopportabile di aver descritto nel suo libro di memorie - < Il Che, una vita rivoluzionaria > - il luogo nel quale aveva sepolto il suo corpo assieme a sei guerriglieri. Poche righe in un volume pesante non sono niente, ma poche righe che il New York Times allarga con un’ intervista. E’ passato tanto tempo e il militare che aveva messo le mani sul Che stremato dall’asma, circondato e ferito, non pensa di tradire la patria raccontando il finale di una storia lontana. Ma non potendo bloccare chi scava, gli alti comandi si sfogano con lui: accusa di alto tradimento per aver rivelato segreti di stato. Arresti domiciliari e in pasto alla stampa storie più o meno vere: coca e rapporti gay. Nel ’67 era solo un capitano; le promozioni arrivano dopo. Un po’ l’invidia per aver guidato l’impresa di un esercito che ha sempre perso ogni guerra, soprattutto perché volevano seppellire la memoria del Che, la rivelazione lo hanno messo alla berlina. Alejandro sapeva e sapeva di un altro pericolo. Il partito di Sanchez Losada ( Movimento Nazionale Rivoluzionario ) aveva perso le elezioni. Stava per tornare alla presidenza il generale Hugo Banzer Suarez, latifondo di Santa Cruz, cugino di Alvaro Gomez Suarez, re della cosa, l’uomo più potente della Bolivia. Alla prima presidenza Banzer era arrivato con un colpo di stato, 1971. Washington lo aveva scelto come protagonista dell’esperimento che doveva portare alla < normalizzazione > di Pinochet e al piano Condor. La democrazia era riuscita a mettere da parte Banzer il quale ne stravolge le regole fondando il partito Democratico Nazionalista che risale da Santa Cruz e vince le elezioni mentre Alejandro sta scavando per cercare Guevara. Dittatore che diventa presidente imponendo il voto. I < suoi > militari danno l’ultimatum agli antropologi di Valleverde. Quando il primo agosto 1997 Banzer si siederà a palazzo Quemando, se i resti di Guevara non sono apparsi, ricerche finite. Non possono più scavare. Alejandro e Jorge Hernandez ritrovano ciò che restava negli ultimi giorni di luglio, ecco perché l’antropologo argentino ha paura che glieli portino via. Con Banzer presidente tutto era possibile. Il primo agosto i resti del Che tornano all’Avana. Cinque milioni di persone sfilano davanti all’urna, fra loro anche Alejandro Inchauregui. Coda di due chilometri: 80 visitatori possono sfiorare la bara al ritmo di 80 ogni minuto. Alejandro si confonde con la gente senza far sapere chi é. Sei ore di attesa e tanti discorsi. < Chiedevo ad ogni persona: il Che cosa è stato per lei ? Le risposte si somigliavano. Ho cominciato a capire davvero chi era. Sono cresciuto nell’Argentina della dittatura militare. A Buenos Aires era proibito farsi crescere la barba. Un sospetto e sparivi. Come tutti ammiravo il Che in silenzio e da lontano, ma certe cose non mi piacevano: l’intransigenza e la violenza della sua rivoluzione armata, ma chi faceva la fila raccontava la storia di un ministro che misurava con parsimonia la benzina della sua auto di stato. Non voleva che la moglie andasse far spesa con la < macchina di tutti >. Uomo generoso, dicevano; idealista che pensava solo agli altri. Ascoltavo passavo in rivista i politici i politici del mio paese. Prima la carriera e poi gli altri.. Allora sono stato contento di partecipare in qualche modo alla storia del Che: lo avevo ritrovato. L’ho accompagnato a Santa Clara, monumento e mausoleo. La folla era immensa, succede in America Latina. Ma era una folla commossa e questo non sempre succede >. cortesia dell'Unità

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